StorieDiCalcio. Di padre in figlio, il Qpr dei signori Churchill

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Churchill consegna la FA cup al Newcastle

Di padre in figlio, già. La passione si tramanda, si eredita. Più è irrazionale, più è gratuita, più è forte. E poco importa se sei un grand’uomo, ti innamori e basta anche se lei non ha mai mai vinto niente e l’unico trofeo mai guadagnato, una League Cup, è stato messo in bacheca due anni dopo la tua morte. E poi, più niente: anni di clamorose vittorie e di fallimenti, sulle montagne russe del destino, del fato e degli avventurieri.

Il Queens Park Rangers è una delle squadre più suggestive di Londra, nonostante tutto. L’Italia è attratta da tutto ciò che è esotico, era inevitabile – perciò – che quella maglia a cerchi, bianchi e blu, finisse per imprimersi a fondo nell’immaginario collettivo sul calcio inglese, quello delle differite su Tele Capo d’Istria, decenni prima di internet e connessione. La base del club, che asserisce di essere nato nel 1882 ma le cui prime notizie certe risalirebbero a non prima di cinque-sei anni dopo, è a Shepherd’s Bush. La tana degli Hoops è Loftus Road, diciottomila e rotti posti a sedere. Oggi la trovate adagiata al terzultimo posto della Premier League, con l’ansia dell’ennesima retrocessione e una manciata di punti da conquistare subito per non ritornare in seconda divisione.

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Se siete di quelli che si esaltano per i trofei, dediti alla contabilità dei tituli, il Qpr, non potrà mai essere una di quelle squadre per le quali tifare. Nemmeno ai tempi dei pionieri, quando – stagione di grazia 1890/91 – tra i “patron” del club di Shepherd’s Bush figurava, secondo alcuni documenti pubblicati anche su internet, un certo signor Churchill. Lord Randolph Churchill, baffoni a manubrio – come moda dell’epoca imponeva – e una brillante carriera politica sotto l’insegna del Partito Conservatore, a cui impose il simbolo della Primula. Giunse fino alla poltrona di ministro dell’Economia ma qui fece un patatrac e fu costretto a rifugiarsi in fretta e furia nelle Indie, in qualità di Governatore. Fu un complotto, dicono. Nella misteriosa terra degli Ari, Churchill senior contrasse una malattia che prima ne mandò in frantumi l’equilibrio psichico e poi lo uccise. Lord Randolph, però, passerà alla storia lo stesso. Come padre del futuro British Bulldog, Winston Churchill.

Su Churchill “junior” s’è scritto e detto di tutto. Citato, citatissimo nelle sue convinzioni, visioni, fissazioni e contraddizioni. Fissato, Winston Churchill, lo era anche per il calcio. E segnatamente per la squadra del papà, appunto il Qpr. Che aveva visto traslocare più volte, che aveva visto addirittura mutare colore dato che, in origine, i cerchi non erano biancoblù ma biancoverdi come quelli del Celtic di Glasgow. Stravedeva, Winston Churchill, per sir Stanley Matthews, “il mago” lo chiamava. Anche se con la maglia del Qpr non c’ha giocato mai. E con una metafora pallonara commenterà anche l’approccio italiano al secondo dopoguerra.

Quel Qpr non vinceva niente. Lascerà sia il padre che il figlio a bocca asciutta. Manco fosse stata una maledizione. Che ironia, però, se si pensa che l’uomo simbolo dell’ultima grandeur britannica non sia riuscito a godersi una stracciata vittoria dei suoi. E pensare che almeno Bettino Craxi – così asseriscono le male lingue – fece in tempo a godersi la “sua” Cremonese in serie A, un successone per l’epoca.

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La bellezza del calcio è proprio nel fatto che non guarda in faccia a nessuno. O, almeno, non dovrebbe farlo. Puoi convincere un intero popolo a seguirti in guerra, puoi guidarlo fino alla vittoria ma il calcio segue le sue regole che se ne fregano del fatto che tu, a Yalta, ti sia seduto tra i potenti della terra. Il pallone è stato rotondo anche per chi s’illuse di rifondare l’impero vittoriano.

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Giovanni Vasso

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