Libri. “Parco dei divertimenti” di Palazzeschi fra Futurismo calcio e politica

Palazzeschi in studioLo spirito futurista non abbandona Palazzeschi perfino nella fase del “ritorno all’ordine”. Nel corso della sua carriera lo scrittore fiorentino rielabora e supera l’esperienza del Futurismo ma il carisma del movimento marinettiano permane nella stesura delle sue opere più equilibrate sia sul piano delle idee che dello stile. La fedeltà al Futurismo accompagna Palazzeschi anche in seguito al suo distacco dal movimento, concretizzatosi il 28 aprile 1914 con una lettera a Giuseppe Prezzolini pubblicata su «La Voce»; Palazzeschi si era infatti accostato già da un paio d’anni al gruppo costituitosi intorno alla rivista «Lacerba» capeggiato da Giovanni Papini e Ardengo Soffici, che avevano accusato Marinetti di aver tradito lo spirito del Futurismo, trasformandolo – scriverà Papini – ­in una «bassa democrazia bigotta dove chiunque poteva entrare snocciolando un rosario d’incomprese parole». Palazzeschi non rinnegherà mai il Futurismo, anzi ne prenderà le difese in numerose interviste. Già nel 1911, per preservare la coesione all’interno del movimento, aveva indossato la veste di paciere favorendo la riconciliazione fra il gruppo fiorentino e quello milanese dopo una scazzottata presso la Stazione di Santa Maria Novella.

Le veneri dell’iconoclastia di matrice futurista, seppure in forma mitigata, segneranno dunque le opere del fiorentino, nondimeno i suoi scritti giornalistici, ora recuperati e raccolti, insieme a ricordi e testimonianze autobiografiche, risposte a inchieste letterarie, recensioni e introduzione a libri, nel volume “Parco dei divertimenti”, di recente uscita per i tipi delle Edizioni di Storia e Letteratura.

L’opera raccoglie gli scritti non passati in raccolte d’autore, la produzione giornalistica e pubblicistica mai riunita in volumi. Si tratta di centosedici scritti di varia lunghezza e di varia natura, registro e stile, compresi, in Appendice, interventi che constano solo di alcune righe, che coprono tutto l’arco della vita di Palazzeschi: dalla prima recensione a Fraternità del crepuscolare Marino Moretti apparsa sul quotidiano politico Lega Lombarda il 4 febbraio 1906, sino agli ultimi interventi del 1974.
Rappresentano un corpus di grande interesse che si integra e si intreccia con le opere più note, permettendo approfondimenti in sede biografica e critica.
La successione cronologica dei testi presenta tematiche che rimandano a corrispondenti fasi biografiche e artistiche e ci rivela interessi disparati e trattazioni originali.

Nel corso della sua carriera Palazzeschi collabora a «Pegaso» e «Pan» di Ugo Ojetti, scrive su «Il Selvaggio» di Mino Maccari, «Omnibus» di Leo Longanesi e «Prospettive» di Curzio Malaparte; supporta economicamente «L’Universale» di Berto Ricci – con cui intesse un lungo rapporto d’amicizia che ha termine soltanto con la morte di questi in guerra –. Nel corso degli anni Cinquanta cura una rubrica cinematografica sul settimanale «Epoca», dove suoi bersagli sono il Neorealismo e i registi “impegnati”, e collabora alla terza pagina del Corriere della Sera.
Nel volume qui presentato si leggono recensioni a Svevo, Montale, Bilenchi, Bevilacqua; ricordi degli amici scomparsi (Corazzini, Marinetti, Vallecchi, Mondadori, Soffici); valutazioni storiche, artistiche e letterarie (brani sul regionalismo e la situazione politica del dopoguerra, sulle avanguardie, sulla poesia e il romanzo in Italia); elzeviri di costume e d’attualità (dalla cronaca, allo sport, alla gastronomia); omaggi ai luoghi dove Palazzeschi ha trascorso gran parte della sua vita, Firenze, Roma, Venezia, ma anche Parigi e Taranto; profonde riflessioni sul Cristianesimo – anche se non esprimono in maniera esaustiva il rapporto di Palazzeschi con la religione cattolica -­, la bellezza, la natura e il senso dell’esistenza.

Recensioni
Le recensioni per Palazzeschi divengono spesso pretesto per «per imprevedibili ricreazioni di un osservatore dall’estro bizzarro e caustico», «ritratti d’ambiente e di costume», noterà il critico vociano Giuseppe De Robertis: ne è esempio Come conobbi Achille Campanile, recensione di due libri di Campanile, apparsa il 10 ottobre 1930 su «Pègaso», rivista tradizionalista e letterariamente “borghese” diretta da Ugo Ojetti. Per recensire due ultime uscite di Campanile, lo scrittore ricorre a un curioso espediente aneddotico: mentre è sdraiato sulla spiaggia di Venezia, e si gira e rigira, nota due ragazze che discutono «del più e del meno» in compagnia di un giovane, quando quest’ultimo esterna il disprezzo che nutre nei confronti dei libri d’amore e dei loro autori, tra questi Achille Campanile, qui accostato ai futuristi, attirando così l’attenzione di Palazzeschi: «E Campanile? Hanno letto “Ma che cos’è quest’amore?”, Io non so che gli farei a quello! Quello è peggio dei futuristi! All’offesa lanciata verso bandiere che mi appartennero, essendomi io solo pentito al mondo delle cose che non feci, sentii scattare come una molla dentro di me, e fui sul punto di balzare tremendo contro il villano pretenzioso». Desiste dall’intervenire, ma ricorda di aver letto due libri di Achille Campanile…
Il pezzo forte della raccolta, di grande inventiva e accostabile al meglio degli scritti di Palazzeschi, è Son tifoso anch’io, pubblicato il 1 maggio 1935 su «Pan», altra rivista diretta da Ugo Ojetti: si tratta di una recensione dell’opera collettiva Prima antologia degli scrittori sportivi, a cura di Giovanni Titta Rosa.
In essa P. rievoca la prima partita di calcio cui ebbe ad assistere, una delle prime che peraltro si disputarono nello Stadio di Firenze, situato fra le colline di Fiesole.
«Una giornata molto grigia di fine novembre», così annebbiata da velare le colline che circondano lo Stadio e la stessa Fiesole, che «di tanto in tanto si sporgeva dalle nuvole per vedere la partita», ma «con la pacatezza di una nonna che fa la calza sul vecchio canapè, e ogni tanto il sole le fa luccicare gli occhiali, al disopra dei quali dà occhiate per vedere i nipotini giocare»; la nebbia invade il campo «da non vedere i giocatori che appaiono e scompaiono come ombre». Gli spettatori si accalcano attorno alla recinzione come «detenuti che si aggrappano alle grate del parlatorio per avvicinarsi il più possibile alle persone care».
L’azione sembra essersi trasferita sott’acqua, sul fondo del mare: «Mi parve veramente di essere nel fondo del mare» e i giocatori che «di tanto in tanto apparivano e sparivano» divengono ai suoi occhi «pesci», «e i movimenti delle loro braccia e delle loro gambe, movimenti di pinne». All’improvviso «per un miracoloso diradarsi della nebbia fu possibile distinguere la porta; e di lì subito un gol di Pitto che chiudeva la porta. Prodigioso colpo dato di testa col corpo orizzontale e per intero elevato da terra. Esattamente come lo avrebbe dato un pesce. Il portiere si buttò a nuoto ma inutilmente». Così, immedesimatosi nell’azione, vittima della sua fantasia, Palazzeschi grida «Son pesce! son pesce!» catturando gli sguardi degli astanti che trovano tuttavia «naturalissima» l’esclamazione.

Le inchieste
È più volte interpellato in inchieste letterarie, politiche e di costume. Palazzeschi interviene nella Battaglia per il libro, un’iniziativa indetta dall’editore Vallecchi volta a promuovere la lettura: gli italiani allora come oggi si rivelano dei lettori deboli. A quanti si rammaricano del poco amore degli italiani verso i libri, Palazzeschi dopo aver parodiato le espressioni che i benpensanti pronunciano in tali circostanze («sconcertante, deprimente…», «specialmente per uno scrittore» aggiunge l’autore di Perelà) risolve a suo modo la questione incoraggiando gli italiani a leggere i suoi libri «tanto belli, lirici e fantastici»; la soddisfazione che ne deriverà sarà tale che «dovranno toccare il fondo delle patrie lettere».
Su «Quadrivio» di Interlandi, il 17 febbraio 1935, prende le difese del verso libero, che egli considera diretto sviluppo della letteratura di Dante, Petrarca, Ariosto e Leopardi, ossia «le basi su cui dovevano sorgere le nuove abilissime architetture».
Ne Il discorso si è fatto politico del febbraio ’56, sul quotidiano Il Caffè, interviene a proposito dell’inchiesta “Un’amabile disputa”: si chiede se il critico per ritenersi tale debba porsi al di sopra di ogni tendenza ideologica, rilevando i valori puramente estetici delle opere; oppure possa giudicare un’opera, per decretarne la riuscita, sulla base del suo portato ideologico, oltre che qualitativo. Palazzeschi, che si era visto stroncare su L’Unità prima I  fratelli Cuccoli nel ”48 poi Roma nel ”53, rifiuta la tendenza di certa critica a ricondurre ogni giudizio sul versante ideologico, a gettare ogni volta il discorso in politica. «Erano anni torbidi e violenti, in cui dapprima la cultura di sinistra e poi la cosiddetta [Neo]avanguardia immaginavano che la letteratura fosse una battaglia rissosa e crudele» ha ricordato qualche tempo fa Pietro Citati sul Corriere. Palazzeschi fa coincidere tale atteggiamento da parte della critica con l’assenza in Italia di un effettivo «regime democratico»: nel nostro paese la democrazia esiste che «nel gusto e nell’aspirazione di pochi».

La politica
In altri articoli si esprime in merito alla politica del suo tempo, con toni polemici ma senza per questo rivelare le sue preferenze. Lontano da ogni militanza, Palazzeschi, da gran signore, non si espone apertamente, almeno negli articoli; sono i carteggi intrattenuti con diverse personalità della cultura del tempo (Prezzolini, Vallecchi, Moretti) a rivelarci la sua posizione politica: se in un primo tempo, pur di impedire la vittoria dei comunisti sarà vicino alla DC, in seguito, soprattutto a partire dal “compromesso storico”, comincerà a rivalutare le proprie idee poltiche, e i toni accesi dell’avanguardia si riverseranno negli strali rivolti a quei democristiani compromessi a sinistra. Nel dicembre ”64 in occasione dell’elezione di Saragat a Presidente della Repubblica, si sfoga con l’amico Moretti lanciando parole di fuoco all’indirizzo della Democrazia Cristiana, complice della Sinistra, sino a parteggiare per la protesta inscenata dai monarchici:
«La democrazia Cristiana si è rivelata senza più veli quella bagascia da culo che è, cosa tristissima per chi aveva creduto potesse venire da quella parte saggezza e equilibro, e il parlamento qualcosa da farci vergognare di essere italiani. Ma quelli non hanno che un pensiero, il loro posto e il loro partito […] Bene hanno fatto quei monarchici che al momento dell’elezione, allo scoppio del falso entusiasmo, si sono messi a gridare: “Evviva il Re!”. I creatori di operette sono stati superati dal primo all’ultimo […] I popoli hanno il governo che meritano».

Ricordi
Seguono i ricordi degli amici scomparsi: Ricordo di Marinetti, in cui Palazzeschi evidenzia la capacità di Marinetti di intessere relazioni reali e comprensive anche con uomini che «per carattere e consuetudini» erano esattamente il suo contrario. L’occasione gli dà modo di osservare come al tempo delle avanguardie fosse possibile «fare a cazzotti» «per una poesia» o «per un quadro» come «oggi» accade per il «giro d’Italia» o una «partita di calcio».
Diffuse pagine dedicate al Futurismo trovano spazio nella raccolta. Esse risalgono ad un arco di tempo, tra gli anni Cinquanta e i Settanta, in cui il Futurismo era totalmente ostracizzato: siamo in pieno dominio marxista e strutturalista. Tra gli scritti primeggiano l’introduzione al Meridiano Teoria e invenzione futurista, che raccoglie gran parte della produzione di FT Marinetti; e il gustoso e aneddotico Ricordo di Ardengo Soffici: trascrizione dell’intervento orale di Palazzeschi alla cerimonia conclusiva del Premio Nazionale d’arte “A. Soffici”. In esso Palazzeschi ripercorre la prestigiosa carriera dell’amico, aprendo e chiudendo il discorso con il ricordo di una piccola diligenza, su cui era solito viaggiare in compagnia di Soffici, che faceva la spola fra Poggio a Caiano, dove risiedeva Ardengo, e Prato. Palazzeschi si sofferma sulla figura del conduttore e proprietario del mezzo, una tale di nome Berto: pur non avendo piena conoscenza degli argomenti e dei personaggi di cui i due artisti di volta in volta discorrevano, conosceva, ­ «nello spirito», «la loro mitica esistenza, sapeva che eran degni di interesse e di rispetto, sia che parlassimo di Michelangelo, di Giotto o di Masaccio come di Leopardi […] o del Boccaccio»:
«Seduti a cassetta vicini a lui, e carezzato da un refrigerante venticello, parlavamo d’arte, e Ardengo ne parlava senza respiro. Il suo giovanile entusiasmo [di Soffici] lo portava in ogni compagnia a prendere il banco, e una volta perso, la cosa più difficile si presentava quella di portarglielo via, anche perché su qualunque problema o argomento il suo parlare toscano, schietto e colorito, era piacevolissimo».

Scontro tra avanguardie
In Filo diretto Palazzeschi­-Sanguineti, apparso sul Corriere della Sera del 22 ottobre 1967 il futurista polemizza con l’esponente di spicco della Neoavanguardia, Edoardo Sanguineti. La “trilogia del vegliardo” era parsa a molti critici un ritorno alle forme inquiete del Futurismo; lo sperimentalismo linguistico dell’ultima produzione palazzeschiana non poteva non catalizzare l’attenzione dei neoavanguardisti. Ma Palazzeschi non sembra apprezzare e ne prende così le distanze: «Coloro che furono avanguardisti cinquant’anni fa, saranno i più acerrimi nemici degli avanguardisti d’oggi, giacché la loro avanguardia è passata alla storia senza che se ne siano accorti, e a quella come ostriche sono rimasti attaccati. E dunque, caro Sanguineti, che cos’è mai questa avanguardia?».

Gli scritti raccolti in Parco dei divertimenti, in cui la voce dell’autore non è mediata da nessun personaggio o artificio narrativo, se da un lato ci offrono le parole di un Palazzeschi minore ma non per questo meno importante o significativo, dall’altro consentono, non proprio di ricostruire (in tal caso si dovrebbe ricorrere ai carteggi) ma di farsi un’idea di quella che doveva essere la dimensione più quotidiana e intima dell’autore, e nello stesso tempo di conoscere i pensieri e i giudizi – pubblici – dell’uomo inserito e coinvolto nelle vicende del proprio tempo.

*Parco dei divertimenti. Scritti sparsi (1906-1974), di A. Palazzeschi, (pp. 374, euro 48,00, Edizioni di Storia e Letteratura)

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Baccio Bettini

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