La lettera. Ad Atreju la Meloni non ha lasciato campo libero (a destra) per la Lega

Giorgia Meloni e Matteo Salvini
Giorgia Meloni e Matteo Salvini

Tanto tuonò che non piovve… o forse sì. Mai come quest’anno l’appuntamento di Atreju era atteso per l’incontro ravvicinato Meloni-Salvini, con il grigio corollario di Toti e Quagliariello.

Nei giorni precedenti sono spuntate anticipazioni succulente che parlavano di annunci di alleanze, qualcuno addirittura di partiti unici. Poi il referendum scozzese ha rianimato i toni secessionisti della Lega e in poche ore il solco si è riallargato, tanto da far temere che alla fine dal dibattito di sabato pomeriggio non sarebbe uscito nulla.

E invece no… l’applausometro fa registrare ovazioni per la leader di casa e grandi applausi anche per l’ospite padano, al quale la platea di Atreju ricambia la calorosa accoglienza ricevuta da Giorgia alla festa agostana della Lega in quel di Cervia.

E così, mentre Toti tenta faticosamente di giustificare il collaborazionismo di Forza Italia sulle sciagurate riforme del Nazareno e Quagliariello sfida coraggiosamente gli improperi della folla, Giorgia e Matteo menano fendenti a destra e a manca.

La Presidente di Fratelli d’Italia si accalora (“che dite, ragà, sto urlando troppo?!”) nell’elencare cosa dovrebbe fare un centrodestra che voglia essere tale per tornare ad essere competitivo e alternativo alla sinistra… Stop a Mare Nostrum, quote nell’assegnazione di case popolari e sussidi sociali agli stranieri in proporzione al numero di stranieri regolari, tetto alle tasse in Costituzione, basta con la gabbia dell’Euro e del Fiscal Compact, taglio alle pensioni d’oro, no alle adozioni gay, legge elettorale a preferenze, ritiro dalle missioni internazionali per riavere i due Marò, condanna delle sanzioni Ue alla Russia e della sciagurata gestione americana in Medio Oriente: c’è tutto questo e molto altro nel repertorio meloniano.

Chi pensava che Giorgia si stesse rassegnando a lasciare campo libero a destra alla Lega di Salvini si era sbagliato: la nuova destra, anche se dalle parti di Atreju preferiscono chiamarla “il movimento degli italiani”, ha identità e leader e vuole giocarsi la partita.

Matteo osserva sornione, ringrazia i militanti (captatio benevolentiae, ma sincera e gradita), incassa con stile la battuta della Meloni sul suo viaggio in Corea del Nord, capisce che non è aria di grandi argomentazioni (lo fa già bene Giorgia che in questo è più brava di lui) e allora affonda i suoi colpi con quella rude semplicità che non lascia discussioni e non dispiace alla platea.

Si arriva a parlare del futuro della coalizione. Matteo dice che se si votasse domani andrebbe da solo o al massimo “forse” con Fratelli d’Italia, sottolineando ripetutamente quel “forse”.

Giorgia dice che o il centrodestra ritorna a fare il centrodestra o FdI lancerà un grande appello per costruire un nuovo “polo dei coerenti, per difendere produzione, identità e sovranità”. Con la Lega? “Con tutti quelli che ci stanno”, chiarisce.

Eppure i paletti non mancano e le divergenze tra i due emergenti del centrodestra italiano neppure. Domanda diretta su Scozia e Veneto, Salvini risponde che “quando i popoli possono scegliere è sempre positivo” e spera che si possa fare anche in Veneto. Giorgia rievoca William Wallace e non nasconde la simpatia per la causa scozzese ma spiega che “non bisogna paragonare Scozia e Veneto”. “I veneti non devono confondere lo Stato con la Nazione: hanno ragione ad essere arrabbiati con lo Stato, bisogna cambiare lo Stato e non smontare la Nazione!” , poi con un pizzico di commozione ricorda “le migliaia di giovani meridionali che 100 anni fa donarono la vita per consentire al Veneto di essere Italia”.. e giù un boato.

Ma se la destra di una volta forse si sarebbe fermata all’intemerata patriottica, la Meloni va in profondità e spiega la ricetta di FdI: “Il regionalismo ha fallito, le Regioni sono diventate un centro di spesa e di corruzione. Abbiamo presentato una proposta di legge costituzionale per abolire Province e Regioni e sostituirle con 36 autonomie amministrative fondate sul principio dell’omogeneità storica e culturale”. Tanto per dire che forse c’è più visione riformatrice a destra che tra le paludi renziane.

Il pacioso Toti e il coraggioso Quagliariello (che intanto ha persino strappato un applausone quando ha bacchettato Forza Italia che vuole annientare i suoi possibili alleati) riemergono dall’apnea giusto in tempo per il gioco finale: “scegli la bandiera in cui ti riconosci di più”. Toti ignora quella di Mediaset e sceglie banalmente Forza Italia, Salvini finge di non vedere Padania e Corea del Nord e si prende quella della Lega, la Meloni vince facile brandendo il tricolore mentre un Quagliariello versione harakiri sceglie quella americana… la platea non gradisce, ma questa è un’altra storia.

Il giorno dopo è già tutta un’altra storia. Salvini si rintana a Cittadella, nel cuore del Veneto secessionista, alla “festa dei popoli padani” e fa una mezza marcia indietro: alle elezioni andrebbe da solo.

Giorgia Meloni si gode il successo: Salvini è piaciuto ma non ha sfondato. E chiude la 17esima edizione di Atreju annunciando il “tour dell’Italia vera”, un viaggio da Nord a Sud per ascoltare la nazione profonda e dare corpo a quel “polo della produzione, dell’identità e della sovranità”, unica alternativa a un centrodestra che non riesce a ritrovarsi. Segno che, prima di ipotizzare alleanze inedite, a destra c’è voglia di continuare a crescere.

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Bastian Balthasar Bux

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