L’intervista. Cristicchi: “Come è stato possibile dimenticare il dramma delle Foibe?”

Premio Acqui Storia_18_10_2014 (85)Sono stati premiati al teatro Ariston, i vincitori del 47° Premio Acqui Storia. Luciano Mecacci con “La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile” e Giampaolo Romanato autore di “Pio X” ex aequo; Giancristiano Desiderio per “Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce”; Vasken Berberian con il romanzo storico “Sotto un cielo indifferente”, che parla del genocidio dimenticato del popolo armeno.

Premi speciali a Livio Berruti, medaglia d’oro sui 200 metri alle Olimpiadi di Roma 1960; Lorella Cuccarini, ammiratissima e bellissima; Mario Orfeo, direttore del Tg1; Enrico Vanzina, sceneggiatore e produttore; e il cantautore Simone Cristicchi, capelli vaporosi, che con Magazzino 18 ripropone il dramma dell’esodo istriano – giuliano – dalmata e delle foibe. Occhiali da sole e cravatta color vino, Cristicchi si infila in teatro con fare quasi timido. Sa bene di essere lui il “personaggio scomodo”, il “nemico” di quella sinistra negazionista di tutto ciò che non gli conviene nel contesto di quell’intrinseco rapporto cultura-politica. Quale miglior palcoscenico dunque, del Premio Acqui Storia, da tempo “aggredito” proprio da quella sinistra che da troppi anni manipola la storia a proprio piacimento?

Ho conosciuto l’esistenza dell’esodo e delle foibe attraverso un libro che ho trovato a Bologna: si tratta di “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani” edizioni Mursia, di Jan Bernas che poi è diventato il coautore del musical. Tra quelle pagine ho trovato testimonianze di coloro che hanno vissuto l’esodo, il controesodo di molti abitanti di Monfalcone poi andati in Jugoslavia e finiti a Goli Otok, il terribile campo di prigionia di Tito. Questi fatti sono in pochi a conoscerli”.

Cristicchi, come è nato Magazzino 18?

“Mi trovavo a Trieste e ho sentito dell’esistenza di un deposito dove si trovano accatastate le masserizie degli esuli, il Magazzino 18 al porto vecchio. Dopo un po’ di traversie sono riuscito a visitarlo. E mi è sembrato di rivedere Ellis Island, l’isola dove gli emigrati italiani venivano tenuti in una sorta di quarantena prima di poter sbarcare negli Stati Uniti. Ho subito pensato che fosse una storia meritevole di essere raccontata. Non è stato un lavoro di poco conto. Tra ricerche e scrittura mi ci è voluto un anno di fatiche. Prima ho cominciato a lavorare al testo e poi ne sono uscite anche le canzoni. Si tratta di un musical civile con una scenografia imponente, un coro e un’orchestra”.

Cosa si prova a entrare in quell’edificio?

“Io ho avuto la sensazione di trovarmi in un luogo quasi sacro: è ricolmo degli oggetti degli italiani che erano stati costretti a lasciare le loro terre in Istria e Dalmazia. Mobili, poltrone, attaccapanni, tutto insieme. I numeri della tombola si trovavano a fianco di un cuscino. Su ogni sedia era appiccicato il nome del proprietario, era come se questi oggetti parlassero. Avevo l’impressione si essere immerso in una atmosfera fiabesca. In questo magazzino era finito il contenuto di un’intera città. È per questo che ho deciso di ambientare il musical dentro quelle pareti, dentro quel Magazzino”.

Bene. Poi ecco la demonizzazione di una larga fetta della sinistra italiana?

“Sono rimasto colpito dalla quantità di critiche dell’estrema sinistra che mi sono piombate addosso. Se prima per i temi che toccavo mi consideravano di sinistra a un tratto sono diventato un fascista. Io invece sono un artista, voglio raccontare storie. Non mi interessano questi giochi politici. Mi sento libero di occuparmi delle storie che voglio. Più mi attaccano e più io mi intestardisco, sfido queste persone che ancora mi accusano. Spero vengano a teatro e si ricredano, nel testo non c’è niente di revanscista: è equilibrato e intende raccontare un pezzo dimenticato della nostra storia di italiani. La strumentalizzazione politica è stata fatta dall’estrema destra come dall’estrema sinistra: negli anni Settanta gli uni lo hanno impiegato come mezzo di propaganda mentre a sinistra provavano a giustificarlo. Ma il giustificazionismo è pericoloso, perché si corre il rischio di avallare qualsiasi cosa.

Un’intera regione svuotata della propria essenza. Gente costretta a lasciare la sua terra non per la fame o per la voglia di migliorare la propria condizione, ma perché non si può vivere senza essere italiani”: la denuncia di Magazzino 18″.

“Mi chiedo come sia possibile che questa tragedia sia stata rimossa dalla nostra attenzione, che se ne trovino scarse tracce anche nei manuali scolastici”, la battuta conclusiva di Simone Cristicchi, “il nuovo demone”.

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Mario Bocchio

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