L’intervista. Amicone (Tempi): “Il carcere non è una discarica nell’Italia dei mozzorecchi”

carceri«Vado a CasaPound per raccontare che il carcere non è una “discarica”, perché anche laddove c’è la pena per un male compiuto, se la gente non fosse condannata a non avere alcun rapporto con l’esterno, forse darebbe qualcosa in più alla società». Luigi Amicone, direttore di Tempi da sempre sensibile al tema dell’esclusione sociale, parlerà di questo all’incontro chiamato significativamente “Storie di ordinaria galera”, organizzato dal centro sociale non conforme, e che vede coinvolti, tra gli altri, Don Antonio Mazzi e Mario Tuti. Parlerà di un paese vittima della sindrome delle «guardie contro i ladri».

Direttore, il tema delle carceri, per non parlare dell’amnistia, resta un tabù.

È il segno che siamo un paese povero, destinato a impoverirsi sempre di più. Perché è evidente che per rilanciarsi rispetto al futuro, anche in termini di ripresa economica e psicologica, innanzitutto dovrebbe bonificare le evidenti “discariche sociali” che ha costruito per non far vedere alla gente che razza di paese è diventata l’Italia.

Che “razza” di carceri abbiamo?

Visto che le nostre carceri sono state condannate da tutti gli organismi internazionali, perché violano i diritti umani, contengono un terzo dei detenuti che non sono stati condannati, direi che sono anticostituzionali. Prendiamo la carcerazione preventiva: quei 17mila detenuti che sono in larga parte lì non per fatti di sangue, sono tutti casi di ingiustizia evidente che non hanno relazione con un circuito penitenziario come quello europeo. Se si fanno i paragoni statistici, solo la Turchia ci supera. I casi sono due: o le chiudiamo, in nome della legge, della legalità, oppure sono tutte balle quelle che si raccontano sulla legalità.

In questa campagna elettorale tutti sostengono di lottare per la legalità.

Se non ci si pone il problema dello stato delle nostre carceri tutte le parole sulla legalità,  tutte le Tangentopoli che raccontano per combattere l’illegalità sono false, falsa ricerca della legalità. È più probabile che si tratti allora di guerre di padroni ad altri padroni, di campagne elettorali combattute con altri mezzi.

 

Che cosa ha trovato dentro le carceri italiane?

Sono entrato in carcere come educatore, come insegnante e – seppure sulla carta lì dentro non c’era nessun “innocente” – quello che ho visto è stata un’umanità autentica, animata da un vero pentimento fatto di fronte non tanto a un giudice, ma alla propria coscienza.

A destra come a sinistra il tema della sicurezza viene declinato grossomodo così: “più carceri” dicono i primi, “più poteri ai giudici” i secondi.

La politica si è fatta distruggere e annientare dall’egemonia della mentalità giudiziaria. In parte perché, dopo Tangentopoli, ha portato le settime file di quelli che erano una volta i politici a rappresentare il popolo in Parlamento. E in parte per lo strapotere di quel circuito mediatico-giudiziario che da vent’anni fa quello che vuole. Destra e sinistra hanno la colpa di non essere in grado, culturalmente, di mettersi di traverso rispetto a questa deriva. Stesso discorso per i direttori dei giornali che hanno assecondato tutto questo per quattro stracci di tirature. Questa è l’Italia del deserto, dei mozzorecchi, della bava alla bocca.

 

Cosa ci aspetta?

È chiaro che in questo clima idiotamente forcaiolo, che presuppone che il cambiamento delle coscienze “immorali” possa avvenire solo dalla trasformazione della società in un gioco tra guardie e ladri, il risultato è che non c’è possibilità di ripresa, di speranza. Questa mentalità paralizza tutto.

Antonio Rapisarda

Antonio Rapisarda su Barbadillo.it

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