La polemica. Guerra di religione in Irak? Civiltà Cattolica: “Non cadere nella tentazione di farla”

Civiltà_Cattolica_is«È guerra di religione. Lo dice la Civiltà Cattolica». Questo è il titolo choc con il quale Sandro Magister, autorevole vaticanista de l’Espresso, ha riportato sul proprio blog personale, il seguitissimo Settimo cielo, i contenuti dell’editoriale dell’ultimo numero della storica rivista dei gesuiti, lo stesso ordine dal quale proviene Papa Francesco. «Ogni riga – premette il giornalista – passa precedentemente al vaglio delle autorità vaticane, che ne autorizzano o no la stampa».

E SCOPPIA IL CASO

Immediata arriva la replica del direttore padre Antonio Spadaro, che manda in rete un doppio tweet dai toni perentori: «Smentisco nettamente chi sta scrivendo che per “La Civiltà Cattolica” in Iraq e Siria sarebbe in corso una “guerra di religione” 1/2”, “L’articolo di Civiltà Cattolica invece afferma che “per l’Is” è guerra di religione e che NON dobbiamo cadere nella tentazione di farla 2/2″». Ce n’è pure un terzo carico di polemica: «Civiltà Cattolica scrive che in Medio Oriente non è affatto “guerra di religione”, come qualcuno vorrebbe… ».

LE PAROLE DE “LA CIVILTA’ CATTOLICA”

Nei fatti, l’analisi a firma di Luciano Larivera, non benedice alcun conflitto a sfondo religioso, semmai lo scongiura. «Analisti militari attestano che l’attuale soluzione armata non è efficace. Limitarsi a questo mezzo – si legge – può continuare a permettere all’Is spazi di conquista e occasioni di atrocità maggiori». E ancora: «È cruciale studiare e comprendere perché e come l’Is combatte. La sua è una guerra di religione e di annientamento… Strumentalizza il potere alla religione e non viceversa. La sua pericolosità è maggiore di al-Qaeda. Giudicare la legittimità di interventi mirati spetta al legittimo governo di Baghdad che li ha richiesti; agli organi dell’Onu, in primis al Consiglio di Sicurezza, che non si è opposto (con la Cina che è sembrata apprezzare); a chi li attua; e alla comunità degli esperti di guerra e di diritto internazionale».

L’USO DELLE ARMI RAFFORZEREBBE IL CALIFFATO 

Insomma, contro la guerra scatenata dall’Is, «data la sua non disponibilità a cessare il fuoco e a negoziare, la risposta sbagliata – suggerisce Larivera – è una controffensiva armata di stampo religioso: si radicalizzerebbe l’islamismo dell’Is nelle menti e nei cuori di molti musulmani». Un passaggio è riservato all’arruolamento di occidentali e donne tra le milizie del Califfato. «Quest’ultime, in particolare, accettano di combattere per quel jihadismo maschilista, perché l’Is proteggerebbe e promuoverebbe i diritti del proprio gruppo sunnita. Il “Califfato islamico” offre un’identità e un’appartenenza sociale — qualcosa e qualcuno per cui morire e avere il paradiso — e, insieme, un progetto politico, benché teocratico, di “Stato di diritto”, di welfare e “cosmopolitismo”. Sono trasmutate queste categorie della modernità occidentale, che per di più si stanno svuotando di senso, di valori e di forza motrice soprattutto in Europa».

 IL PRECEDENTE DI RATISBONA

Sullo fondo resta, tuttavia, il clamore suscitato della lezione da pronunciata da Papa Benedetto XVI, il 26 settembre 2006, a Ratisbona. Allora, un errore di agenzia (o presunto tale) riguardante una citazione tratta dai dialoghi dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo con un dotto persiano, fece da innesco alla dura reazione del mondo islamico. Furono bruciate chiese e morirono cristiani, fra i quali due italiani in Marocco. Anche sulla stampa internazionale fu un coro pressoché unanime di condanna per “l’aggressione del Papa all’islam”. Il New York Times definì “tragiche e pericolose” le parole del pontefice. Peccato che le intenzioni di Ratzinger, invece, erano tutt’altro che polemiche. Il suo scopo era semmai quello di sottolineare l’incontro pacifico tra fede e ragione.

@fernandomadonia

@barbadillo

di Fernando Massimo Adonia

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