Lettera. Toro-Juve e l’ultrà che morde il cane: quando gli scontri cancellano il calcio giocato

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L’assalto al bus della Juventus da parte dei tifosi del Torino

Domenica pomeriggio a Torino abbiamo assistito a un Evento e a un Non Evento: il Non Evento è trascorso sul rettangolo verde della partita, un derby Toro-Juve. L’Evento si è materializzato qualche minuto prima del Non Evento, quando un grosso petardo è esploso nel settore della curva Sud più vicino allo spicchio degli ospiti, provocando tra i tifosi granata una decina di feriti – per fortuna in modo lieve.

Se vostra zia ha visto almeno un telegiornale negli ultimi giorni, provate a chiederle se ha sentito la storia della bomba carta. Poi domandatele chi ha vinto la partita. Capirete così perché, a dispetto del fatto che i granata non battevano la Juve sul campo da vent’anni, la bomba carta è diventata la vera notizia, o come si dice in gergo giornalistico “l’uomo che morde il cane”.

Al fattaccio è seguita un’escalation mediatica che non si arresta tuttora: la responsabilità del botto rimbalza tra granata e juventini, mentre la vicenda si arricchisce di ricostruzioni incrociate e contraddittorie. In margine arriva la confessione di un uomo di mezza età colto nell’atto di tirare due manate alla fiancata del pullman della Juventus (al quale è stato rotto un vetro, ma in un diverso momento). C’è pure l’intervista esclusiva al padre del diffidato che ha lanciato un fumogeno raccolto da terra.

Ora, mettiamo subito in chiaro che non c’è nessuno da salvare e niente da giustificare, tantomeno se si parla di bombe carta. Ma un conto è domandare la giusta sanzione per le scelleratezze e pretendere che i controlli vengano fatti per davvero, un altro è cercare di capire come mai episodi simili siano divenuti eventi di una portata giornalistica tale da oscurare lo stesso evento-partita.

Le intemperanze sugli spalti hanno oscurato il calcio giocato

Perché non è sempre stato così, e chiunque ne dubiti provi a scorrere gli archivi telematici dei giornali, a partire dagli anni Settanta e Ottanta fino al decennio Novanta e oltre. Gli incidenti erano molti di più e molto più gravi, ma rimanevano confinati alla cronaca nera, spesso quella cittadina, parecchio al di là delle prime pagine sportive e non. Era negligenza dei cronisti? Era prudenza atta a scoraggiare l’emulazione di simili comportamenti? O era – specie negli anni di piombo – un riflesso di tempi permeati da tanta, troppa violenza? Difficile rispondere, sta di fatto che fino ad anni molto recenti la gerarchia dei valori-notizia nel calcio è stata assai diversa dall’attuale.

È inutile nascondersi dietro a frasi di rito come “vorremmo potervi parlare di calcio giocato, ma purtroppo ancora una volta…”: ormai ogni settimana c’è un’”emergenza”, uno “scandalo”, una “vergogna” legata al tifo, e questo non accade soltanto in presenza di episodi che si impongono da soli all’attenzione pubblica, come la morte di Ciro Esposito o la devastazione di piazza di Spagna ad opera degli hooligans olandesi.

Lungi dal sottolineare la portata dei fatti veramente gravi, questo clima di denuncia permanente li affoga tutti in un mare di rassegnata indignazione, dove non si distingue più nulla: dalla polemica contro mamma Esposito alla contestazione contro la Roma eliminata in coppa Italia, dalla ramanzina del capo ultrà atalantino al raid allo stadio di Varese, dalle bombe carta ai gestacci contro il pullman, tutto diventa ugualmente “inaccettabile” e “indegno”. E allora via alla girandola di “soluzioni”, in un climax di assurdità: vietare gli striscioni (anche quelli per Armandino, perché è meglio non correre rischi), impedire ai giocatori di “frequentare gli ultras” (sic), punire le società che intrattengono rapporti con le curve dopo aver proclamato per anni che la via maestra passava per la collaborazione tra club e tifosi “come in Inghilterra”.

Il calcio italiano è ridotto in uno stato miserevole come non mai: privo di scossoni al vertice, povero di talenti e di quattrini, disertato da spettatori, sponsor e grandi nomi. Eppure la bulimia mediatica non può placarsi, anzi si fa tanto più grave quanto meno si riesce a raccontare colpi di mercato e polemiche arbitrali come ai “bei tempi”. Restano gli ultras, vestigia di un tifo che va morendo di anno in anno ma può ancora servire come bersaglio ideale su cui pestare a man salva: a torto o a ragione li si può tacciare di qualunque nefandezza, finanche di mafia. Non hanno né uffici stampa pronti a recriminare né avvocati o amici che si faranno sentire ai piani alti delle redazioni.

Per questo, almeno fino a quando gli stadi non verranno chiusi ad oltranza, si troverà sempre lo striscione o il coro da additare alla pubblica esecrazione, anche in mancanza di bombe carta. Benvenuti in serie A, dove ad ogni turno di campionato un ultrà morde un cane.

Paolo Montero

Paolo Montero su Barbadillo.it

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