Sinodo. Papa Francesco, lo stop su gay e divorziati e gli equilibri nella Chiesa

Tradizionale saluto del nuovo anno del Papa al corpo diplomaticoNé vincitori, né vinti. Ma rapporti tesi. Questo sì. Ecco il risultato del sinodo straordinario sulla famiglia. Francesco nei prossimi mesi avrà tanto da riflettere. Più degli altri vescovi, probabilmente. Messa in archivio la soddisfazione per la franchezza del dibattito, ora c’è da gestire la mappa dei nuovi equilibri dell’episcopato mondiale.

«Il Papa è senza maggioranza», avverte Massimo Franco dal Corriere della Sera. Sicuramente da questa assise Bergoglio ne esce ridimensionato. Oltre il linguaggio da verifica parlamentare, c’è da prendere atto che i numeri del Conclave, pari agli oltre due-terzi e più dei cardinali elettori, non ci sono più.

Benché nelle cose vaticane la democrazia sia del tutto relativa, i numeri hanno tuttavia un peso. Gli stessi atti rivoluzionari varati sinora dal governo Bergoglio, si basano sull’aritmetica. La nascita del consiglio dei nove cardinali che lo deve consigliare nella guida della Chiesa universale e la commissione per la riforma dello Ior, ad esempio, come lui stesso ha riferito in almeno due occasioni, sono figlie delle indicazioni emerse nelle riunioni preelettorali.

UN PAPATO RIDIMENSIONATO 

A conti fatti però, Francesco al Sinodo ha scoperto di non avere il placet dei padri proprio sui temi più spinosi. Omosessuali, divorziati risposati, coppie di fatto. Per quanto abbia lasciato spazio al dibattito, la scelta di far pronunciare al cardinale Walter Kasper una relazione, durante l’ultimo concistoro di febbraio, dai toni “aperturisti” e la nomina di Bruno Forte a segretario speciale dell’assemblea, hanno palesato il suo posizionamento. O per lo meno, il profilo che il Papa voleva comunicare di sé stesso, che è cosa bene diversa. Rimestando un tipico atteggiamento gesuitico.

L’opzione della “misericordia”, quindi, trova una pesante battuta d’arresto. Forse conservatori, ratzingeriani o neotradizionalisti potranno tirare un sospiro di sollievo. O semplicemente, tirare il fiato in vista del prossimo sinodo, sempre sulla famiglia. O, perché no, temere la scure dello spoil system. «La fine del cardinale Ottaviani», la chiama Maria Antonietta Calabrò. Sicuramente il Papa ora è costretto a rivedere tutta l‘agenda, il linguaggio e altro ancora. Finisce quindi una fase del papato. “La luna di miele” ora dovrà cedere il passo ad un profilo meno forzatamente riformista e meno ansioso di dialogare con tutti, Eugenio Scalfari compreso. Il Pasolini delle Lettere luterane l’avrebbe chiamata “l’ansia da conformismo”, atteggiamento che spesso contagia buona parte del mondo cattolico, troppo intimidito dal giudizio ad extra. C’è però che Francesco è uomo tenace. Ogni sorpresa, con lui, è lecita.

UNA CHIESA BALBETTANTE

Sul piatto resta l’immagine di una Chiesa non delle migliori. Parte della responsabilità è da attribuire alla stampa, perennemente in cerca di aperture o presunti conflitti. Ma anche a certi prelati, smaniosi di consenso e visibilità. È naturale che omosessuali e divorziati non debbano restare fuori dal recinto ecclesiale. Le comunità si devono scoprire – qui ha ragione il Papa – sempre meno autoreferenziali e esclusive. Così pure con altre categorie ritenute periferiche. Dall’altra, persino ai vertici, non è lecito cedere alla tentazione del politicamente corretto e delle soluzioni a buon mercato.

I fedeli cercano certezze. Ma su famiglia, pastorale e non solo, i vescovi sembrano non avere risposte chiare. Se così non fosse, non sarebbe stato convocato un doppio sinodo a tema. È evidente. Francesco, poi, ed è una sua scelta comunicativa efficace, preferisce non porre soluzioni ma rilanciare interrogativi. Ma tutto ciò era lecito fino a sabato scorso. La prossima assise sinodale dovrà concludersi o con delle risposte o con una gran delusione generalizzata.

MISERICORDIA E LEGGE

Misericordia? Sì, dunque. Ma senza una dottrina generale di riferimento sui sacramenti, valida in ogni spazio e tempo, qualsiasi apertura rischia di essere acquosa. Anche sulla cura dei divorziati-risposati deve essere il caso concreto, la comprensione del singolo, a dettare la linea. Non una riforma della norma stiracchiata sulla molteplicità e varietà dei casi o suoi pruriti dei dotti. Esiste un luogo dove i codici non possono arrivare. E non devono. Non è una questione giuridica, ma teologica. Il salmista dice che in Dio giustizia e misericordia coincidono. Tentare una sintesi generalizza in Terra, rischia di essere un tentativo orgoglioso e fallimentare.

L’uomo nel tempo vive sotto la legge, invocando misericordia. È il suo destino, la sua natura, la sua condanna. Ma la misericordia, la grazia, ad ogni modo non può essere incasellata e resa codice. È solo Dio, per i cattolici, a farsi carico del paradosso. La croce è il metro di misura di questo impegno che si traduce nel sacrificio.

Francesco lo sa bene. Quando si è trattato di mettere agli arresti Wesolowski, vescovo polacco accusato di Pedofilia, ha ragionato sul filo della spada. Ed era più che legittimo che fosse così. Non solo perché il diritto glielo consentiva. Ma perché l’opportunità del momento richiedeva una decisione, un gesto oltre il consenso. Un atto sovrano sì, ma non arbitrario. Non è un caso che nel discorso finale del sinodo ha ribadito, codex alla mano, le sue prerogative da Re e pontefice. Forse, sarà proprio questo il profilo che vorrà, o dovrà, incarnare di qui in avanti.

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Fernando Massimo Adonia

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