Libri. “Siena. Mps la politica i poteri forti”: gli ultimi 20 anni raccontati dall’ex sindaco Piccini

Toscana_Siena3_tango7174(Pubblichiamo per concessione dell’editore Eclettica un estratto del libro intervista a Pierluigi Piccini curato da Matteo Orsucci. Nel volume l’ex sindaco di Siena svela intrecci e geometrie del rapporto tra Mps politica e poteri forti. Qui un ritratto di Giuseppe Mussari, figura centrale e controversa nella vicenda della banca senese)

“Mussari Giuseppe (Catanzaro, 20 luglio 1962) è un avvocato e banchiere italiano, presidente dell’Associazione bancaria italiana dal 15 luglio 2010 al 22 gennaio 2013. Laureato in giurisprudenza all’Università di Siena, ha esercitato la professione di avvocato dal 1993. A maggio del 2007 viene cooptato nel board di Axa S.A. E’ vicino a Comunione e Liberazione tanto da aver partecipato anche al Meeting per l’amicizia tra i popoli a Rimini. È stato Presidente prima della Fondazione Mps poi di Banca Monte dei Paschi di Siena”. Questa, in sintesi, la scheda che oggi si può leggere su wikipedia relativa a Giuseppe Mussari. Che ne pensa?

“Beh, che mancano un sacco di cose, e non mi riferisco in questo caso alle vicende processuali. Sui reati a lui ascritti si pronuncerà la magistratura”.

E cosa manca?

“Manca il Mussari visto da vicino, manca quella serie di piccoli, grandi, dettagli che fanno capire, ex post, chi ha ridotto in questo stato una banca e una città. Io che ci ho avuto a che fare per molto tempo penso di essere titolato per farlo”.

Prego.

“Mussari arriva a Siena da studente, iscritto ordinatamente alla Figc, ragazzotto fuori sede e fedele al partito. Tanto fedele che in un primo momento aveva scelto come dormitorio la sezione Borri del partito, contrada del Nicchio, la quale aveva al suo interno una zona soppalcata dove lui e un altro studente hanno abitato per un periodo. Era di famiglia benestante, padre medico, intorno al 1987 inizia a svolgere qualche lavoretto per una cooperativa, la “Zelig”, che operava nel settore della consegna dei pasti. Era un ragazzo tutto fare, consegnava gli alimenti, viaggiava in città a bordo di un’Ape Piaggio, lo faceva per arrotondare. Furono gli anni in cui conobbe e strinse un’amicizia molto intensa con Franco Ceccuzzi. I due erano osservanti della linea intransigente della Fgci, la Federazione dei Giovani Comunisti: rivoluzionari a loro modo, contro ogni forma di potere costituito, che per gli studenti universitari significava né più né meno essere contro la baronia universitaria. I due, in particolare, si contraddistinguevano per le loro posizioni molto dure contro il Rettore dell’ateneo senese. Tal Luigi Berlinguer. Buffo no? Qualche anno dopo si misero d’accordo anche con lui per la gestione del potere in città. Lo incrocio sulla mia strada nel momento in cui lui era dipendente dello studio Pisillo, il quale era il legale del Comune di Siena durante i miei mandati. Mussari era un iscritto al partito anzitutto. Faceva parte del mio partito e l’ho delegato in più di un’occasione quale risolutore di alcune faccende sulle quali io, da sindaco, non avrei potuto intervenire. Incontrava i costruttori, tanto per farsi capire, presenziava alle cene e alle riunioni della Cna, tesseva rapporti con gli ambienti economici e non solo presenti in città. Mi ragguagliava sulle istanze che in quei mondi stavano crescendo. Mussari in questo era efficace, gli va riconosciuto. A lui peraltro piaceva muoversi nell’ombra, fare questi lavori di ricucitura, prendere contatti. Era un uomo molto riservato e taciturno, poco incline ai rapporti interpersonali, quelli veri intendo. Ambizioso, molto ambizioso, una volta mi confidò: ‘Se ho in mente un progetto posso aspettare anche venti anni per vederlo realizzato’. Pazienza, tenacia, abnegazione. Sembrerebbero virtù cardinali, e invece le ha usate sempre e solo per soddisfare la sua ambizione. Dopo essere entrato nel circolo dei tremontiani, dopo la rottura con D’Alema, Mussari covava il suo vero sogno quello di fare il ministro. Voluto appunto e direttamente da Tremonti. Probabilmente avrebbe fatto meno danni, chissà. Curioso un fatto: avevo incontrato Tremonti a Milano, nel suo studio, nel 2005. Parlò con toni durissimi di Siena e della sua classe dirigente, in particolare di Mussari. Poi però… D’altra parte mi rendo conto di parlare di quello stesso Giuseppe Mussari autore di un libro sui prodotti derivati, che si vantava proprio di essere un esperto in materia: mi sono chiesto dove avesse la testa davanti ad Alexandria e a Santorini infatti… E poi di quella sua immagine dipinta negli anni della Fondazione e soprattutto della Banca ho difficoltà a trovare riscontro in quella che conobbi personalmente. Del ‘re di Siena’, come lo avevano soprannominato con compiacimento anche gli stessi giornalisti, si raccontavano i gusti sofisticati, la cura di sé, la ricercatezza nel vestire e l’amore per il buon cibo. Più costava, più era buono. A tal proposito mi viene solo in mente la gastrite che combatteva anche a tavola a suon di riso in bianco, una gastrite che non mi parve a suo tempo troppo strana da riscontrare in un uomo perennemente stressato, ansioso di fare la scelta giusta, sempre teso nel mantenere in piedi la fittissima rete di relazioni che gli avrebbe consentito la migliore carriera. Una mattina del 1999, quando recatomi all’ospedale di Siena mi fu diagnosticato il tumore all’intestino, rimasi spiazzato. Telefonai a casa di amici molto fidati, ma erano fuori. Decisi di chiamare Mussari. Ricordo ancora quello che gli dissi: ‘Vienimi a prendere all’ospedale, mi hanno trovato un cancro’. Mussari venne e mi accompagnò a casa. Quando mi operai chiesi a coloro i quali mi stavano più vicino di evitare l’affollamento. Mussari insistette per venire a vedere come stavo. Si informò sulle mie condizioni. In sezione il bollettino medico si sparse rapidamente. Però c’è un aspetto che non può essere dimenticato legato a lui. Perché di fatto parlando di Giuseppe Mussari non posso certamente esimermi dal dover parlare di un’altra persona a me molto cara e di cui le cronache recenti si sono occupate davanti alla tragedia che lo ha riguardato, ovvero David Rossi”.

David Rossi era stato il suo portavoce in Comune.

“Esattamente. Giornalista del giornale Il Campo, lo volli con me quale portavoce ed addetto stampa personale. David era la mia coscienza storica, per così dire, sapeva benissimo tutto ciò che io avevo fatto e lo sapeva da dentro il Palazzo. Era a conoscenza dei miei contatti, lui stesso ne aveva qualcuno, che andavano anche oltre la dimensione cittadina, per intendersi piena fiducia. Sapeva bene, David, quali sarebbero state le mie idee se fossi andato in Fondazione. Sapeva quale sarebbe stato il mio indirizzo, la mia visione del sostegno alle attività culturali e alla promozione della città. David aveva un carattere decisamente riservato, ma era un uomo di cultura. Con lui e Marcello Salerni ricordo di aver scritto l’intervento in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II a Siena. Ricordo l’affetto che mi dimostrava, il suo attaccamento a me. Quando venni fatto fuori dalla Fondazione e si trattò di andare a Parigi a firmare il contratto, David volle accompagnarmi. Fossi entrato in Fondazione lui sarebbe venuto con me, proprio in ragione di quel rapporto fiduciario che avevamo e di quella collaborazione professionale preziosa durante il mio ultimo mandato di sindaco. David era senese, un senese vero, contradaiolo della Lupa, eppure fino ad allora non si era incrociato troppo con Mussari. I due si conoscevano certo, ma non si frequentavano. Nel 2001 quando mi si prospettò appunto di andare a Parigi per Mps Banque, essendomi contraddistinto per essere uno molto attento all’innovazione dei processi e della comunicazione, proposi a David di lavorare ad un progetto che sarebbe stato importante per la banca: realizzare un’unica piattaforma di comunicazione internazionale per il Monte. La base doveva proprio essere Parigi. Con l’arrivo di Mussari in Fondazione però David ricevette un’offerta dal neopresidente della Sansedoni: fare il capo della comunicazione per la Fondazione appunto. Questo significava rimanere a Siena, nella sua collettività, vicino alla sua famiglia. Perché Mussari volle proprio Rossi a capo della comunicazione? Per due motivi essenziali: il primo è che a Siena non poteva contare su molte persone con quel bagaglio di professionalità e contatti, ma il secondo motivo era che assumere David significava prendere il bagaglio di rapporti che io avevo stretto, anche in funzione di una nomina in Fondazione. Era il suo modo per farmi sapere: ‘Ti controllo’. È normale che nei quattro anni di esercizio poi il rapporto tra i due si sia andato cementando, benché prima non si frequentassero troppo. Tant’è che con l’autonomina in Rocca Salimbeni, Mussari non solo conferma Rossi al proprio fianco, ma lo investe di un potere immenso che va ben oltre quello dell’addetto stampa. Rossi controllava la comunicazione e in parte il marketing per la Banca Montepaschi. Gli dà molte responsabilità e molti soldi da gestire. Gli offre potere e ricchezza. Rossi controllava per nome e per conto di Mussari tutto ciò che doveva uscire, o non uscire, sui media. Locali e non solo. Molti giornalisti di testate nazionali mi riferirono di aver ricevuto pressioni da Rossi su certi articoli da fare o da non fare, magari da modificare in alcuni punti per non urtare la suscettibilità di Mussari. Dirò una cosa forte, ma della quale sono convinto, proprio in ragione del rapporto che mi legava a David: fu l’ingresso in Banca che segnò la sua disgrazia. Lui era diventato la scatola nera, per così dire, dell’azione manageriale mussariana. Ciò che faceva Mussari, Rossi lo sapeva. Ecco che dopo un’acquisizione come quella di Antonveneta, con Mussari indagato e praticamente autoreclusosi nella propria casa poco subito fuori Siena, il cambio dei vertici all’interno di Rocca Salimbeni, la paura di perdere il posto, perché purtroppo anche di questo circolava la voce, davanti alla perquisizione che David subì all’interno della propria abitazione, davanti a tutto questo inesorabile sgretolarsi del quel piccolo mondo antico di certezze, Rossi, che era fondamentalmente un animo sensibile, non resse il peso della situazione. Credo sia questo il motivo, anzi credo sia questo insieme di eventi che lo portarono, quella sera, a lasciarsi cadere nel vuoto dalla finestra del suo ufficio di Rocca Salimbeni. Mi sono interrogato più volte sul perché un uomo arrivi a scegliere di farla finita dopo aver lasciato qualche biglietto alla moglie, quasi a scusarsi di quella ‘cavolata’, come lui stesso scrisse in furia. La verità è che non ci sono risposte e le cose che qui ricordo sono solo un compendio di aneddoti forse che mi hanno legato a David in passato. Non posso negare che sia quello stesso David Rossi che su disposizione del Presidente Mussari controllava la stampa. Che spesso agiva per nome e per conto del presidente. Sono anche questi i modi in cui, molto pragmaticamente, si fa politica. Di tutte le voci di contorno e dei calunniatori del giorno dopo, di quando entrambi caddero in disgrazia, non mi interessa e certo non ne tengo conto. So solo quello che ho vissuto io, come ho conosciuto, il rapporto di stima profonda che mi ha legato per un periodo a David Rossi, anche se negli ultimi anni avevamo smesso di parlarci e i nostri rapporti erano diventati formali e di lavoro”.

Una curiosità: quando è stata l’ultima volta che ha sentito Giuseppe Mussari?

“Non c’è stata un’ultima volta. C’è stata una serie di episodi risalenti alla seconda metà del 2001 ed in particolare la presentazione da parte mia di Davide Croff, presentazione che avvenne al Borgo di San Felice in occasione di un raduno automobilistico. Li presentai appunto e li lasciai in modo che approfondissero la loro conoscenza. L’altra a proposito dell’Antonveneta…”.

Come Antonveneta?

“Sì perché tramite un amico comune, Enzo Mei, ero entrato in stretto rapporto con l’allora DG della banca padovana Silvano Pontello, col quale avevo avuto diversi incontri e ricordo che dentro la strategia del polo aggregante – per quanto mi riguarda – c’era anche l’Antonveneta del 2001. Dopo il mio siluramento a presidente della Fondazione, fu Mussari stesso a chiedermi di continuare questa relazione. Infatti ebbi ancora un paio d’incontri con Pontello, che però manifestò delle perplessità a continuare con i senesi perché di fatto non li conosceva. E quindi con la scusa che la banca non era ancora quotata in Borsa chiese tempo. Dopo questi incontri, informai Mussari e feci presente che sarebbe stato opportuno che lui prendesse direttamente in mano la relazione poiché per quanto mi riguardava io non avevo alcuna autorità per fare ciò”.

Sta dicendo che Antonveneta avrebbe potuto essere fatta nel 2001?

“Forse proprio nel 2001 no, ma subito dopo sì. Ma l’Antonveneta dopo BAM e banca 121, insieme magari alla Banca delle Marche avrebbe realizzato il progetto del polo aggregante federativo e avrebbe fatto di Siena la piazza finanziaria dell’Italia centrale. Ma tale strategia non andò in porto perché il Pds e il presidente della Fondazione Mussari avevano cambiato la strategia per le grandi aggregazioni, in questo modo aderivano alla richiesta del Pds romano e pertanto perdevano l’autonomia politica. La terza e ultima telefonata fu quella in cui chiedevo a Mussari se David Rossi avrebbe seguito il progetto del portale europeo o no. Mussari mi rispose che mi avrebbe fatto sapere. Cosa che non ha mai fatto. E da allora non ci siamo più sentiti”.

*Siena. MPS, la politica, i poteri forti, i personaggi. Un racconto degli ultimi 20 anni di Pierluigi Piccini e Matteo Orsucci (Eclettica Edizioni, pp. 176, euro 15)

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