Expo. L’incappucciato Sangermano: più generazione nichilista che black bloc

tia-sangermano-intervista-tgcom-1Piano, calma un attimo. Quando ho visto le immagini di Mattia Sangermano, ho avuto un sussulto di rabbia. Sto ragazzino senza radici. In un attimo, quelle parole hanno fatto il giro del web come simbolo dei disastri provocati a Milano dai manifestanti No Expo. Un giovane disorientato che blatera frasi sconnesse all’insegna del “fare bordello”. Poi ci ho pensato e mi sono venute in mente un paio di cose. Un applauso al cronista che ha preso quella pseudo intervista. Sì, è andata così. Il giornalista ha trovato lo scemotto di turno e gli ha proposto cinque minuti di celebrità. Mattia Sangermano, che evidentemente non ha preso parte ai disordini, ha accettato. E il treno della comunicazione-condivisione è partito a mille all’ora. Il problema è che quel ragazzino pirla non è l’origine di tutti i mali. E’ una vittima. No, non si vuole fare sociologia buonista e radical chic.

Semplicemente quel poveretto ventenne non rappresenta gli incappucciati che hanno messo a ferro e fuoco Milano. Purtroppo, Mattia Sangermano rappresenta qualcosa di molto più grave e preoccupante. Quello che a Milano definirebbero banalmente un pirla, è l’immagine di un meccanismo inceppato. Puntuale è arrivato il secondo round, con un altro giornalista che gli ha dato la possibilità di spiegarsi. E le sue parole sono dolcemente veriste, inconsapevolmente profonde. Sono un grido d’aiuto. “Ho espresso male un’emozione che ho provato in quel momento trovandomi lì per caso, l’emozione di sentirmi parte di qualcosa di grande”. Già, Mattia Sangermano si è sentito parte di qualcosa di grande. Sicuramente gli schiaffoni dei suoi genitori non farebbero male, così come non gli farebbe male andare a lavorare, prendere un po’ di calci in culo eccetera eccetera. Ma siamo sicuri che basterebbe? Io non credo. Qualche schiaffo e una buona dose di senso del dovere sono fondamentali, ma altrettanto importante è la possibilità di credere in qualcosa di grande, di poter lottare per qualcosa di grande, di sognare qualcosa di grande.

Eppure, pensateci, i giovani d’oggi possono fare tutto. Hanno il diritto di fare tutto. Ma forse in realtà sono soltanto schiavi di una libertà illusoria, materiale, plastificata. Possono vestirsi come vogliono, possono fare quello che vogliono, possono. Ma non basta. Le parole di quel ragazzino dimostrano che i giovani hanno un’incredibile desiderio inconscio di doveri, perché ai diritti non danno valore. E non è colpa loro. Quelle parole dimostrano che sotto sotto c’è tanta voglia di essere pronti alla morte per l’Italia, altro che alla vita. Non sono delinquenti preparati e abituati alla guerriglia come quei 200 che hanno devastato Milano: a loro, magari, dovrebbero pensare un po’ di sinistri politicanti che qualche occhiolino glielo strizzano ogni tanto. Sono anime in pena stufe di PlayStation e canne, annoiate da un nichilismo materialista che riempie loro le pance ma non i cuori. E hanno voglia di sentirsi parte di qualcosa di grande. Pensiamoci, in fretta. Altrimenti ci pensa l’ISIS.

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Marco Vailati

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