Esteri. La secessione scozzese e l’effetto domino per le piccole patrie europee

ScoziaIl possibile successo del referendum autonomista in Scozia, dove il Sì è in vantaggio ormai a ridosso dell’appuntamento elettorale, non scombussolerà solo il sistema del Regno Unito ma anche tutta l’Europa

Le ripercussioni sulla politica internazionale. Qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi perché l’Ue stia lasciando che la Scozia si separi tranquillamente dal Regno Unito e contemporaneamente si stia battendo per negare la stessa libertà alla Crimea ed alle repubbliche separatiste nell’Est dell’Ucraina. Non è un caso che fra i movimenti autonomisti e federalisti in giro per l’Europa Putin stia godendo, da qualche tempo, di un’enorme popolarità.

Le ripercussioni sulla politica dell’Unione Europea. A livello continentale, la secessione scozzese potrebbe generare un “effetto domino” in tutta Europa: il continente è pieno di “piccole patrie” in cui sta da diversi anni risorgendo un nuovo spirito comunitario, e praticamente ogni Stato ha al proprio interno almeno una regione aspirante alla secessione. Basti pensare alla Catalogna ed ai Paesi Baschi in Spagna o ai fiamminghi in Belgio (per non parlare della nostra Italia…). La secessione scozzese rischia seriamente di aprire una riscossa del comunitarismo a livello continentale.

Strettamente legato a questo “rischio”, vi è poi un aspetto al momento assai dibattuto dalle parti di Edimburgo: quello dell’appartenenza o meno della Scozia alle organizzazioni internazionali cui aderisce il Regno Unito, ed in particolare all’Unione Europea.

La posizione degli indipendentisti è che la Scozia dovrebbe rimanere automaticamente nell’Unione, ma dalle parti di Bruxelles non sembrano proprio per la quale: con la vittoria del SI, ritengono gli euroburocrati, nascerebbe a tutti gli effetti un nuovo Stato, il quale dovrebbe aprire da capo la procedura di adesione e sottoporsi al rispetto di determinati parametri. E già fanno sapere che, al momento, la Scozia i requisiti per  l’adesione non ce li ha. Inoltre, l’adesione dovrebbe avere comunque il via libera di tutti gli stati già membri, e ci si chiederebbe cosa farebbero Stati come la Spagna di fronte all’eventualità di creare un precedente di cui potrebbero avvalersi, in un futuro, anche i secessionisti di casa propria. La questione rischia di aprire un serio problema giuridico e politico nella tenuta stessa dell’impalcatura europea.

Potrebbe, inoltre, determinarsi una nuova evoluzione nel fronte euroscettico. Se si fa eccezione per la Lega Nord e pochi altri, fino ad ora gli avversari del processo comunitario hanno soffiato sul fuoco della difesa dello Stato Nazione, la cui crisi, però, sembra delinearsi in due direzioni: quella della creazione della struttura sovranazionale europea e, per l’appunto, quella delle pulsioni centrifughe. Proprio queste ultime potrebbero essere, in un futuro, cavalcate con maggior profitto per mettere in crisi il Leviatano continentale.

Le ripercussioni sulla politica inglese. Per quanto riguarda l’ establishment di Londra, si tratterebbe di una vera e propria legnata per Cameron, la cui poltrona tremerebbe. La secessione degli eredi di Wallace e Bruce sarebbe il carico da novanta in una situazione già difficile: all’interno del Partito Conservatore soffia sempre più forte il vento anti-Bruxelles e sempre più sono i Tories che chiedono il mantenimento della promessa, la cui concretizzazione non è ancora arrivata, della celebrazione, entro il 2017, di un referendum per decidere della permanenza o dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. L’indecisione del premier sta portando alcuni settori del partito sull’orlo della scissione ed a breve un gruppo di membri conservatori alla Camera dei Comuni potrebbe, clamorosamente, passare all’ UKIP di Farage. In sintesi, la leadership di Cameron è già di per se molto debole in questa fase e gli scozzesi potrebbero assestargli il colpo di grazia. Non a caso il diretto interessato ha già annunciato che, comunque vada, non si dimetterà, ma sarà molto più difficile ribadirlo DOPO…

Ma se Atene piange, Sparta non ride: i laburisti sono radicatissimi proprio in Scozia e buona porta dei dirigenti e parlamentari del Labour sono scozzesi, non ultimi gli ultimi due primi ministri del partito: Gordon Brown e nientepopodimeno che Tony Blair. Sarebbe la catastrofe di un’intera classe dirigente.

Pochi problemi avrebbe, invece, almeno per il momento, l’istituto monarchico: i separatisti hanno già annunciato che, in caso di vittoria, il Paese diventerà una monarchia costituzionale e che la Regina sarà sempre Elisabetta, la quale, dal canto suo, e non senza la gratitudine dei leaders del movimento per l’indipendenza, ha mantenuto fin d’ora una stretta imparzialità. Anche l’annuncio, l’8 settembre, di un nuovo Royal Baby, annuncio, secondo alcuni, fatto ad usum delphini della causa unionista, non sembra, in realtà, avere preoccupato troppo gli indipendentisti, i quali, con perfetta nonchalance, hanno offerto le proprie migliori felicitazioni, anziché ai duchi di Cambridge (il titolo con cui sono normalmente indicati William e Kate) ai conti di Strathearn. Si tratta del titolo scozzese detenuto dall’erede al trono e consorte, titolo che manterrebbero, con ogni probabilità, anche dopo la paventata vittoria del SI.

Ma la vittoria del SI potrebbe avere un impatto ancora più ampio sull’intero assetto del Regno Unito. Qualcuno paventa già uno scenario in cui tutto il mondo “celtico” potrebbe rialzare la testa: referendum analoghi potrebbero essere rivendicati in Irlanda del Nord ed in Galles. E poi, una volta staccatisi anche gli altri due frammenti della galassia gaelica, si potrebbe accarezzare il sogno di una riunificazione dell’Isola di Smeraldo e poi chissà… Potrebbe essere utopia e fantapolitica, ma fino a pochi anni fa era utopia e fantapolitica anche l’eventualità che la Scozia proclamasse l’indipendenza.

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Paolo Filipazzi

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