Cultura. The Right Nation: anatomia dei conservatori americani

$_1Dieci anni fa usciva in Italia, col titolo di La Destra Giusta. Storia e geografia dell’America che si sente giusta perché è di destra” (Mondadori, pp. 484), The Right Nation, opera di due noti giornalisti di The Economist, John Micklethwait e Adrian Woolridge. Il libro ripercorre la storia del movimento conservatore americano, identificato con la vasta area di influenza del Partito Repubblicano: una parabola che da Barry Goldwater si estende fino ai Bush coinvolgendo figure, movimenti e istituzioni come Reagan, Buckley e la sua raffinata National Review, e la Heritage Foundation.

Erano i primi anni del secondo mandato Bush, il GOP era all’apice delle sue possibilità: la guerra in Iraq non aveva ancora rivelato l’incapacità dell’amministrazione nel gestire una difficile situazione da lei stessa creata, e mancavano ancora il tornado rappresentato da Obama e dalla crisi economica. L’avvento di Obama nel 2008 rappresentò per gran parte dell’opinione pubblica internazionale e segnatamente europea, la fine di un incubo e il ritorno degli USA alle sue più genuine aspirazioni ponendo fine a quella che, ai suoi occhi, non era altro che un anomalo rigurgito della peggio America, sciovinista, bigotta e ultraliberista.

Sono trascorsi 6 anni da allora e, benché pochi europei siano disposti ad ammetterlo, la situazione si è quasi completamente ribaltata. Le elezioni mid-term di novembre hanno rivelato l’avanzata dei repubblicani, i quali hanno conquistato 52 seggi al Senato a fronte dei 44 dei democratici, e alla Camera 247 contro 188; inoltre il GOP è tornato al governo in quasi tutti gli stati in bilico e, al contrario, i democratici hanno perso un numero di seggi come non accadeva al partito di governo dai tempi di Truman. Com’è possibile che, dopo la disastrosa amministrazione Bush e i tentativi di appannate figure come McCain e Romney, i conservatori tornino a vincere? E per di più in quella che dovrebbe essere l’America liberal e rinnovata di Obama? Un grande interrogativo che pochi, sono disposti a prendere in considerazione, ma che si presenta più impellente che mai. E il libro dei due giornalisti inglesi resta a tutt’oggi una pietra miliare per comprenderne le ragioni.

Per un europeo medio la cui idea di America si ferma alle metropoli delle coste, atlantica e pacifica, è difficile configurarsi gli States, la prima nazione compiutamente repubblicana, come un paese conservatore, ma a distanza di anni la panoramica offerta da Micklethwait e Woolridge non lascia dubbi.

Innanzitutto, il conservatorismo statunitense, benché in Europa sia stato preso seriamente (e criticamente) in considerazione solo negli anni ’70 da due tedeschi, Gerd-Klaus Kaltenbrunner e Caspar von Schrenck-Notzing, ha una storia di tutto rispetto poiché nelle sue file non mancano intellettuali della levatura di Leo Strauss, Robert Nesbit, Fukuyama e l’indubbiamente più suggestivo Russell Kirk. E se gran parte del centrosinistra europeo si richiama all’esperienza di Obama, è anche vero che i Tories britannici, almeno dalla Thatcher in poi, e parte della destra cattolica, segnatamente quella italiana, non fanno mistero dei propri legami oltreoceano. Malgrado ciò, la vera forza dell’America conservatrice non sta tra i suoi accademici, ma nel cuore stesso degli States. Il movimento conservatore, molto più di un partito, non solo ha una capillare e ben radicata sul territorio organizzazione di think-tank, fondazioni, riviste ed istituzioni scolastiche come nessun altra corrente d’opinione, ma è l’unico capace di sfruttare le contraddizioni della società americana a suo vantaggio. Si tratta infatti di un fenomeno variegato che spazia dai neocon al Tea Party, dai libertari alla destra religiosa. Schrenck-Notzing lo definì già allora “il concetto superiore per l’unione di due tendenze differenti tra loro, l’ala tradizionalistica (di critica alla cultura, moderatamente statalistica, filosofico-letteraria) e l’ala libertaria (individualistica, riduttiva nel campo dei compiti statali)”.

Nessun movimento politico è stato capace di riunire in sé tanti aspetti contradditori, quasi paradossali: materialismo edonista senza freni e spirito religioso, patriottismo e malcontento antigovernativo. Difatti le stesse contraddizioni che animano gli USA. Ed è per questo che l’America profonda, l’America dell’heartland e dei sobborghi, della Sun belt e di Dixieland, l’America sconosciuta, dimenticata dagli europei, è l’America maggioritaria naturaliter conservatrice con la quale ogni candidato alla presidenza deve misurarsi per vincere.

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Niccolò Nobile

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