Cultura. Eduardo Galeano e l’anima letteraria del Futbol

galeano«Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio». Parole di Eduardo Galeano, uno fra gli scrittori al mondo che meglio hanno saputo interpretare l’anima del fùtbol, così lontana da una semplice disciplina sportiva e tanto più dall’immagine di show televisivo che viene contrabbandata dall’odierno mondo del pallone. Con lui, Osvaldo Soriano, Giovani Arpino, Nick Hornby e pochi altri, il calcio è uscito dalle cronache dei giornali per entrare a pieno titolo nella letteratura.

Se la sua opera più nota è di carattere politico (Le vene aperte dell’America Latina, del 1971, ancor oggi considerata uno dei capisaldi della letteratura sudamericana), in tempi più recenti, nel 1997, aveva pubblicato El fùtbol a sol y sombra, tradotto in Italia come Splendori e miserie del mondo del calcio, vero compendio storico, sociologico e mitologico dello sport più amato nel mondo, che in Sudamerica (Galeano era uruguaiano) assume spesso significati che vanno molto al di là della semplice competizione fra squadre.

A questo proposito lo scrittore di Montevideo, tifosissimo del Nacional (la squadra in cui giocarono Atilio Garcia, Hector Castro, Victorino e in tempi più recenti Recoba, Suarez e Cavani), era solito bacchettare l’intelligentsia di sinistra che per ragioni ideologiche si rifiutava di capire il fascino del calcio sulle masse popolari, etichettandolo come panem et circenses: «Per gli intellettuali di sinistra, il calcio impedisce che il popolo pensi. Per quelli di destra è la prova che pensa con i piedi». Al tempo stesso Galeano criticava il «patto scellerato» che il fùtbol aveva stretto con le multinazionali, trasformando il gioco più bello del mondo in business e spettacolo televisivo.

Eduardo Galeano

Eppure, nonostante questa rigida posizione «filosofica» contro il calcio contemporaneo, in uno dei suoi racconti Eduardo Galeano non aveva saputo resistere alla tentazione di celebrare Leo Messi, prototipo del calciatore globalizzato del terzo millennio ma anche esempio cristallino del talento anarchico, individuale e fantasioso inserito nel gioco di squadra. «Come tutti gli uruguagi», scrisse una volta Galeano, «avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese».

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Giorgio Ballario

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