Il caso. L’inchiesta di Roma e lo spontaneismo nell’arcipelago degli “esuli in patria”

acca larentiaOltre le semplificazioni giornalistiche. E’ in arrivo dalla Finlandia uno studio scientifico sullo spontaneismo di destra. Lo cureranno due ricercatori, Nicola Guerra e Johanna Litzen, che hanno firmato questo intervento per Barbadillo.it

“Tra noi c´erano spostati e delinquenti”. Lo potrebbe dire probabilmente chiunque di noi ripensando alla propria esperienza scolastica, al gruppo sportivo nel quale ha svolto attività agonistica o, in genere, al circolo di conoscenze maturate in gioventù. “Spostato”, aggettivo singolare maschile, identifica nella lingua italiana una persona che ha gravi difficoltà a inserirsi e a realizzarsi nella società e nei rapporti umani e ha come sinonimo “disadattato”. È un aggettivo che mal si presta ad una analisi storica e politica dei fenomeni. Ma volendo forzare la mano potremmo dire che gli “esuli in patria” neofascisti, proprio in quanto esuli, siano anche definibili con un´iperbole politica come dei “disadattati in patria”, degli “spostati in patria”.

Recentemente il Professor Marco Tarchi, il massimo politologo nello studio dei fenomeni neofascisti e post-fascisti, con una intervista a Il Fatto Quotidiano, ha analizzato la presenza nel neofascismo italiano di spostati, delinquenti ed estremisti. Probabilmente estremisti è un termine più consono a descrivere fasce più o meno larghe di quell´ambiente umano e politico. Certamente più adeguato a descrivere coloro che intrapresero la via dello spontaneismo armato. Come del resto è appropriato per descrivere i militanti delle numerose formazioni armate sorte a sinistra durante i cosiddetti anni di piombo. Anni che restano ancora poco studiati a livello accademico, tanto che ancora non vi è un consenso su quando tale periodo cominci e finisca. Se includa o meno, ad esempio, il Sessantotto. Ancor meno studiato a livello accademico il fenomeno dello spontaneismo armato dei Nuclei Armati Rivoluzionari, i NAR.

Da poco più di un anno, assieme ad un’ altra ricercatrice, abbiamo intrapreso un progetto che appare complesso: studiare scientificamente il fenomeno dello spontaneismo armato. Abbiamo realizzato le prime interviste con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gabriele de Francisci, Francesco Bianco e altri protagonisti di quella stagione terribile della lotta armata. Abbiamo iniziato ad esaminare le centinaia di migliaia di pagine degli atti relativi ai processi tenutisi a Roma, Bologna, Milano, Padova e Venezia. Siamo lontani, dunuqe, dal giungere a conclusioni. Abbiamo più domande che risposte. Ma una certezza, c´è. I NAR non nacquero per germinazione spontanea. I NAR vanno inseriti in un chiaro contesto politico rappresentato dal Movimento Sociale Italiano (MSI).

Molti dei NAR, e certamente il nucleo originario di Monteverde a Roma, non provengono da organizzazioni extraparlamentari neofasciste, crescono politicamente nei movimenti giovanili del MSI, nel Fronte della Gioventù e nel Fronte universitario d’azione nazionale (FUAN). Alcuni partecipano ai corsi di formazione politica organizzati dal MSI, altri addirittura tengono delle lezioni per gli altri militanti. Molti di coloro che intraprenderanno la lotta armata sono i giovani più determinati e fanno parte, in diverse occasioni documentate anche da materiale fotografico, del servizio d´ordine ai comizi e cortei del MSI. Alcuni, quando la situazione si fa calda, scortano anche i dirigenti del partito che ben sanno che quei giovani sono armati. Moltissimi dei NAR partecipano ai Campi Hobbit, ed in occasione di uno di essi verrà letto un comunicato di solidarietà e per conto dei detenuti politici, tra i quali Dario Pedretti, spontaneista. A leggere il comunicato è Massimo Morsello, autore del “Paradiso dei Guerrieri”, canzone dedicata a Franco Anselmi, uno dei fondatori dei NAR, rimasto ucciso nel corso di una rapina in armeria.

Sì, gli “spostati” erano tra voi. Ma cosa spinse questi giovani verso la lotta armata? È una domanda complessa. Ma politologicamente la risposta non può essere ridotta alla condizione di “spostati” di quei militanti. Scrive Valerio Fioravanti: “volevo che la gente smettesse di blaterare di “rivoluzione”… non tanto i matti da bar o i sognatori nascosti nelle sezioni, ma i capi e capetti, che attraverso quella parola nobile e magica costruivano i loro interessi”. Si, perché se in parlamento e in televisione il MSI indossava il doppiopetto, in realtá per decenni aveva predicato, e sopratutto ai giovani, la rivoluzione. Una rivoluzione predicata in nome del fascismo, ma tradita costantemente per allearsi, invece, “con la più bieca reazione”. Per far da guardaspalle alla Democrazia Cristiana contro il comunismo. E non meglio avevano agito le organizzazioni neofasciste extraparlamentari. I NAR non si ribellarono solo al MSI, ma volevano anche “rompere col neofascismo stragista e colluso”, dove colluso significa legato ai servizi italiani e occidentali. Perché rompere col MSI? Perché quei giovani si sentivano usati. Perché si accorsero che i caduti, i cosiddetti “cuori neri”, venivano spesi per fini di perseguimento del consenso. Perché ad Acca Larentia un carabiniere spara in testa ad un giovane militante del FdG, ma il MSI non sporgerà alcuna denuncia per non mettere a rischio i voti delle forze dell´ordine. Chi sarà l’unica ad andare a testimoniare in commissariato contro quel carabiniere? Francesca Mambro.

Certo ci furono le rapine. Come ci furono a sinistra per autofinanziamento. Si tratta di delinquenza? Pressoché tutti i movimenti di lotta armata, italiani e stranieri, hanno contatti con la delinquenza comune. Serve riciclare il denaro frutto di rapine, servono armi, auto, moto. Serve un appoggio logistico. Alcuni spontaneisti ebbero contatti più stretti con la criminalità comune, ma certo ciò non può far bollare il fenomeno spontaneista come delinquenziale. Sarebbe una conclusione semplicistica, primitiva e inaccettabile. La domanda più appropriata, alla quale non siamo ancora in grado di dare risposta, sembra piuttosto: perché in seno al MSI sorse un gruppo di giovani che impugnò le armi nella lotta armata e al quale si aggiunsero, poi, anche alcuni giovani di Terza Posizione? E poi, quali furono le responsabilità politiche, culturali e anche umane del MSI? Non basta che questo partito abbia chiesto la doppia pena di morte per i terroristi per cancellare con un colpo di spugna legami e responsabilità che appaiono evidenti e i cui meccanismi meritano maggior approfondimento. Forse, parafrasando, non sarebbe stato politicamente più accettabile definirli “camerati che sbagliano” piuttosto che invocare la pena capitale?

Ma “spostati” è un termine che fa paura, che risulta inaccettabile non solo in una analisi politologica ma anche perché c´è Bologna. C´è quella sentenza di colpevolezza per Valerio Fioravanti, Fracesca Mambro e Luigi Ciavardini che deve indurre chiunque analizzi il fenomeno spontaneista ad una maggior sensibilità e accuratezza. Una sentenza discussa e discutibile con la quale la nostra storia nazionale ha ancora un conto aperto. Una “storia nera” che grazie alla dedizione di molti appare sempre meno nera, ma che richiede massima attenzione nel non offrire vittime sacrificali, degli “spostati”, in nome di un presunto interesse dello Stato. Studiare il fenomeno spontaneista, comprenderne le motivazioni, gli obiettivi, la rabbia politica e generazionale appare sempre più necessario anche per evitare che un acronimo “azzeccato”, NAR, venga usato impropriamente nelle notizie di cronaca.

*Università di Turku

@barbadilloit

Nicola Guerra e Johanna Litzen

Nicola Guerra e Johanna Litzen su Barbadillo.it

Exit mobile version