Calcio. Watford laboratorio inglese della famiglia Pozzo tra Elton John e Blissett

WatfordWatford in Premier League, la vittoria di un progetto. Giampaolo Pozzo come Re Mida, tutto ciò che tocca diventa oro.

Chi si ricorda di Luther Loide Blissett? Nella First Division inglese vinse il titolo di capocannoniere nella stagione 1982-’83, diventando uno dei primi calciatori di colore a giocare con la Nazionale dei Tre Leoni. Il 15 dicembre 1982 segnò una tripletta in Inghilterra-Lussemburgo, ma in seguito non riuscì più ad andare in gol con l’Inghilterra.

Venne acquistato dal Milan, allora neopromosso in serie A. Con i rossoneri collezionò 30 presenze e 5 reti in campionato ma, più che altro, si fece suo malgrado notare per numerose prestazioni deludenti che non gli permisero di ottenere le simpatie dei tifosi milanisti: i tanti (e spesso clamorosi) errori sottoporta di cui si rese protagonista in rossonero portarono il giornalista Gianni Brera a soprannominarlo irriverentemente “Callonissett”, in assonanza con un altro ex centravanti meneghino, Egidio Calloni, famoso in fatto di gol sbagliati.

Ebbene, Blissett era un prodotto del vivaio del Watford, che visse il suo periodo d’oro a partire dal 1977 quando Elton John, da sempre tifoso della squadra, rilevò la società e assunse, come sua prima mossa da presidente, Graham Taylor, allenatore allora esordiente sulla panchina. In sei anni Taylor condusse gli Hornets dalla Fourth Division alla massima serie, in cui il Watford esordì nella proprio nella stagione 1982-‘83 cogliendo un secondo posto finale alle spalle del Liverpool, grazie anche ai 27 goal di Blissett. L’anno successivo la squadra esordì in Coppa Uefa, dove fu eliminata agli ottavi di finale dallo Sparta Praga, e raggiunse la finale di Fa Cup, persa contro l’Everton.

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Dal 2012 il club è di proprietà della famiglia Pozzo, la stessa dell’Udinese, che hanno esportato in Inghilterra il loro progetto ormai collaudato: valorizzare i calciatori con calma e poi rivenderli a cifre importanti e tenere quindi a posto i bilanci. Tutto frutto di pazienza e lavoro, vale la pena ricordare la cessione di Sanchez al Barcellona che ha fruttato una grande plusvalenza. Ma nel passato anche l’affare-Biehroff: comprato dall’Ascoli e venduto a caro prezzo al Milan.

La vita è sempre piena di sorprese. La stagione di Marco Motta è stata molto particolare. Perché l’esterno difensivo ha iniziato l’annata con la Juventus che non è riuscita a cederlo nel mercato estivo e agli ordini di Allegri Motta non è mai sceso in campo. Poi all’improvviso è arrivata la chiamata proprio del Watford, che a fine febbraio lo ha metsso sotto contratto e gli ha dato soprattutto un posto da titolare. Con la squadra dei Pozzo sabato scorso Motta ha festeggiato la storica promozione in Premier League.

“Quando sono arrivato al Watford mi ha stupito l’affetto che mi ha circondato fin dal primo momento. Non me lo aspettavo, pensavo che il clima fosse un po’ più distaccato – racconta- . Non ci ho messo troppo tempo ad ambientarmi, mi hanno fatto tutti sentire parte di un progetto, ho faticato di più a capire come si guida a destra”.

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“Qui – ha proseguito l’ex giocatore della Juve – gli stadi sono sempre pieni, c’è il tutto esaurito. Sempre. E impianti all’avanguardia: nuovi, funzionali, a misura di tifoso. Noi abbiamo centrato la promozione lo scorso weekend vincendo in casa del Brighton & Hove Albion. Ecco: sono quint’ultimi eppure nel loro impianto, il Falmer Stadium, non c’era un solo posto libero. Certo, capiamoci: anche in Italia, anche a Torino c’è uno stadio all’avanguardia ed è lo Juventus Stadium, io ci ho giocato fino a qualche mese fa. È vero, si riempie, ma spesso e volentieri solo per le partite di cartello”.

E sulle differenze tra il calcio inglese e quello italiano, Motta ha aggiunto: “Qui in Inghilterra è diversa, totalmente opposta proprio la mentalità, il modo in cui viene trasmessa la passione per la propria squadra del cuore, di padre in figlio. Nei settori riservati ai tifosi in trasferta trovi di tutto: la vecchietta che sferruzza a mano uno sciarpone molto vintage e che porta i nipotini a vedere il club del suo cuore, il professionista di 40- 50 anni che sta tranquillo e seduto e al massimo applaude al gol, dimostrando aplomb molto british, e pure il gruppo di ragazzini e anche moltissime famiglie. E se la squadra perde non ce n’è uno che contesti, insulti o fischi i propri giocatori. Sono applausi, a patto che tu in campo dia tutto quello che hai. Quando sono arrivato al Watford mi ha stupito l’affetto che mi ha circondato fin dal primo momento. Non me lo aspettavo, pensavo a un clima più distaccato. Non ci ho messo tanto ad ambientarmi, i compagni, lo staff tecnico e la società mi hanno fatto subito sentire parte importante del progetto. Non smetterò mai di ringraziarli per avermi aperto un mondo”.

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Mario Bocchio

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