Il commento (di E.Nistri). Fondazione An: no al partito, sì alla tutela della memoria della destra

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Si avvicina la data del 4 0ttobre. Questo giorno, che chi ha superato gli “anta” ricorda con nostalgia come giorno di vacanza per la ricorrenza di San Francesco, patrono d’Italia, quest’anno coinciderà con le votazioni che segneranno il futuro della Fondazione Alleanza Nazionale. Come capita spesso quando ci si trova a esercitare un peso sia pur modesto in un consesso le cui decisioni avranno una notevole rilevanza, sono stato comprensibilmente avvicinato da persone che sollecitano il mio sostegno a questa o a quella mozione. Per evitare di rispondere a tutti, e fermo restando che le idee si chiariscono meglio in una discussione ampia e civile, vorrei precisare alcuni aspetti della mia posizione.

La fine Alleanza Nazionale e il crollo del postfascismo con la vittoria del 2008

Alleanza Nazionale non si sciolse per un ricatto di Berlusconi, ma semplicemente perché aveva subito una disgregazione cominciata alla fine degli anni ’90, con le degenerazioni correntizie e l’infelice esperienza dell’Elefantino, proseguita con le esternazioni di Fini sul “Male Assoluto”, esasperata da un’assenza di democrazia congressuale cui faceva da pendant una petulante litigiosità locale. Altri partiti del centro-destra, come la Lega e la stessa Udc, si presentarono alle politiche del 2008 con liste proprie, superando il quorum. Come dovetti amaramente constatare, il fascismo crollò sotto il peso di una sconfitta, il post-fascismo per una vittoria.

Lo scioglimento di An e la sua confluenza nell’allora Popolo delle Libertà presentarono almeno un aspetto positivo: la nascita della Fondazione Alleanza Nazionale, dotata di un considerevole patrimonio mobiliare e soprattutto immobiliare. La fondazione non fu, saggiamente, destinata a foraggiare una corrente all’interno del Pdl (oltre tutto, visti i precedenti, le correnti sarebbero dovute essere tre…), ma, come da statuto, alla “conservazione, tutela e promozione del patrimonio politico e di cultura storica e sociale che è stato proprio, fino alla sua odierna evoluzione, della storia della ‘destra’ italiana, e, segnatamente, del partito politico Alleanza Nazionale, oltre che dei movimenti e delle aggregazioni politiche e sociali, che ad essa hanno dato causa o contributo ideale.”

Cosa avrebbe dovuto fare la Fondazione

L’eredità materiale di An e del vecchio Msi poneva le premesse per tutelare l’eredità morale della Destra, nelle sue ampie e complesse radici: per compiere una straordinaria opera di ricostruzione e ripensamento della storia del secolo scorso, dallo Sturm und Drang delle riviste protonovecentesche agli incontri della Fondazione Volpe, dalla stagione dell’interventismo all’esperienza del Msi, dal sindacalismo nazionale di Corridoni alla “Rivista di studi corporativi”, dalle “Pagine Libere” di Olivetti e dei Panunzio a quelle di Veneziani. Convegni, borse di studio, bandi di ricerca,  acquisizione di biblioteche e archivi privati a rischio di dispersione, collaborazione con la Fondazione Ugo Spirito, avrebbero potuto costituire le premesse per un’operazione di grande spessore culturale e insieme politico.

Chi controlla il passato, infatti, ipoteca il futuro: lo straordinario successo di Alleanza Nazionale nel 1994 fu possibile anche per la storicizzazione dell’esperienza fascista maturata grazie a studiosi come Renzo De Felice. Giova aggiungere che, con la desecretazione di molti documenti archivistici, si apre per gli storici un terreno di caccia molto ampio e insidioso, concernente anche gli anni di piombo: terreno che non può essere lasciato a ricercatori prevenuti e interessati magari a individuare, in quella cloaca maxima che sono per forza di cose gli archivi del Ministero dell’Interno, solo quello che potrebbe infangare la memoria della destra.

Nell’arco di circa sette anni la Fondazione si è resa protagonista di alcune lodevoli iniziative umanitarie e commemorative, navigando di bolina stretta in acque comprensibilmente procellose: bisogna darne atto a Franco Mugnai e al suo gruppo dirigente. Così come occorre riconoscergli il merito di aver tutelato il “Secolo” e chi ci lavora: fa anche questo parte dei compiti di una Destra sociale.

È mancata purtroppo una strategia più ampia, anche se alcuni segnali fanno sperare in un’inversione di tendenza. Qualora però dovesse prevalere la scelta di utilizzare la Fondazione come “bancomat” per un ricostituendo partito, l’occasione offertaci dalla fine di An andrebbe perduta. Per questo domenica prossima starò dalla parte di chi è intenzionato a ricondurre la Fondazione alla sua vocazione istituzionale e storica di tutelare la memoria e la dignità della Destra. Nella sua lettera di ieri, Marcello Veneziani ha lanciato alcune proposte generose e coinvolgenti: è giusto valutarle, perché alla Destra manca, effettivamente, un giornale “vero” in cui riconoscersi e su cui confrontarsi. Quanto al cambiamento di nome, possiamo benissimo discuterne. L’importante è avere un concetto ben chiaro: la Fondazione può avere un ruolo propedeutico all’impegno in politica di quanti si riconoscono nei suoi valori, può contribuire alla formazione morale, storica e culturale delle nuove leve, può promuovere incontri e dibattiti, ma non deve farsi partito, non per motivi tecnico-giuridici, ma etico-politici. Le temps ne revient pas. Come, prima di Almirante, diceva Augusto De Marsanich, rispetto al passato prossimo l’unica scelta possibile rimane non rinnegare e non restaurare.

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Enrico Nistri

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