Il caso. La vertenza delle acciaierie trasforma Terni in un nuovo laboratorio politico

B0JIbtsCcAAuhOpLa vertenza dell’Acciai Speciali Terni sta diventando, sempre di più, un caso nazionale ed europeo. Sulla lotta dei lavoratori di Terni, da ventidue giorni in sciopero, si stanno scaricando tensioni che riguardano non solo il destino degli operai e della grande fabbrica umbra, ma anche il riassetto della politica italiana e del rapporto tra politica e sindacato, tra il nuovo Pd e le parti sociali.

In queste giornate drammatiche, il blocco dell’A1, gli incendi appiccati in acciaieria, le richieste degli operai vanno oltre la difesa del loro posto di lavoro. Si chiede uno Stato più forte, capace di difendere gli interessi nazionali, che non si inchini alla Germania, patria dei padroni delle acciaierie, la Thyssen Krupp.

Terni, la sua acciaieria, i suoi lavoratori, rischiano – loro malgrado – di trasformarsi in un vero e proprio laboratorio politico.

Intanto però in città è scattata la gara di solidarietà con le famiglie degli operai. C’è una raccolta fondi a sostegno della vertenza, alla quale stanno contribuendo in molti. Proprio come avveniva durante gli scioperi dei primi anni del Novecento.

Anche acquistando un libro si può sostenere la causa dei lavoratori di Terni: si tratta di “Sotto la ruggine: piccola guida di una città industriale in tre storie” (Intermedia Edizioni – Gian Luca Diamanti). Il ricavato della vendita viene versato sul fondo di solidarietà. Il contenuto del libro prova a spiegare, anche a chi non la conosce, quanto sia speciale il rapporto tra la fabbrica e la città di Terni, da 130 anni.

Senza tanta retorica si parla di lotte e di botte. Quelle degli anni in cui a Terni veniva a fare i comizi Angelica Balabanoff, intima del giovane Mussolini socialista, e quelle degli anni Cinquanta, con gli scontri in piazza tra i duemila licenziati di allora e la Celere di Scelba.

Il libro può essere richiesto direttamente alla casa editrice da questo link: http://www.intermediaedizioni.it/index.php?controller=contact

Ecco un brano tratto da “Sotto la ruggine”

“Quella fabbrica sta lì, a monte della città, quasi come fosse una diga. Come se dicesse: prima che ve la prendiate voi, nelle vostre case, l’energia, la grande energia che arriva da questa valle stretta, da questo fiume veloce che scende da alte montagne piene di neve, prima che ve la prendiate voi, me la prendo tutta io. La uso nei miei forni dove si fonde l’acciaio e solo dopo, solo se vi sarete bruciati l’anima lì davanti, ve ne renderò un po’, di quell’energia.

Questa è la grande acciaieria, che ritrovarla per chi viene da fuori non è difficile, anche se adesso ha un nome straniero. Poi se arrivi dall’alto, dalle montagne, non ti puoi sbagliare. Guardi giù e la vedi: mezza città è l’acciaieria.

Certo, da qualche anno i capannoni sono quasi tutti argentati, di lamiera. Parallelepipedi in verticale, o in orizzontale. E gli ultimi padroni, che sono mitteleuropei, li hanno perfino voluti colorare un po’.

Verde, giallo, marrone, azzurro. Perché dice che in questo modo richiamano lo sfondo di terra, di montagne e cielo. Prima invece mica erano così.

I capannoni erano tutti fatti di mattoni, le pareti erano attraversate da grandi finestroni ad arco e i tetti avevano le tegole e gli spioventi.  Come nei vecchi film sull’Inghilterra della seconda rivoluzione industriale. Sembravano grandi conventi. E i campanili erano le ciminiere. Poi c’era pure il battistero, enorme, gigantesco: la grande cupola del maglio che forgiava l’acciaio e dava il ritmo alla città con i suoi colpi, che facevano vibrare la terra come un tamburo.

Dopo centinaia d’anni di silenzio, quando si sentiva solo qualche scampanio, o al massimo il rumore delle ruote dei mulini o di quelle dei carri sul selciato, questa città era diventata un concerto, un grande concerto industriale. Heavy metal: metallo pesante!

Rumore, frastuono, colpi, tonfi e fischi. Il maglio batteva, le sirene delle fabbriche ululavano.

La gente non aveva bisogno degli orologi. Sentiva le sirene, le riconosceva. Ecco il fischio dell’acciaieria: sono le sette. Ecco la sirena dell’ingresso del lanificio: sono le sette e mezza. Ecco quella dell’uscita della fabbrica d’armi: sono le dieci. E così via, in questa interminabile e laica liturgia del lavoro che aveva sostituito d’improvviso quella sonnacchiosa e rassicurante dei vespri e della compieta”.

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Odoacre Chierico

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