9 novembre. Intervista a Mario Cervi: “I comunisti italiani furono zelanti servitori”

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Mario Cervi

“È stata una lunga e profonda ferita che sin dal 1961 ha tagliato in due Berlino e l’intera Germania. Fu pensato, voluto e costruito dai funzionari della Ddr, la Germania dell’Est, è stato per ventotto anni sinonimo di morte e di Guerra Fredda, gioco a due tra Mosca e Washington terminato almeno apparentemente con la dissoluzione dell’Urss nel 1991”. Ne è profondamente convinta Alexandra Hildebrandt, direttrice del “Museo del Muro” al celebre Check-point Charlie.
Si rifanno i conti e si aggiornano le statistiche. In peggio naturalmente. Le vittime della Cortina di ferro in Germania infatti sarebbero oltre 1.600, si stima che almeno 200 persone siano state uccise mentre tentavano di raggiungere la splendente Berlino-Ovest dalla zona comunista a controllo sovietico.
Uno che fu particolarmente attento alle tristi vicende del Berliner Mauer è Mario Cervi, celebre saggista e giornalista che nel 1974 lasciò il “Corriere della Sera” per essere tra i fondatori insieme a Indro Montanelli de “Il Giornale”, sul quale proprio negli ultimi giorni ha scritto una riflessione proprio sul Muro.

Cosa ha rappresentato il Muro?

“Trasformò la Ddr, stato anomalo e sostanzialmente illegale di fabbricazione sovietica, ma a lungo tollerato dall’Occidente, in una immensa prigione a cielo aperto. Nella quale furono rinchiusi diciassette milioni di tedeschi, con la Stasi, la polizia segreta, ce sapeva tutto di tutti. Il Muro venne chiamato anche barriera di protezione antifascista: fu prima di filo spinato, poi, con il trascorrere del tempo, sempre più tecnologicamente avanzato. Sopprimeva la libertà, incatenava la democrazia”.

Il 1961 fu una data nefasta.

“La protesta internazionale fu intensa e inutile. Invano le ciarliere cancellerie europee ricordarono che meno di due mesi prima Walter Ulbricht, leader della Ddr, aveva assicurato che ‘nessuno ha intenzione di costruire un muro’. Nessuno, forse, tranne lui e i suoi suggeritori di Mosca, primo tra tutti Nikita Kruscev. Le contraddizioni non hanno mai inquietato gli stati totalitari. E Ulbricht aveva dalla sua parte non solo gli obbedienti mezzi d’informazione dei paesi vassalli, ma anche i partiti comunisti occidentali. Tra i quali ebbe modo di distinguersi, per zelo servile, il Pci di Palmiro Togliatti. L’indomani del fattaccio, il 14 agosto, ‘L’Unità’ annunciò l’imprigionamento dei tedeschi dell’Est con un titolo burocratico: ‘Misure di sicurezza della Rdt ai confini con Berlino Ovest’. Il testo della notizia spiegava che contro le attività di ‘spionaggio e provocazione dei revanscisti di Bonn’, allora capitale della Germania federale, sono state assunte misure di sicurezza che ogni stato sovrano applica alle proprie frontiere”.

Appunto, come si comportò il Partito comunista italiano?

“Il 17 agosto il comitato centrale del Pci ricordava il quinto anniversario della messa fuori legge dei comunisti nella Germania Ovest, rinnovando ‘i sentimenti della più profonda solidarietà nei confronti dei comunisti occidentali perseguitati oggi da Adenauer come ieri da Hitler’. Mancava a queste attestazioni di prona ortodossia l’imprimatur a firma di Togliatti che, infatti, arrivò il 20 agosto. Il Migliore trasse spunto dall’evento berlinese per sostenere che il mondo stava assistendo a uno scontro fra il partito della guerra, capitalista, e il partito della pace, che aveva la sua guida nell’Urss”.


La Trabi, fu l’auto del popolo della Germania dell’Est.

“Nella tecnica di capovolgere le verità rientrava l’affermazione che il Muro volesse impedire l’ingresso nella felice Ddr a facinorosi, complottatori, neonazisti. In realtà la Ddr si stava svuotando per l’attrazione di una Berlino ‘capitalista’ contigua alla desolata Berlino delle fulgide sorti progressive. Due milioni e mezzo di tedeschi dell’Est, intraprendenti, ambiziosi, dotati di capacità professionali, varcarono il confine ancora aperto per mai più tornare nella Ddr, tranne che per le visite familiari. Invece i cultori di una dura tetraggine tedesca avevano trovato nel comunismo la palestra perfetta per esercitare i loro talenti repressivi, spegnendo ogni capacità creativa. Nel paese che aveva e avrebbe ancora generato modelli automobilistici ammirati dal mondo, la tecnica della Ddr riuscì a creare proprio l’orribile Trabant. Ho avuto la sorte di viaggiarci, ed è stata un’esperienza traumatica”.

Il 26 giugno 1963 il presidente Usa John Fitzgerald Kennedy tenne a Berlino un discorso diventato storico.

“Si proclamò berlinese. ‘Ci sono molte persone – disse – che non comprendono o non sanno quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l’onda del futuro. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che in Europa e da altre parti possiamo lavorare con i comunisti. Fateli venire a Berlino!’. Ogni tanto, con la memoria, ci conviene andare a Berlino. La realtà d’oggi ci sembrerà meno cupa”.
Ancora oggi è ben visibile la cicatrice lasciata dal Muro di Berlino e da tutto ciò che ha significato. Si tratta di una realtà che si respira a pieni polmoni tra la zona Ovest e la zona Sud della capitale, dove proprio in questi giorni un’installazione d’arte fatta di palloncini ripercorre per tutta la sua lunghezza il Muro interno alla città , ma che di riflesso ha interessato tutta la Germania, dividendola tanto allora quanto oggi.
Come già nel 2007 ricordava e sottolineava il settimanale tedesco “Der Spiegel”, nella Germania unita è ancora oggi possibile evidenziare due paesi ben distinti e profondamente diversi: uno leader nell’industrializzazione, l’altro caratterizzato da un tasso di disoccupazione particolarmente alto. “Uno fervente sostenitore della democrazia, l’altro costretto a fare i conti con un appoggio all’estremismo politico in forte ripresa; uno largamente popolato, l’altro alle prese con una vera e propria crisi demografica”, evidenzia la Hildebrandt.
Un dato interessante sulla divisione dei paesi nel paese viene fornito dal “Washington Post”: secondo un recente sondaggio, infatti, il 75% dei tedeschi che vivono nella Germania orientale ha detto di ritenere la riunificazione un successo, percentuale che scende fino al 50% quando ad essere intervistati sono i tedeschi occidentali.

Mario Bocchio

Mario Bocchio su Barbadillo.it

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