Politiche. “Se ci fosse stato Renzi?” Il tormentone che lacera (ancora) la sinistra. Ma a conti fatti…

RAI - Confronto Bersani - RenziAh se ci fosse stato Renzi! Quello che ieri era un bisbiglio, man mano che la delusione si è diffusa gli elettori di centrosinistra, è diventato una delle analisi più gettonate. Ma poteva andare meglio con Renzi? Difficile dirlo. Sicuramente sarebbe stato diverso: alcuni voti li avrebbe certamente attratti, ma quanti ne avrebbe persi? Chi ha votato per il centrodestra lo avrebbe fatto anche se dall’altra parte ci fosse stato Renzi. Quello che sfugge, infatti, è l’arretramento del centrosinistra che va ben sotto le aspettative, al punto di vincere solo per pochi voti contro un centrodestra neppure in grande recupero: ha preso più o meno un punto percentuale in più di quello che gli attribuivano gli ultimi sondaggi, ma in termini di seggi è al minimo storico.

Il centrodestra ha vinto in tutte le regioni del Sud (ad eccezione della Basilicata) e in Abruzzo. Sono le stesse regioni nelle quali, alle primarie d’autunno, Bersani aveva ottenuto la maggioranza assoluta fin dal primo turno seguito da Vendola. Che plusvalore avrebbe dato Renzi in queste regioni nelle quali non aveva fa nessuna presa?

L’altro dato da considerare è la grande emorragia di voti da entrambi gli schieramenti, in parte confluiti nell’astensionismo (circa due milioni e mezzo di elettori in meno) in buona parte finiti a Beppe Grillo. In molte regioni, anche togliendo il 5% a Grillo per darlo al centrosinistra, quest’ultimo non riuscirebbe a vincere sul centrodestra. Si tratta, perciò, di cifre altissimi, scarti che difficilmente potrebbero essere colmati da un presunto fattore Renzi.

Il centrosinistra non ha saputo raccogliere nuovi consensi, anzi li ha persi (e molti) perfino in quelle regioni rosse dove più forte è il suo radicamento. Ma il centrodestra non ne ha approfittato. Al Nord, per esempio, senza l’alleanza con la Lega, avrebbe perso sia la Lombardia che il Veneto. Ciò nonostante, la Lega è arretrata parecchio, eleggendo solo18 deputati e 17 senatori, e perdendo soprattutto in quel Nord-Est dove aveva costruito le sue fortune, tutto a favore del M5S.

Puntare prevalentemente sul leader, sulla personalizzazione, sulla “narrazione”, non è un metodo sicuro per vincere. Lo dimostra il caso di Sel che delude ovunque, prende meno voti (in termini assoluti) di quanti ne prese la Sinistra Arcobaleno di Bertinotti e va male anche nella Puglia di Vendola che ora deve porsi il problema se conviene lasciare la guida della regione (che con questi voti passerebbe al centrodestra)o continuare a governare pur essendo delegittimato da questo voto. Va poi ricordato che tutte le volte che il centrosinistra ha puntato sulla leadership personale non è riuscito a vincere. Rutelli e Veltroni sono i due casi esemplari, ma con queste cifre sarebbe stato impossibile anche per Renzi.

Post Scriptum. Il primo a dover prendersela per com’è andato il voto è Beppe Grillo che, pur essendo il primo partito alla Camera, non ha la maggioranza dei seggi. Colpa di una legge elettorale assurda che, si badi, alla Camera è peggio che al Senato dove, invece, riproduce gli stessi effetti dei sistemi maggioritari plurinominali. Se ci fosse stato un sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 5%, senza coalizioni e premi, avremmo avuto quattro partiti in parlamento, le elezioni le avrebbe vinto in tutti i sensi Grillo e sarebbe stato incaricato di fare un governo con il 25%. Se ci fosse riuscito.

*Studioso di politica, svolge attività di ricerca nel Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza dov’è tra i coordinatori dell’Osservatorio Mediamonitor Politica. E’ inoltre ricercatore del Centro per la Riforma dello Stato, scrive per Rassegna Sindacale ed è blogger dell’Huffington Post. Ha scritto il volume Walter Veltroni. Una biografia sociologica (Ediesse 2012) e ha curato con Nicola Genga il libro Miti e Realtà della Seconda Repubblica (Ediesse, 2012).

Francesco Marchianò

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