Libri. “Lettera agli italiani”, Veneziani e la battaglia dell’identità nazionale

VenezianiC’è un’italianità in fuga. È quella dei capannelli dove si sussurra che bisogna andar via, che i propri figli vanno mandati a studiare all’estero o a studiare inglese ogni pomeriggio in prospettiva di un prossimo espatrio.

A questi concittadini che hanno perso la speranza nella propria patria, Marcello Veneziani ha rivolto un appello a vivere intensamente l’Italia per cambiarla, rinunciando al Limbo autoindulgente “tra il non più e il non ancora”. Il risultato è un manifesto di impegno civile che non offre concessioni al politicamente corretto, nuova ideologia totalitaria che informa i costumi, il lessico e a volte anche i libri sui banchi di scuola.

“Lettera agli italiani” (pp. 156, euro 16, Marsilio), si riannoda al percorso di ricerca dello scrittore pugliese sull’identità nazionale: scorrendo le pagine del pamphlet riemergono, riattualizzate, le suggestioni di opere che hanno segnato il pensiero politico italiano, da “Processo all’occidente” a “La rivoluzione conservatrice in Italia”. L’autore ci mette energia e raffinatezza filosofica, ma l’impresa di rianimare il patriottismo in tutte le sue sfaccettature resta ardua. In questa missione, che avrà anche una versione teatrale con la formula dei “Comizi d’amore”, Veneziani evoca come antichi penati Dante Alighieri, Machiavelli e Giacomo Leopardi, rimpiange “Le memorie di Adriano” declamate da Giorgio Albertazzi, e tenta di sedurre anche gli scettici con un verso di Ezra Pound, tra inglese e latino: “I believe in the resurrezione of Italy quia impossible est”. Il contesto odierno è fotografato con parole taglienti: “L’Italia è in manutenzione dagli euro-tecnici, la politica è disconnessa” con la realtà, e il palcoscenico è occupato da Renzi, definito “un brillante intrattenitore”. Non ci sono segnali di riscossa, e allora è utile partire cancellando “l’italieno” che c’è in ognuno di noi. Il gioco di parole classifica, infatti, la visione dei concittadini iperindividualisti, che tra una citazione esterofila e l’altra, hanno smarrito la conoscenza dell’anima profonda del Paese, la bellezza e il dinamismo, la creatività e la parsimonia (obnubilata tra continue citazioni di debiti e cambiali dello stato e dei privati).

Lo sguardo sul Palazzo è ora caustico, ora cinico e disilluso: “La risacca della politica si ritira lasciando carcasse alla deriva“. Testimone del centrodestra, allevato anche nel suo laboratorio de “L’Italia settimanale”, Veneziani non si accontenta di una riduzione dello spazio pubblico a messa in scena, dove il rapporto tra governanti e popolo è sempre più mediato da uno schermo di pc. I protagonisti del teatrino? Renzi è definito un clone postberlusconiano, che “mima Obama e Blair e ibrida Craxi e Veltroni”; Grillo un mix tra “Fra Gerolamo Savonarola e Howard Beale di “Quinto potere”; Salvini (a cui mette in conto la mancanza di un pensatore realista alla Gianfranco Miglio) è descritto come un semplificatore dalle suggestive scorciatoie, “ruspante” anche per aver compiuto il miracolo di seppellire il secessionismo in nome di un pensiero antimondialista. Infine c’è Berlusconi, al quale il politologo riconosce i meriti di aver creato l’alleanza di centrodestra e allo stesso tempo il limite di impedirne una rifondazione. Anche il quadro istituzionale è al curaro. Al Quirinale c’è “una figura inanimata”, ma è soprattutto il presidente della Camera Laura Boldrini a ricevere strali, come sacerdotessa “dell’assurda utopia dell’accoglienza illimitata”. E da qui affronta il nodo immigrazione, facendo tesoro delle analisi di Simone Weil (“Chi è sradicato sradica”) e Alain de Benoist, postulando come solo chi abbia una identità ben definita non ha bisogno né di riaffermarla né di imporla agli stranieri alle porte.

Italia come visione, non come selfie: per Veneziani l’unico orizzonte può essere quello comunitario forgiato dalla luce mediterranea, che impone di rifuggire dalle logiche atomistiche per le quali una piccola libertà individuale non potrà mai compensare la perdita di un futuro comune. E la proiezione politica? Lo scrittore postula un movimento sovranista (per moneta, lingua, politica e popolo), che ripudi l’aggettivo moderato, non si sieda “accucciato alla destra dell’euro”, e infiammi i cuori dei giovani ai quali dona un auspicio: “Pensate pericolosamente e rischiate in proprio ma per una buona causa, non solo per una emozione o, peggio, per un impulso o una voglia”.

*Articolo tratto da Il Tempo

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Michele De Feudis*

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