Il raccattapalle. Eja eja per Pennetta e Vinci: il tennis contro il provincialismo d’Italia

La finale di Flushing Meadow, tutta italiana, è il trionfo del Little Italy. Non a caso Gramellini su La Stampa, anziché inorridire del pasticciaccio brutto brutto del Salone del Libro, la kermesse più indebitata del mondo, una biblioteca di conti di in rosso, illumina di tennis l’Italia che all’estero era ancora sotto l’ombra della sceneggiata dei Casamonica con l’exploit delle due italiane del tennis. Non a caso il premier, tutto selfie e ottimismo, è già volato alla volta di New York per essere presente alla finale tutta italiana. Perché, ovvio, con un selfie di diritto si porta comunque a casa un quindici anche se il paese va tutto di rovescio.

E perfino tennisticamente, questa finale tutta italiana merita un’altra riflessione. Che è questa. Il tennis italiano non è capace di esprimere campioni perché esser campioni esige una disciplina e una continuità che sono proprio due caratteristiche di cui questo paese non conosce neanche la sintassi. Neanche l’algebra. I campioni fanno sacrifici, si ammalano per vincere. Perché la vittoria è solo di chi soffre tranne talune eccezioni: per dire un Federer che incarna la perfezione. E il fatto che la Vinci, che è più di un anno che non ne indovina uno di torneo, con la casualità e l’improvvisazione tutta italiana, abbia indovinato questo filotto di partite non significa nulla. La vedremo tornare a perdere filotti di primi turni. Ecco perché il pubblico americano non ha applaudito. Perché se sportivamente è incomprensibile il gesto di non applaudire un colpo di volo perfetto, ché in quello la Vinci nel circuito è qualcuno – come lo fu Nargiso in campo maschile qualche tempo fa – è invece assai comprensibile la stizza di un pubblico che bramava di vedere la propria beneamina concorrere per vincere lo Slam. I 64 denti con cui sorridono Flavia e Roberta che, come per i piloti militari, paiono rappresentare le partecipanti al torneo che si sono messe sotto i piedi, sono certamente una bella foto. Da immortalare. Ma lasciamole stare, non sporchiamo un exploit con le solite strumentalizzazioni politiche di questo finto e così provinciale sciovinismo.

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Michele Fronterrè

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