Cultura. Grande Guerra, “Guai ai vinti” di Matarazzo e la conferenza di Cabona a Milano

guai_ai_vinti_lea_padovani_raffaello_matarazzo_001_jpg_kzfhUn secolo fa, nell’aprile 1915, l’Italia si dilaniava: maggioranza popolare e maggioranza politica volevano restare neutrali, la composita e trasversale minoranza attivista voleva la guerra, spinta concretamente da interessi economici italiani e da interessi strategici stranieri, oltre che dalla speranza di fare di un povero Paese, un Paese povero. Insomma, un Paese debole, ma rispettato. Dall’agosto precedente si assisteva al conflitto altrui: francesi, belgi e britannici contro germanici; germanici e austro-ungarici contro russi e serbi; ottomani contro russi, britannici, australiani e neozelandesi… L’informazione era censurata – come lo è oggi sulle “guerre umanitarie” – anche in Italia, ma gli addetti militari nelle ambasciate a Parigi e Londra, Mosca e Berlino, Vienna e Costantinopoli sapevano quanto il conflitto europeo fosse micidiale (i morti erano oltre il milione in otto mesi). E lo riferivano a Roma.

Paradossalmente, le statistiche sul bagno di sangue inducevano gli interventisti a premere ulteriormente per l’intervento. Si riteneva infatti – proprio perché le perdite avrebbero presto sfinito i belligeranti – che l’estate 1915 sarebbe stata l’ultima occasione per l’Italia di combattere sia brevemente, sia diventando l’ago della bilancia. L’occasione per esserlo c’era stata in effetti nel settembre 1914: attaccando la Francia barcollante sotto l’offensiva germanica. Era infatti la guerra alla Francia – per Nizza e Tunisi, Savoia e Corsica – che l’Italia preparava fin dal 1882, quando – su pressione britannica – era entrata nell’alleanza tra Impero germanico e Impero austro-ungarico.

Ma, anche nel trentennio della Triplice Alleanza, era sempre la Gran Bretagna che rimaneva la vera potenza “protettrice” dell’Italia. Al momento del dunque, nell’estate 1914, Londra aveva richiamato Roma all’ordine. Del resto l’Italia non aveva scelta, con la sua economia regolarmente deficitaria, visto che quasi il 90% delle importazioni veniva da aree controllate da Gran Bretagna e Francia, sua alleata.

Nella primavera 1915 si riteneva che ci fosse una seconda occasione per l’Italia di essere ago della bilancia nella politica mondiale: i Russi attaccavano, gli Austro-Ungarici cedevano, ma… i Germanici vincevano! Però, una volta dichiarata la guerra a Vienna, non c’era modo di tornare indietro. Ci attendevano tre anni e mezzo di logorio, con perdite più che doppie rispetto all’Impero austro-ungarico che uscì dalla guerra dissolvendosi. Così Maurizio Cabona, già critico cinematografico de Il Giornale, ha inquadrato il periodo della neutralità e dell’intervento dell’Italia, presentando i primi tre film della rassegna “Il grigioverde in bianco e nero”, in corso a Milano, Palazzo Cusani, sede del comando militare.

Lunedì prossimo, 20 aprile, ore 18,30, ci sarà il quarto film, Guai ai vinti! di Raffaello Matarazzo (1954), sempre a palazzo Cusani di Milano (via del Carmine 8, MM1 Cairoli, MM 2 Lanza) e sempre presentato da Maurizio Cabona. La proiezione è gratuita, ma occorre prenotarsi con una e-mail indirizzata a rsvpcmemi@cmemi.esercito.difesa.it o telefonando allo 02/46.39.65.

Guai ai vinti! è sceneggiato da Achille CampanileMario MonicelliPiero Pierotti, Giovanna Soria e da Matarazzo stesso, maestro del dramma passionale. Il film si ispira al romanzo omonimo di Annie Vivanti, apparso nel 1915. Nel libro, la vicenda si svolge nel Belgio invaso dai germanici nell’estate 1914. Nel film essa viene trasferita nel Veneto invaso dagli Austro-Ungarici nell’autunno 1917. Qui la rottura del fronte italiano sorprende due sorelle, che vengono collettivamente violentate. Quando riescono a fuggire a Verona, entrambe sono incinte. La sorella maggiore (Lea Padovani), sposata con un ufficiale del Regio Esercito e madre di una bambina (Paola Quattrini) rimasta muta per lo choc, abortisce. Ma non abortisce la sorella minore (Anna Maria Ferrero), fidanzata con un altro ufficiale. Viene l’estate 1918, il “figlio del nemico” nasce e le comari del vicinato reagiscono col disprezzo per la madre e con l’odio per il bambino…

Girato, come il precedente film di questa rassegna (La campana di san Giusto), negli stabilimenti di Pisorno, cioè tra Pisa e Livorno nell’estate 1954, Guai ai vinti! mostra la guerra per il pubblico femminile. In un periodo nel quale le cliniche per aborti erano chiamate sulla stampa “fabbriche d’angeli”, Guai ai vinti! affronta la questione con un’insolita franchezza. Il clima politico nel quale avvengono le riprese è quello della crisi di Trieste, che solo a novembre 1954 tornerà all’Italia. Produttore di Guai ai vinti! è Maleno Malenotti, che nel 1975, a 63 anni, sarà vittima di un rapimento nella sua tenuta pisana: nonostante il pagamento del riscatto, non tornerà più a casa.

Anche La campana di san Giusto di Mario Amendola e Ruggero Maccari (1954), il precedente film del “Grigioverde in bianco e nero”, è un film girato nello stesso clima della crisi internazionale che porterà, nel novembre 1954, al ritorno di Trieste all’Italia. Ne va tenuto conto, perché i film vanno considerati secondo il momento nel quale escono, più che per i fatti che essi romanzano anche sentimentalmente a uso del pubblico femminile.

Nel 1915, quando si apre il racconto di La campana di san Giusto, l’esercito serbo è stato messo in salvo in Italia. La speranza di raggiungere Trieste e puntare su Vienna – per mettere fuori combattimento l’Austria-Ungheria – non è stata confortata per il Regno d’Italia dalle sconfitte russe e romene nel 1915 e 1916. E nel 1916, avendo dovuto dichiarare guerra all’Impero Germanico, il Regno d’Italia si trova di fronte questo più temibile nemico. Nel 1917, con la sconfitta di Caporetto, la linea del fronte si allontana da Trieste e si avvicina a Venezia. Ma i patrioti triestini attendono ancora, tenacemente, il giorno della liberazione. Uno di loro, un ingegnere navale, per non vestire l’uniforme imperiale, attraversa l’Adriatico e si arruola nel Regio Esercito. La sua villa triestina, dove è rimasta la moglie, figlia di un nobile irredentista, è intanto diventata l’alloggio di un ufficiale imperiale rimasto mutilato sull’Isonzo.

Il prossimo film del “Grigioverde in bianco e nero” sarà – lunedì 4 maggio, ore 18,30, sempre a palazzo Cusani di Milano – Trieste, cantico d’amore di Max Calandri, girato nel 1954 sempre per rammentare che la principale città diventata italiana nel 1918 andava ripresa con le buone o con le cattive. I fatti dimostreranno che non era una velleità, anche se il prezzo pagato per la riconquista politica fu la rinuncia definitiva politica e militare alla “zona B”, cioè all’Istria e a Fiume. Talmente definitiva da non essere rimessa in discussione dalla Repubblica italiana, per vincoli Nato, nemmeno con la disgregazione della Jugoslavia, cominciata nel 1991. Ma la storia non è finita.

(da http://blog.ilgiornale.it/baldrighi/)

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Luciana Baldrighi

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