Cinema. Rivedere “Le scarpe al Sole” di Elter per celebrare la Prima Guerra Mondiale a Milano

scarpe al sole okIl ventennale (1935) della guerra dell’Italia contro l’Austria-Ungheria è celebrato aggredendo un altro impero, quello etiopico, più alla portata delle nostre forze terrestri, meno di quelle navali. Se la Gran Bretagna chiudesse il canale di Suez, il Negus rimarrebbe sereno al suo posto. Ma il canale resta aperto e continuano le forniture di petrolio: così l’Italia viene illusa da Benito Mussolini di tener testa al mondo. Invece quella guerra inutile (o utile per bilanciare l’impopolarità della precedente imposta patrimoniale) sarà il prologo della sconfitta epocale nel 1943. Le nostre risorse militari si dilapidano dove non c’è nulla da prendere, “altrimenti ce lo saremmo preso noi”, come dice in quel 1935 un diplomatico inglese. Peggio: il debito contratto da Roma con Londra viene saldato ben presto con un’altra avventura militare, intervenendo cioè nella guerra civile spagnola (1936-39), per insediare a Madrid un generale baciapile. A forza d’illudere gli altri, il Duce illude se stesso. Crede che il Vaticano – che nel 1938 sarebbe fallito senza ricorrere ai fondi segreti di Roosevelt – gliene sarà grato al momento buono… E’ in questo clima di esaltazione nazionale e di obnubilamento politico che esce, nell’ottobre 1935 delle prime scaramucce etiopiche, Le scarpe al sole di Marco Elter, che evoca la guerra contro l’Austria-Ungheria. Lo fa sobriamente e dignitosamente, perché il cinema italiano – che passa per essere “di regime” – lavora “nel ventre della bestia” e non s’inganna sui reali rapporti di potenza. Eppure la vicenda viene da un diario di guerra apparso nel 1921. Lo firma Paolo Monelli, che nel 1919 ha smesso l’uniforme dopo aver ricevuto tre medaglie di bronzo. Nel 1935 è lui uno dei sette giornalisti italiani accreditati alla Società della Nazioni quando il Negus vi interviene, chiedendo la condanna dell’Italia. E con loro lo fischia, finendo per due giorni in carcere a Ginevra. Ma il giornalismo, si sa, è un mestiere e lo si fa per guadagnare: meglio la cella in Svizzera che la disoccupazione in Italia… Il vero Monelli, che dal 1943 sarà antifascista, è però quello moderato del libro. Marco Elter gira il film quando l’Italia è protettrice dell’Austria di Dollfuss contro la Germania di Hitler. Quindi deve sì mostrare la vittoria italiana nel 1915-18, ma senza umiliare o ridicolizzare il combattente nemico. Oggi, lunedì 7 settembre, si può rivedere Le scarpe al sole in copia restaurata – fornita dalla Cineteca del Friuli per la rassegna “Il grigioverde in bianco e nero” ideata e condotta da Maurizio Cabona – a palazzo Cusani di Milano (via del Carmine, ore 18,30). Tre rurali del Bellunese, due di leva e uno richiamato (che non a caso vent’anni prima ha fatto “la guerra a Menelik”) raggiungono il fronte. Sono alpini con poche settimane di addestramento, quando in piena estate raggiungono il fronte sulle Dolomiti. Difendono terre che conoscono, mentre le loro famiglie sono ora nelle retrovie, ora (dopo Caporetto) nei territori occupati dal nemico… Di tutti i film selezionati nella rassegna “Il grigioverde in bianco e nero”, Le scarpe al sole è quello che più mostra i combattimenti, anche se mai si vede scorrere il sangue. Chi cade si accascia, semplicemente, fulminato senza soffrire. Mancanza di effetti speciali ed esigenza di non urtare il dolore delle famiglie, che avevano avuto morti in combattimento o per l’influenza “spagnola”, portavano il cinema a eludere agonie e amputazioni, smembramenti e disintegrazioni (buona parte dei dispersi erano i disintegrati dalle esplosioni) Ferito nel 1916 dall’esplosione di un mortaio italiano, Mussolini conosceva fin da allora l’impopolarità di quella guerra e ancor più che essa perdurava nel 1935. In effetti si vedrà che i rari film sonori italiani che la rappresentano non incasseranno. Più che i combattenti, sugli schermi dell’epoca fascista si vedranno i reduci, perché furono essenzialmente ufficiali e sottufficiali i capi e i quadri del movimento fascista. Sarà lo stesso un po’ ovunque in Europa. Solo negli Stati Uniti, che hanno pagato tra aprile 1917 e novembre 1918 un prezzo relativamente esiguo di morti, ci sarà un film militarista di grande successo nel 1941: Il sergente York.

*Dal blog de Il Giornale

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Luciana Baldrighi*

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