Politica. L’autunno triste del governatore del Piemonte Chiamparino

imageGelo a Nord-ovest. Altro che autunno caldo! Per Chiampa sarà soprattutto un autunno triste. L’uomo che è stato sindaco di Torino per dieci anni (uno dei “borgomastri” più apprezzati d’Italia, fra l’altro), protagonista delle Olimpiadi invernali del 2006, politico prestato alla finanza (presidente della Compagnia di San Paolo), candidato di bandiera all’elezione del presidente della Repubblica (87 voti al secondo scrutinio), anticipatore del Renzismo, eletto governatore del Piemonte a furor di popolo la scorsa primavera e infine nominato presidente della Conferenza delle Regioni, al momento non se la passa troppo bene.

Prima dell’emersione del fenomeno Renzi, Chiamparino era uno dei nomi più spendibili del Pd nazionale: serietà piemontese, consolidata esperienza amministrativa, pragmatismo, moderazione ideologica, capacità di essere antiberlusconiano senza radicalismi isterici né sospetti di tendenze inciuciste. Insomma, c’è stato un tempo – breve – in cui Chiamparino è sembrato il potenziale nodo di raccordo fra il vecchio Pd di derivazione comunista-diessina e i rampanti vicini all’allora sindaco di Firenze.

Quel tempo però è passato. E negli ultimi due mesi l’ex sindaco di Torino ha dovuto incassare parecchi schiaffoni. L’ha fatto con il consueto aplomb subalpino, senza alzare la voce né darlo a vedere. Ma i segni delle ditate sulla guancia sono ben visibili. Il primo a menar le mani è stato proprio il presidente del Consiglio, che pure da Chiamparino aveva ricevuto uno dei primi sostegni nella sua scalata al vertice dei Democratici. «Stai sereno, Sergio!», deve avergli detto Renzi. E poi la mazzata dei tagli alle Regioni nella Legge di Stabilità, con tanto di parole sprezzanti verso il presidente piemontese che aveva alzato la voce, a nome anche degli altri colleghi: «Le Regioni sono arrabbiate? Gli passerà». Poi è arrivato il siparietto fra Chiamparino e Delrio, che ha in parte sistemato la faccenda, ma intanto il messaggio di Palazzo Chigi è arrivato forte e chiaro. Chiampa è uscito ridimensionato dallo scontro e il risultato è che ha dovuto stangare i cittadini piemontesi con aumenti di tasse fino ad oggi impensabili, concentrati quasi esclusivamente su un ceto medio sempre più impoverito.

Ma i guai del governatore non sono solo politici. Ci sono anche quelli giudiziari, che rischiano di costargli molto caro. Disavventure che non lo riguardano direttamente, ma coinvolgono in pieno il suo partito in Piemonte. In primo luogo il ciclone Rimborsopoli – lo stesso che in passato aveva favorito proprio Chiamparino con la tragicommedia delle «mutande verdi» di Cota e degli scontrini pazzi che ha travolto il centrodestra – ora si è abbattuto sulla sua giunta. Per due esponenti di primissimo piano – Aldo Reschigna (Pd) vicepresidente con delega al Bilancio e Monica Cerutti (Sel), assessore all’Università e al Diritto allo studio – c’è stata l’imputazione coatta del gip per peculato, con l’accusa di avere usato risorse della Regione non per fini istituzionali ma personali. Cioè un comportamento analogo all’acquisto delle mutande verdi da parte di Cota”.

Eppure il presidente, che mesi fa aveva dichiarato che non avrebbe mai candidato persone indagate per Rimborsopoli e successivamente che non avrebbe voluto in giunta politici rinviati a giudizio, ha respinto le dimissioni dei due. Dando l’impressione di alzare sempre di più l’asticella della tolleranza, fino a lasciar intendere che neppure una condanna di primo grado potrebbe indurlo a cambiare opinione sui due: «Lo dico chiaro: accanto alle facce degli assessori Reschigna e Cerutti c’è la mia faccia. Sono fortemente convinto della loro trasparenza e correttezza. Sono pronto a rispettare le sentenze della magistratura ma non è detto che concorderò».

Il secondo sgambetto giudiziario rischia di essere ancora più pericoloso. Nel mirino dei magistrati questa volta ci sono le firme raccolte da alcune liste che hanno sostenuto la candidatura Chiamparino alla presidenza del Piemonte. Firme tra le quali ce ne sarebbero parecchie false. Così su input della Lega, in particolare dell’europarlamentare Mario Borghezio, la Procura ha dovuto aprire un’inchiesta penale; mentre il Tar ha rinviato la decisione al prossimo febbraio, in attesa di esaminare meglio la documentazione. Ricordiamo che gli stessi giudici amministrativi del Piemonte sono stati coloro che hanno sancito la chiusura anticipata della giunta Cota, scivolata appunto sulle firme false di un paio di liste d’appoggio. Un caso pressoché analogo. Chissà se analogo sarà l’atteggiamento del Tar?

In ogni caso per Sergio Chiamparino si annunciano tempi cupi. Tanto da farlo sbottare, nei giorni scorsi, in presenza di alcuni collaboratori: «Non mi faccio friggere come Cota per le firme false. Meglio le dimissioni». Frase poi smentita ma indicativa dello stato d’animo del politico-banchiere.

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Giorgio Ballario

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