La lettera. Non mi piace Tsipras ma ha dato una scossa agli eurotecnocrati

Alexis Tsipras
Alexis Tsipras

Caro direttore,

diciamo che, a pelle, Tsipras non mi piace: uno che usa la democrazia a targhe alterne (quando si è trattato di votare contro l’immunità parlamentare dei deputati di Alba Dorata, alcuni dei quali finiti in carcere in base a un processo ideologico senza uno straccio di prova, il voto del popolo greco che ha assegnato al partito un considerevole consenso non era così importante). Diciamo pure che, a pelle, non mi piace manco tanto Varoufakis: assomiglia troppo a Checco Zalone e ogni volta che lo vedo che sta per parlare mi aspetto una gag piuttosto che una soluzione economica alla crisi. Non mi piacciono, i due, soprattutto perché il referendum mi sembra una gran paraculata: non si rimette in discussione l’assetto stesso dell’Europa degli speculatori ma si chiedono solo condizioni diverse ai creditori, come ottenere la commutazione della pena di morte in ergastolo e gioirne. E se, default sarà, in fondo se lo saranno scelti i greci e non il governo.

b, si sarebbe dovuto presentare in piazza per bruciare pubblicamente le cedole bancarie del debito a strozzo imposto alla Grecia. Un’altra paraculata, come un calciatore che si ritira dai campi nel pieno della carriera per non invecchiare malamente ma lasciando la squadra senza goleador.

Non mi piacciono ma riconosco loro il merito di aver gettato un sasso nello stagno, di aver dato l’impressione di essere il Davide-stato contro il Golia-tecnocrate, di aver acceso gli entusiasmi in un continente in declino morale e sociale. E riconosco loro anche il merito di una strategia comunicativa eccellente che oscura una tattica di scarsa incisività reale. Per questo non mi piacciono ma li capisco. Quelli che non mi piacciono e non capisco neanche, invece, sono certi italiani. Quelli che schifano Grillo il populista, Salvini il razzista e la borgatara rivestita Meloni, quelli che le sedi dei fascisti di Casapound si chiudono con il fuoco: gente che, più o meno, dice le stesse cose di Tsipras e anzi si spinge oltre, reclamando il ritorno a politiche sovraniste e a un’economia che tenga conto dei fattori sociali: del lavoro, della casa, della dignità degli italiani. Quelli che sognano nel Belpaese una “sinistra che non c’è”. Una sinistra alternativa (e di governo, ovvio, perché sennò non avrebbe senso) che non c’è perché non c’è mai stata e mai ci sarà. Perché alla prova dei fatti, quelli a sinistra dei Ds-Pds-Pd, si sono sempre calati le braghe. A cominciare dal 1997, quando i parlamentari di Rifondazione votarono a favore della manovra finanziaria per l’ingresso in Europa. Comprese “star” del panorama neo-comunista come Bertinotti o Cossutta o quel Ramon Mantovani che sul suo blog va cianciando di Podemos. Eppure nel trattato di Maastricht i parametri erano quelli attuali: il rapporto deficit/pil, mica il livello di occupazione o il tasso di benessere del popolo. E che dire di quegli eurodeputati di Sel attratti dal Pse che, insieme ai democristiani del Ppe, sono i carnefici dei popoli europei? Per non parlare, sull’altro fronte, dei “moderati” che in massa votarono a favore del fondo “salva-Stati” e che oggi ballano sulle macerie della Grecia per fare dispetto a quella “culona inchiavabile” della Merkel. Ma sul centrodestra nostrano non vale spendere mezza parola in più. Più importante, invece, pensare ai greci di oggi, che sono gli italiani di domani mattina.

La cancelliera tedesca, in fondo, sperava nella vittoria del “no”. E con lei la cricca di jene che ingrassa sulle disgrazie altrui. Perché di qualche miliardo di euro questa Europa può fare a meno, così come di una nazione che ha un pil, nell’economia complessiva del continente, tutto sommato trascurabile. Quello di cui questa Europa non può fare a meno è la paura. Paura da far sentire sul collo degli altri stati “canaglia”: i cosiddetti Piigs (anche se la “g” di Grecia è già andata), quei “porci” che non accelerano sulle “riforme”, che non tagliano a fondo le tutele sociali, che sono tiepidi nel massacrare i pensionati al minimo, i piccoli imprenditori, le famiglie, i giovani non tutelati. In tutto ciò la Grecia rappresenta solo una prova generale, un monito per l’Italia, per la Spagna, per il Portogallo, per l’Irlanda. Per quei popoli che, nonostante governi complici degli aguzzini, cercano di preservare un minimo di dignità. È per questo che oggi sto con i greci, perché voglio bene all’Italia.

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Pierluigi Biondi

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