Cinema. Lars von Trier e le donne: un incontro nello spettro di Ophelia

melancholia1Il suo personalissimo uso della macchina da presa, descrive un tramite ansiogeno che invade e devasta, per poi scardinare anche il più imperturbabile degli spettatori.
Regista singolare ed innovativo, cresciuto in Dreyer e Bergman, Lars von Trier rende ogni singolo fotogramma un violento impatto emotivo.
È insieme a Thomas Vinterberg, il fondatore di “Dogma 95”, un manifesto poetico programmatico che si scaglia contro l’artificio tecnico, un decalogo che professa l’ascetismo nei mezzi. Fobico nella vita e provocatorio nell’arte, padroneggia il mezzo cinematografico con ossessiva abilità, definendosi un masturbatore dello schermo. Piega la macchina da presa ai suoi deliri, ne fa un blocchetto per gli appunti dello strizzacervelli più ostinato: il cinema diviene la chaise longue dell’autore. Il mezzo annota un mondo psicotico e lo restituisce in sequenze cinematografiche. Tacciato spesso e approssimativamente di misoginia, Lars von Trier consegna alla figura femminile le sorti del film e quelle dell’uomo.

I personaggi femminili nella cinematografia del regista danese 

La donna di von Trier è capace di custodire l’infinito e l’indefinito, approdando al non ritorno del sacrificio estremo. Così la Bess di “Breaking the waves”, la fragilità che riemerge in una forza devastante nel corpo e nella mente, sino all’abnegazione finale.
La purezza incalzata da una macchina da presa a spalla, immortala in primissimi piani uno sguardo innocente di un martirio amoroso. L’amore, raccolto in una piccola creatura diviene la forza dirompente, capace di discendere negli inferi per restituire vita all’oggetto amato. Il destino dell’uomo in una figura taumaturgica: Bess McNeill. Le donne del regista danese sono straziate da un sovraccarico di emotività che difficilmente riescono a gestire, se non in forme di estremo autolesionismo. La passione per qualcuno, segna il loro disamore. Un’inclinazione che non le indebolisce, ma al contrario, le rende autentica potenza, in una danza di interscambi tra la figura della vittima e quella del carnefice.
In “Antichrist”, film del 2009, il femmineo coincide con il diabolico, ma solo a una prima superficiale lettura. Nel lutto per la perdita del figlio, l’uomo è ragione e conoscenza, la donna è disperazione e pietas. In lei il dolore diviene pazzia e istinto di morte. Ancora un sacrificio estremo che in una scena particolarmente cruenta, la porta attraverso una mutilazione a cancellare il riconoscimento femminile. Ma la sua irreversibile distruzione avviene per tramite maschile: è l’uomo (l’anticristo) a sopravviverle.
L’ombra di Ophelia insegue le donne vontrieriane, così la sequenza di Kirsten Dunst nel fiume in “Melancholia”, evocazione shakespeariana attraverso l’iconografia di John Everett Millais.

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Claire e Justine sono i due volti di uno stesso animo, si combattono per poi congiungersi in una sospensione: l’attesa della fine. L’una fragile e depressa, l’altra razionale e solida, si fanno forti nell’accettazione di un evento ineluttabile. Gli uomini sono nuovamente marginali, incapaci di sacrificio e sopportazione. Il film è una poesia sulla malinconia femminile, disegnata dal pianeta Melancholia. La malinconia per il regista è la faccia positiva della depressione, una sorta di dono che le due donne sapranno onorare. La devozione, la passione e la follia sono linfa femminile dove l’uomo rasenta l’orpello inutile.
In questa carrellata di personaggi femminili, l’ultimo posto, ma solo in ordine di tempo, appartiene alla Joe di “Nymphomaniac” (volume I e II). Il film descrive l’eros nella sua forma più estrema e dolorosa: la patologia. Se da un lato è la dimostrazione dell’impossibilità maschile di resistere a una carnalità così invadente, dall’altro vi è l’aspetto di una sessualità triste e isolata. La donna è ambasciatrice di un dualismo potente, il riscatto e la mortificazione: la cristallizzazione in un mistero buio ma calamitante. L’uomo, Seligman, è solo un ascoltatore, che tenta il ricongiungimento tra la morale e le pulsioni. Appare come un angelo accogliente privo di sessualità. La salvezza è di nuovo tesoro dell’animo femminile che per opera di consapevolezza, guadagna la strada sulla sopravvenuta e insospettata pulsione maschile.

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Lars von Trier è certamente uno degli autori più influenti e originali del cinema contemporaneo, consegna alla visione le sue ossessioni, ma soprattutto quello che per lui è un enigma da sviscerare, ogni volta con mezzi diversi: la donna. La festeggia in ogni singolo fotogramma rendendola interprete suprema dell’esistenza.

Lars Von Trier

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Isabella Cesarini

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