L’intervista. De Benoist: “Israele-Palestina? La soluzione del conflitto deve essere politica”

alain de benoistDopo l’Assemblea nazionale, il Senato francese ha votato una risoluzione non vincolante che chiede il riconoscimento d’uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale. E’ ora, vero?

“Dal momento che il sogno di uno Stato ‘binazionale’ è svanito, tutti sanno che non ci può essere soluzione al conflitto israelo-palestinese che a condizione di creare uno Stato palestinese sovrano. Tutti sono d’accordo, ma in passato l’idea prevalente era ‘non è ancora giunto il momento’. Un buon modo per rinviare la questione alle calende greche. L’ex ambasciatore d’Israele in Francia, Elie Barnavi, ha dichiarato recentemente a Le Figaro: ‘Se gli ebrei avessero atteso l’accordo degli arabi per creare il proprio Stato, avrebbero aspettato sempre’. Si potrebbe dire lo stesso dei palestinesi, che sanno molto bene che gli israeliani non vorrebbero mai uno Stato palestinese. E’ precisamente la ragione per la quale 135 paesi (su 193) hanno già ufficialmente riconosciuto il cosiddetto Stato palestinese. Se la Francia, per una volta, prende le distanze nei confronti di Washington, aggiungendosi a questi paesi, è giusto. E’ tutto a suo onore”.

Questo riconoscimento è ovviamente un segnale simbolico, non si devono quindi sopravvalutare gli effetti. Ma è un segnale forte. Nel momento in cui il conflitto assume un aspetto più religioso che politico, a causa della doppia ‘spinta’ degli islamisti e dei gruppi ultrareligiosi ebraici, e mentre si registra una nuova ondata di violenza in reazione alla politica israeliana di colonizzazione dei territori occupati (380mila coloni vivono oggi in Cisgiordania), è un modo per proclamare solennemente che la soluzione di questo conflitto non può che essere politica. Cosa che non hanno chiaramente compreso, in Israele, coloro che non hanno ancora tratto il senso della lezione del fallimento delle operazioni militari la scorsa estate nella Striscia di Gaza.

Tradizionalmente, la sinistra è sempre stata divisa sulla questione. Ma secondo Roland Dumas, Pierre Mendes France, sionista da sempre, fu un pioniere storico della causa palestinese. Non è stato l’unico a essere su queste posizioni. Contraddizione?

“La storia non si scrive mai in bianco e nero. In questo caso, c’è divisione in tutti i campi, a destra come a sinistra. Anche all’interno dello Stato d’Israele le posizioni di Benjamin Netanyahu non sono unanimi. Come prova, due ex ambasciatori israeliani in Francia, Nissim Zvili ed Elie Barnavi, hanno espresso sostegno al riconoscimento di uno Stato palestinese, mentre sanno benissimo che Israele potrà essere formalmente riconosciuto come occupante il territorio di uno Stato sovrano. Intendono protestare contro l’autismo di una classe politica israeliana che, dopo aver favorito Hamas a spese dei movimenti laici palestinesi, si sforza di delegittimare con tutti i mezzi l’Autorità palestinese per far credere che non ci sarà mai un partner con il quale dovrà negoziare”.

E gli arabi israeliani, che ancora rappresentano il 20% della popolazione dello Stato di Israele?

“Il 24 novembre, Benjamin Netanyahu ha fatto approvare un progetto di legge che non definisce più Israele come Stato “ebraico e democratico”, nonostante lo prevedano le leggi fondamentali che fungono da Costituzione, ma come ‘Stato nazionale del popolo ebraico’. Questo progetto di legge, proposto dall’ala dura del Likud, ma che è stato denunciato al procuratore generale Yehuda Weinstein, consigliere giuridico del governo, dall’ex ministro della Difesa Moshe Arens (che parla di ‘legge inutile e dannosa’) dal ministro della Giustizia Tzipi Livni e da altri cinque ministri, avrà l’effetto, se adottata, della perdita per la lingua araba del suo status storico di lingua ufficiale e che la legge religiosa preceda definitivamente la legge civile. Ciò aprirà la porta all’istituzionalizzazione delle nuove discriminazioni nei confronti della minoranza araba di Israele.

Agli arabi israeliani, a loro volta, non è stata mai riconosciuta la cittadinanza israeliana. La carta d’identità israeliana (Teudat zehut), rilasciata dal Ministero degli Interni, infatti, distingue nettamente fra cittadinanza e nazionalità. Quest’ultima può essere di natura politica, come è il caso per i residenti permanenti che hanno nazionalità straniera (si parla allora di ezrahout), ma per il caso generale, ha il significato di gruppo etnico (è definito le’om), il che significa che se c’è una cittadinanza israeliana comune, non esiste nazionalità israeliana comune: c’è uno Stato di Israele, una ‘nazione ebraica’, che include la Diaspora, ma non una nazione israeliana. Paradossalmente, è quindi solo all’estero che un arabo o un druso d’Israele potranno essere considerati di ‘nazionalità israeliana’, mentre nel senso proprio, non esiste.

*Gauthier per Boulevard Voltaire (www.bvoltaire.fr). Traduzione di Manlio Triggiani 

Nicolas Gauthier (traduzione di Manlio Triggiani)

Nicolas Gauthier (traduzione di Manlio Triggiani) su Barbadillo.it

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