Rubgy. L’ex campione Franco Berni: “Bello il fair play ma se non vinci…”

rugby“Una volta in Inghilterra, nel tempio di Twickenham, ho sentito l’odore del prato, un’altra volta in Galles quello della torba: sono senazioni uniche. Di un rugby che forse non c’è più”Ne è convinto Franco Berni, classe 1965, ex rugbista, ruolo seconda linea dal fisico possente.

“Il rugby ha bisogno terreni erbosi perfetti per diffondersi in Italia, altrimenti chi fa un placcaggio rischia un cesareo”, disse Gianni Brera una sera d’autunno a Rovigo. Da allora sono passati molti anni e la Nazionale italiana ha fatto passi da gigante. Il campionato italiano invece no.

Berni in Nazionale

A cercare di spiegarlo è proprio Berni, che con l’Amatori Milano, poi nota come Milan, vinse 4 scudetti e una Coppa Italia negli anni Novanta. Nel 1985 esordì in Nazionale maggiore a Braşov contro la Romania in Coppa Europa e, due anni dopo, fu tra i convocati alla Coppa del Mondo di 1987, la prima della storia del rugby; in essa Berni disputò solo un incontro, quello con la Nuova Zelanda, che è anche la prima partita in assoluto della storia del torneo mondiale.

“Recentemente, dopo un articolo-inchiesta di Repubblica (Rugby, l’eredità perduta tra bilanci in rosso e Azzurri pescati alle Figi il titolo, ndr) ho apprezzato l’analisi di Simone Salvador, che condivido in pieno. Si è creata una evidente contrapposizione tra il calcio, sempre più invischiato in scandali e polemiche, e lo sport della palla ovale, portatore sano di valori sportivi. In controtendenza rispetto all’andamento di tutti gli altri sport che non fossero calcio, automobilismo o motociclismo, il rugby ha conquistato spazio sui media, innescando un circolo virtuoso che ha portato notevoli benefici a livello economico e di immagine a Federazione e giocatori. Il caso più evidente è quello di Martin Castrogiovanni, richiestissimo da tivù e mercato pubblicitario. Beninteso, si parla di Italrugby, cioè della Nazionale italiana, non certo del campionato che, nell’ottica di elevare il livello tecnico degli Azzurri, ha perso dapprima i migliori giocatori (emigrati soprattutto in Francia), poi le principali squadre, restando di fatto nell’anonimato”.

Nell’ultimo periodo, però, la crescita del movimento rugbystico italiano sembra essersi arrestata.

“La Nazionale italiana ha incassato 11 sconfitte nelle ultime 13 gare ufficiali, incassando nel 2014 il cucchiaio di legno numero 10 su 15 edizioni di Sei Nazioni disputate. Le continue sconfitte determinano un evidente calo d’interesse da parte di media e tifosi. La bellezza del fair play, del terzo tempo, della lealtà vanno bene fino a un certo punto. Il volano per dare forza al movimento è rappresentato dai risultati, dai successi sportivi”.

La Federazione – una delle più ricche in Italia – ha deciso di investire una fetta consistente dei cospicui introiti in accademie e centri federali.

“Una scelta da sottoscrivere, che tuttavia non sta portando risultati tangibili, almeno per il momento il gap con le altre Nazionali giovanili resta elevato. La Nazionale maggiore, tra l’altro, è costretta ancora a reclutare giocatori dell’emisfero australe. Come dichiarato dallo stesso presidente Gavazzi, poi, la scelta a favore dei settori giovanili ha di fatto penalizzato il campionato nazionale di Eccellenza, il cui livello non è certamente migliorato negli ultimi anni”.

Una questione fondamentale per la visibilità del rugby è quella legata ai diritti televisivi.

“Un rapporto complicato quello tra Federazione e televisione. Dopo il periodo di esclusiva a La7, la Federazione decise di celebrare il munifico matrimonio con Sky. Buon contratto, qualità del prodotto elevatissima, ma visibilità limitata. In un periodo di crescente interesse verso il rugby, sarebbe forse stato preferibile ottenere qualche euro in meno per puntare su una platea più ampia di persone e potenziali nuovi appassionati (Tv in chiaro). Ovviamente si parla col senno di poi. Dopo il periodo targato Sky, la Federazione ha deciso di ritornare alle dirette in chiaro. La scelta, però, non è stata banale. Niente RaiSport, niente La7, ma Dmax con un contratto, si dice, da oltre un milione di euro a stagione. Il Sei Nazioni 2014, sommando i modesti risultati della Nazionale alla ritrosia-difficoltà del telespettatore italiano medio nello sfruttare completamente i canali del digitale terrestre (Dmax è al canale 52), non ha portato a dati d’ascolto trascendentali”.

A questo si aggiunge la surreale situazione del campionato d’Eccellenza

“I diritti sono stati acquistati da RaiSport (a proposito, la stessa Rai che critica in tutte le trasmissioni il cosiddetto calcio-spezzatino, decide, per motivi di palinsesto, di far disputare le partite di rugby il sabato alle ore 13), con la produzione dei match totalmente a carico della Federazione. Per fare ciò, la stessa Federazione ha dovuto tagliare i contributi alle squadre partecipanti”.

Insomma, la fase espansiva del rugby in Italia sembra essersi esaurita. Le recenti (e prossime) scelte della Federazione assumono perciò un’importanza vitale per tutto il movimento.

“Non resta che aspettare qualche anno per vedere se la semina effettuata negli anni del boom sia stata fatta con tutti i crismi o se, invece, si sia sprecata un’occasione d’oro per fare del rugby uno sport realmente di massa”.

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Mario Bocchio

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