RaccontoD’Estate. Anima suoni e rumori della casa patriarcale (in Abruzzo)

11041037_10207642388683473_5953874361459735674_nLa casa era grande. Ogni stanza una scoperta, un mondo a sé. Ognuna aveva un “nome”: la sala, il salone, lo “stanzone”, la “camera sopra le scale”, la “camera di mezzo”, la “camera del terrazzo”. La mia era quella d’angolo: un lato sulla piazza, l’altro sul monumento. Con macabra ironia la chiamavamo la “camera mortuaria” per i quadri dei parenti defunti appesi alle pareti. In realtà era la più luminosa, la più grande, la più fresca. Le due cassapanche sulla sinistra, il comò di fronte, la scrivania sotto la finestra, la carta da parati con i fiori di velluto in rilievo tutto intorno.

L’odore del caffè di nonna seduta lì vicino che aspetta a svegliarti “perché mancano ancora 5 minuti”. Il frusciare delle lettere di nonno. Il suono della banda la domenica della festa. Il rumore del Natale con i cugini. Il dolore di mamma che saluta. Qualcosa (molto?) se ne va, qualcosa resta, qualcos’altro sarà ancora.

Ci torneremo, in quella casa così grande. Ci torneremo con i nostri figli. E gli racconteremo storie un po’ strane di televisori in bianco e nero senza telecomando, di bracieri che ardono sotto il tavolo durante la cena, di materassi “sconciati” con la lana sparsa a prendere aria. Di bambine e bambini della loro età cresciuti nella gioia di una famiglia straordinaria.

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Pierluigi Biondi

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