A Fiume, Italia. Accompagnati da stelle danzanti. Per non dimenticare

10 Febbraio - Giorno del ricordo delle foibe e dell'esodo dal confine orientale

Era un lunedì dell’Angelo quando arrivai a Fiume… sì… avete capito bene a Fiume… Fiume d’Italia… come può venire in mente di passare il giorno di “pasquetta” in Croazia, a Fiume… Viene…punto!

Partire da Roma… arrivare a Trieste e poi da lì… muoversi oltre il confine…

Percorrere quei settanta chilometri che dividono le due città… inoltrarsi in quelle pagine di storia strappate per troppo tempo è stata la cosa più semplice del mondo…

Arrivai a Trieste in treno il sabato mattina all’alba… giusto in tempo per vedere il sole sorgere al molo Audace!

Ho sempre amato quella città… una città aperta, accogliente… disponibile… tenace…la “Città” di frontiera… l’ultima frontiera Italiana… in quell’estremo lembo che guarda verso est… ho sempre pensato a Trieste come alla capitale dell’irredentismo… come a una città che non si è mai rassegnata… nonostante i confini tracciati dalla geopolitica…

I suoi palazzi, le sue piazze, i vicoli, il molo Audace… i caffè… quella meravigliosa Piazza dell’Unità d’Italia… dove le facciate degli edifici al tramonto sembrano tingersi di azzurro… una città che mentre l’attraversi ti dà quella sensazione unica di sentirti sul palcoscenico del mondo e protagonista della storia…dei suoi travagli e delle sue ferite.

Stavo leggendo il libro di Gabriele Marconi “Le stelle danzanti” quando partii da Roma… un segno del destino? Chissà…

Mentre il treno avanza, la lettura procede veloce… durante la notte mando sms a Gabriele di complimenti… arrivo a Trieste che manca un capitolo alla fine… è bellissimo e non voglio che finisca… voglio centellinarne la lettura… quasi come ad esorcizzare la fine di una delle pagine più “epiche” della nostra Storia… quella dell’Impresa Fiumana…

Mentre vado verso l’albergo a posare la valigia sento che devo assolutamente andare a Fiume… sono qui… a due passi… sento la necessità di seguire le orme di Giulio! Sono venuta a trovare degli amici, a passare qualche giorno con loro… Carlo all’inizio è un po’ perplesso, per la verità, ma dura poco… lo travolgo con il romanzo che sto leggendo… gli racconto di Giulio e Marco…  si lascia contagiare dal mio entusiasmo…

Mando un sms a Gabriele: ‘lunedì vado a Fiume, sulle tracce di Marco e Giulio, sorrido… la sua risposta: ‘Bellissimo, beata te, lascia il libro nella chiesa di San Vito’… non ho ancora finito di leggerlo… pensai… ma fu solo un attimo…

Compresi perfettamente il valore simbolico del desiderio di Gabriele… non era il romanticismo dell’autore… o chissà che cosa… era molto di più…

era che “Le stelle danzanti” sarebbero tornate a Fiume… dopo il Natale di sangue che aveva messo fine all’Impresa… in un lunedì dell’Angelo… di 90 anni dopo… ci sarebbero tornate…

 

Cosi Gabriele D’annunzio descriverà quei giorni:

«Il delitto è consumato. Le truppe regie hanno dato a Fiume il Natale funebre. Nella notte trasportiamo sulle barelle i nostri feriti e i nostri morti. Resistiamo disperatamente, uno contro dieci,  uno contro venti. Nessuno passerà, se non sopra i nostri corpi. Abbiamo fatto saltare tutti i ponti dell’Eneo. Combatteremo tutta la notte. E domani alla prima luce del giorno speriamo di guardare in faccia gli assassini della città martire».

 

Natale di Sangue – Lunedì dell’Angelo…

Passai sabato e domenica tra Trieste e Draga Sant’Elia, una frazione del comune di  San Dorligo della Valle … a pochi metri dalla linea di confine sloveno…a ridosso della vecchia linea Morgan…

Arriva lunedì… Carlo viene a prendermi… controlliamo di avere i documenti… e si parte…

Alla frontiera il personale non è gentile… ma non ci faccio caso… controllano e ricontrollano, ci guardano… ci riguardano… ma poi mettono il timbro sul passaporto… possiamo andare… alla nostra destra un cartello con su scritto: Republika Hrvaška… ci guardiamo… complici… possiamo addentrarci nelle terre irredente…

Il viaggio verso sud procede amabilmente… ci guardiamo intorno… lui è di Trieste a quel paesaggio è abituato… anche se mi confessa di non aver attraversato molte volte il confine… ma io no… è la terza volta che attraverso quel confine, le prime due nel 1992, Zagabria, portavamo aiuti umanitari ai profughi fuggiti dalle aree di conflitto.

Guardo tutto, osservo tutto… le case, il paesaggio, la terra rossa… cerco di immaginare le azioni e i volti di chi un giorno, non molto lontano, abitava quei luoghi… immagino gli italiani in fuga… mi sembra di sentire le loro grida… le esecuzioni… le foibe… penso a quel terreno come a un’immensa fossa comune… tento, con scarso successo, di scorgere residui di italianità in quei settanta chilometri che separano Trieste da Fiume…

Un cartello lungo la strada indica che siamo a Rijeka… così si chiama oggi Fiume… siamo arrivati… lasciamo la macchina al molo… e comincia l’avventura. Il cielo è grigio… la città sembra essere avvolta da una cappa che non lascia respirare… un’aria crepuscolare… mette malinconia… le strade sono quasi deserte… gli antichi palazzi degradati… scritte dappertutto… a guardarla sembra lontana anni luce dagli antichi fasti, dalla Fiume cantata da Comisso e da D’annunzio e anche dal romanzo di Gabriele…

Nessuno dei due ci era mai stato prima… non sappiamo dove siamo, la direzione da prendere… le strade hanno indicazioni in croato… c’è un’edicola aperta mi avvicino e chiedo una mappa della città in Italiano, la ragazza mi risponde Hrvaško… francese… dico io… e lei : Hrvaško… inglese? Hrvaško… Capito… solo in croato… la prendo e  chiedo quant’è… mi dice il prezzo in kune… che ovviamente non ho capito… chiedo se è possibile pagare in euro… mi fa cenno di no con la testa… dico ok… vado al bancomat a prelevare dei soldi… torno e pago in moneta croata…

L’edicola è lungo la strada che costeggia il molo… guardo il mare… è l’Adriatico… penso che sulla linea dell’orizzonte… là dove finisce il mare… c’è l’Italia… la costa adriatica… l’Italia così vicina eppure ormai così lontana…

Ovviamente dalla mappa non si capisce nulla… mentre cerchiamo di orientarci vedo la Torre dell’orologio… ci siamo… seguiamo la nostra stella polare… la Torre dell’orologio è uno degli ingressi principali nella città, l’ingresso dal porto… spesse volte citata dai cantori di Fiume…

Arriviamo al Corso… immagino cosa fosse nel 1919… sogno ad occhi aperti…

vedo gli arditi, i futuristi, gli anarchici, musicisti, scrittori, poeti, letterati… che popolano la via… percepisco il fermento… le passioni e le pulsioni di una generazione ardita… che non si arrese alle logiche della geopolitica… tento di immaginare Marinetti, Keller, Comisso, Host – Venturi… De Ambris…

le bandiere italiane sventolare sulla torre… la bandiera con la costellazione dell’Orsa maggiore… la Carta del Carnaro… le donne… D’Annunzio… sento nell’aria il profumo della ri-vo-lu-zio-ne

Parlo a voce alta… Carlo mi richiama alla realtà… ci addentriamo nella città, entrando dalla Torre dell’orologio, con una mappa praticamente inutile… troviamo la chiesa di San Vito… in cima alla salita… il portone in bronzo è chiuso… No!… la delusione è tanta ma non mi perdo d’animo… Vedo una porticina laterale, è la canonica, con un citofono…

mi hanno sempre detto che tutti i cattolici parlano almeno un po’ di italiano… quindi suono… a rispondere una voce femminile in croato… la interrompo immediatamente facendo la domanda in italiano: “Salve, sono italiana, chiedo scusa per il disturbo… vorrei sapere gli orari di apertura della chiesa” … la voce gentilmente mi risponde… in italiano, aveva funzionato… che la chiesa apre alle 17… Grazie, rispondo, a più tardi allora…

Ci guardiamo in faccia io e Carlo come avessimo scalato la vetta dell’Everest… perché adesso sappiamo che è solo  una questione di attesa…

Facciamo un giro di perlustrazione… e poi ci sediamo in un ristorante per il pranzo… a farci compagnia una musica di sottofondo che ricorda molto il rock identitario… quello che ci piace tanto… la musica non ha veramente confini…  Il pranzo è discreto… e le considerazioni molte… perché la città è veramente triste… Fiume sembra essere attraversata da quella tristezza che non lascia speranza… senza prospettiva alcuna… i volti sembrano quelli di esseri umani rassegnati a vivere sotto un cielo grigio che  non si apre mai… avvolti in una coltre dalla quale non penetra mai uno squarcio di luce… Crepuscolare… decadente… vorrei essere nella testa di chi decise di restare… quanto avrà sofferto… o quanto avrà venduto cara l’anima… guardando il mare… pensando che sull’altra riva di quello stesso mare c’era l’Italia…

 

Mentre scrivo questo racconto… nel febbraio 2012… un fiume spontaneo che sgorga dai miei ricordi  e dalle fotografie… di quel giorno…  mi viene in mente un passaggio meraviglioso… di un monologo… scritto da Paolo Logli e Luca Violini…  “Quell’enorme lapide bianca” … dice cosi:

…Ottobre era bello, dalle nostre parti. Oltre la recinzione, mi immagino l’Adriatico, e mi arriva quell’odore che conosco. E’ una serata bella, limpida. Mi sono chiesto come ma qui, non si veda il sole scendere nel mare.  E all’improvviso, mi sono accorto che sono dall’altra parte. Mi sono sentito uno sciocco. Ma ho pensato che dall’altra parte dalla nostra, Ive – l’Adriatico ha lo stesso odore. Odore di buono. Di pesce, di mare da attraversare per andare lontano… e poi tornare, però. A casa… così mi sono chiesto dov’era, casa.”

 

Sono le 14 quando torniamo a scoprire la città… camminiamo senza meta… passeggiando nei vicoli… incontriamo palazzi meravigliosi del periodo austroungarico in completo abbandono… facciate scrostate… palazzi anneriti dallo smog… cubi di cemento armato… che sembrano delle giganti conigliere, espressione dell’architettura comunista impostasi prepotentemente con i suoi canoni incurante del contesto… una  colonna del sedicesimo secolo con inciso  San Vito… una lapide del periodo austroungarico dove Maria Teresa d’Austria ringrazia i cittadini di Fiume, in Italiano… finalmente un Tricolore sventolare da un palazzo sede del consolato… una targa in ottone con su scritto Caffè bar “Circolo” comunità degli italiani… un bellissimo edificio appena restaurato sede della scuola italiana e anche di una biblioteca civica…  un palazzo con la scritta appena visibile: Teatro Fenice… una via:  Via Giuseppe Verdi, l’unica indicazione bilingue che abbiamo trovato… il simbolo del Risorgimento italiano… sono questi gli unici segni rimasti della presenza dell’Italia a Fiume…

Arriviamo in un grande piazza… tra palazzi ottocenteschi… un enorme piazzale di cemento colorato di giallo… con delle colonne di circa mezzo metro a delimitarne gli spazi…  ci chiediamo cosa fosse mai quell’orrore… un pugno nello stomaco… un affronto anche al pessimo gusto… scatto delle foto per immortalare quel brutto… e forse la sensazione che provo… che mi da… fotografo nel tentativo di fermare l’immagine di non so neanche io che cosa…  ma mi sento attratta da quel posto…  dopo varie domande e risposte… io e Carlo concludiamo che potrebbe essere un  parcheggio degli autobus… dove dei Writer poco capaci e poco creativi hanno fatto degli scarabocchi sui muretti … hanno espresso la loro decadente creatività… per la maggior parte croci… rendendo la piazza simile a un camposanto… un enorme camposanto… nel cuore della città… l’immagine è forte…

Sono finalmente le 17…  andiamo verso San Vito, il portone è aperto… entriamo… la chiesa è bellissima… Gabriele racconta nel suo romanzo di un concerto diretto dal maestro Toscanini proprio qui per festeggiare il primo anniversario dell’Impresa… settembre del 1920…

prendo il libro dalla mia borsa… scrivo la data… il mio nome e quello di Carlo… un messaggio per il prossimo ‘lettore’,  con la speranza che fosse un ex italiano… e cerchiamo un posto dove lasciarlo… mi siedo nella penultima fila… ma non va bene… troppo a vista… sulla destra della chiesa,  vicino a una tomba non meglio identificata, c’è un leggio… a vista ma non troppo… Lì mi dico… guardo che nessuno mi veda… e lo lascio lì…

Carlo aveva recuperato le mie cose… e mi guardava dal fondo della chiesa… ce l’avevamo fatta… Torniamo verso il porto in silenzio…

Ci sediamo sulla banchina… a respirare l’aria di mare… il mare Adriatico… sono passati alcuni minuti…  dall’uscita della chiesa…  ma nessuno dei due rompe il silenzio… sarebbe stato come rompere un incantesimo…

Quando a un certo punto si sente la sirena di un piroscafo…

Le stelle danzanti  sono tornate a Fiume… dissi, dopo 90 anni quasi…

Costeggiamo il molo per tornare alla macchina… su lungo mare di Fiume… cerco di immaginare cosa fosse quel tratto di terra tra il ‘43 e il ‘45…

il travaglio dell’esodo… i tormenti… partire o restare,  e gli altri… cosa fanno gli altri? famiglie divise… radici recise… anziani strappati alla loro storia… il terrore di essere infoibati… partire o restare… cosa lascio e cosa troverò??? Quale la via giusta? La scelta giusta…

 

Un esule, Ciso Bolis, racconterà così quei giorni: “Qual era? Quella  mesta  dell’esilio, dello straziante addio alla diletta terra nativa o quella della percezione di una grama vita futura accettando di restare a casa propria, epperò bollati come sudditi indesiderati? Questo fu il dilemma che assillò a lungo le nostre genti della diaspora: abbandonare l’avita dimora , andare o soggiacere al tallone straniero, e quindi restare. La indotta partenza dei nostri conterranei  non fu che la coerente prospettiva  di una lunga e brutale via crucis, disseminata di innumerevoli torti e pretestuose angherie, studiati e concretizzati nelle più squallide ingiustizie”.

 

Per oltre dodicimila di loro non ci fu neanche questadi possibilità… la possibilità di scegliere… né per jus soli… né per jus sanguinis… perché finirono nelle cavità carsiche… morirono infoibati…

Tre-cen-to-cin-quan-ta-mi-la scelsero l’Esodo… preferirono l’Italia alla Jugoslavia!!!

Tre-cen-to-cin-quan-ta-mi-la “Giuliano-Dalmati” scelsero di essere Italiani… lasciando tutto… rinunciando a tutto… e nel 150° anniversario dell’unità d’Italia a loro va riservato un posto d’onore… perché  “Loro” hanno scelto, nel momento peggiore… nel momento in cui qualcuno diceva:  tutto è contro di noi… tranne la vostra personale cortesia… di essere Italiani.

Il viaggio di ritorno fu molto silenzioso… entrambi stavamo assimilando quello che avevamo visto… quello che ci eravamo detti… ma soprattutto quello che non ci eravamo detti… quando a un certo punto Carlo si ferma in una strada fuori città e mi dice scendi… pochi passi tra piccoli arbusti… e un’immensa lastra di cemento con una croce sopra… era la Foiba di Opicina… lì davanti a quella lastra di cemento… provai la stessa sensazione che ebbi al parcheggio di Fiume… e mi chiesi: chissà se sotto quel parcheggio ci sono italiani?

Ripartiamo… dopo un po’ vedo un muro di cinta… gli chiedo: cos’è… lui si ferma e mi dice: scendiamo… La Foiba di Basovizza… una targa del presidente Carlo Azelio Ciampi… datata febbraio 2004… c’erano voluti così tanti anni… c’erano voluti 60 anni… Come è stato possibile? Come è stato possibile che queste storie siano rimaste sepolte per così tanto tempo? Come è stata possibile questa omertà? Com’è possibile che gli italiani ancora oggi abbiano paura delle parole e della loro storia? Dopo 70 anni? C’è ancora chi tenta di negare, ridimensionare o giustificare… l’Italia non sarà mai una patria unita fino a quando non si troverà un punto d’incontro… gli italiani non hanno ancora capito che è necessario raccontare tutte le pagine che la compongono anche quelle che non ci piacciono… o che mettono in discussione il pensiero unico dominate… perché la storia per avere la giusta dignità deve essere riconosciuta da tutte la parti in causa… altrimenti non è la Storia… è storia di parte… non ci possono essere pagine strappate per volontà di chi vuol cancellare un passato poco dignitoso…

La sera stessa presi il treno e me ne tornai a Roma… Durante il viaggio di ritorno pensai agli esuli che avevo conosciuto nella mia vita… erano molti… di Pola, di Zara, di Fiume… con storie personali diverse… vicende familiari differenti… l’unico comune denominatore: erano orgogliosamente italiani…

Nel 2011 leggo il libro del professor Stefano Zecchi… “Quando ci batteva forte il cuore”… edito da Mondadori… un romanzo bellissimo… racconta un rapporto padre e figlio … che parte da Pola e arriverà fino a Trieste… una fuga per la vita… E così mi sono ritrovata a ripercorre quei sentieri che avevo attraversato… quel lunedì dell’Angelo

Roberta Di Casimirro

Roberta Di Casimirro su Barbadillo.it

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