Il caso. Se il Pd è un partito a trazione nichilista (a cui non servono ideali)

occupyPdQuel che detestavo nel vecchio Pci era l’appuntamento con l’emissario della Federazione. Puntuale, su ogni questione all’ordine del giorno, veniva a dettare la linea ai militanti di provincia. Chiunque fosse, era una spanna sopra i locali, quanto a dialettica, doti oratorie, capacità di persuasione. Perciò non c’era verso: la linea dettata risultava sempre quella giusta, lapalissianamente, da qualsiasi lato la si osservasse. Argomenti arcigni, piantati nel cemento, incrollabili. Ascoltandolo, uno ci provava col pensiero a fargli le pulci, a ricercare le alternative possibili o quanto meno delle controindicazioni, delle piccole imperfezioni. Ma dopo poco, incredibilmente, quei pensieri diventavano uno ad uno oggetto di sbeffeggio da parte dell’ospite, ben prima di essere esposti agli astanti, smascherati nella loro inconsistenza e infine denunciati come “oggettivamente” confacenti al gioco degli avversari. Ebbene sì, i funzionari del Pci sapevano leggere nel pensiero. E a noi non restava che vergognarci per aver semplicemente osato pensare di svicolare dalla “linea”.

Quel che trovavo ancor più insopportabile era la facilità con la quale la settimana successiva quello stesso funzionario – o chi per lui – sbarcava nuovamente in periferia a dettarci una linea che andava nella direzione esattamente opposta a quella della settimana precedente. “L’occupazione viene prima della tutela ambientale!”. E qualche giorno dopo: “non si possono sacrificare gli equilibri ecologici in nome dello sviluppo!”. Ma non c’erano santi. Gli argomenti per la piroetta apparivano inappuntabili. Di più. Egli era in grado di dimostrarci che tra la linea della settimana precedente e quella della settimana successiva non c’era alcuna contraddizione. E se uno non capiva l’assoluta coerenza tra le due posizioni era chiaramente un cretino.

Inseguire “il nuovo” costituiva una specie di ossessione. E questo generava acrobazie politiche risibili, posizionamenti improbabili. Il Pci era l’essenza del postmoderno (ante-litteram). Ma veniva puntualmente scavalcato e travolto dai nuovisti veri, ritrovandosi sempre un passo dietro gli altri, sempre all’inseguimento, armato di argomenti granitici ma privo di credibilità.

Certi tratti non muoiono mai. E con l’avvento di Renzi accedono al parossismo. Durante le primarie del 2012 per la leadership del centrosinistra, mi è capitato di assistere ad un incontro – non tra i militanti stretti, ma addirittura rivolto ad un pubblico in gran parte esterno al Pd – in cui un autorevolissimo esponente della squadra bersaniana ha definito così il principale avversario: “Renzi è un tumore”. Testuale. Il gelo è piombato sull’uditorio. Persino al sottoscritto – anti-renziano sfegatato – la definizione è apparsa un pugno nello stomaco, un’uscita a dir poco imbarazzante. Ma l’implacabile oratore è riuscito a dimostrare inequivocabilmente che si trattava di una semplice descrizione “tecnica” del concorrente. Non inerente alla qualità della persona, bensì legata a processi storico-politici di lunga lena nella vicenda italiana. Non averne consapevolezza era una forma d’irresponsabilità rispetto al senso supremo della sfida in corso. Comme d’habitude, l’iniziale imbarazzo silenzioso mi si è trasformato in una misera ingenuità da anima bella. L’emissario romano aveva indiscutibilmente ragione!

Oggi, gli stessi (esattamente gli stessi) che fino a poco più di un anno fa spargevano simili epiteti in giro per l’Italia, sono impegnati in prima linea, coltello in bocca, a spianare la strada a Renzi. E gli argomenti per l’impresa sono granitici quanto quelli che consentivano di definirlo un “tumore”. E’ possibile immaginare che un partito e un paese si possano salvare promuovendo al loro interno lo sviluppo di un’entità tumorale? Certo che sì. E chi non lo capisce è un povero cretino.

Fatto sta che le conseguenze di questa modalità dirigente è devastante per la comunità dei militanti e degli elettori. Ne viene fuori una massa di nichilisti che, non riuscendo più a credere a nulla, è aggregabile a qualsiasi causa. I valori, gli ideali, i progetti sono meri strumenti, infinitamente reversibili, dell’unico vero fine consistente nell’affermazione della propria squadra. (Su questa ossessione per il “vincere”, Claudio Bazzocchi, partendo tuttavia da assunti differenti, ha scritto recentemente un denso pamphlet, “L’umanità ovunque”, Ediesse 2014). Sembra di rileggervi la descrizione dell’origine della schizofrenia elaborata dalla scuola di Paolo Alto. Quando la parola di una madre viene smentita dai suoi atti, il figlio ha davanti a sé solo due strade: non credere più alla parola della madre oppure non credere più alla realtà. I militanti del Pd, evidentemente, continuano a credere (e a dare il voto) ai dirigenti di turno. Ma per questo hanno bisogno di rimuovere la realtà: e la realtà è che stanno realizzando un progetto di ristrutturazione neoliberista e autoritaria del paese. Qualcuno li desti. (dal blog di MicroMega)

* Onofrio Romano, sociologo dell’Università di Bari e autore del pregevole saggio “La fabbrica di Nichi. Comunità e politica nella postdemocrazia” (Laterza)

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Onofrio Romano

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