Teatro. Sudori Freddi di Giancarlo Sepe: un incubo feroce nella meraviglia del sogno

Solo diciotto scalini da scendere affinché Roma, la grande madre trasteverina, sospenda per un lungo istante la sua invadente individualità e si abbandoni a delle potenti folate di vento dal respiro internazionale. Pochi gradi di profondità per essere accolti in uno spazio magico, descritto dalle gigantografie di Samuel Beckett, una sorta di sottinteso benvenuto nel teatro dell’assurdo. Un soffio paradossale nella follia, si presenta in una realtà corporea, quella del Teatro La Comunità di Roma. Superando Beckett – qualora sia possibile – l’inoltro è all’interno di una zona sospesa nell’illusione che evoca, per atmosfera sghemba e suggestiva, un contemporaneo e meno sinistro Gabinetto del Dottor Caligari.

L’appuntamento indifferibile è con l’universo tutto di sogno del regista Giancarlo Sepe. Un alchimista teatrale che mescola il passato nel presente, la pellicola nel palcoscenico, la melodia nella luce e l’attore nel personaggio. Dal 1 ottobre, vive in scena al Teatro La Comunità di Roma, l’ultimo lavoro del regista: “Sudori Freddi”. Un noir onirico/erotico che, nell’atto del disorientare, restituisce per tramite di maestria attoriale in musica, corpo e gesto, un gorgo di poderose emozioni. La narrazione si mostra in una sapiente sovrapposizione di cinema e letteratura: “Vertigo – La donna che visse due volte” di Alfred Hitchock e la fonte di ispirazione letteraria del film stesso “D’entre les morts” di Pierre Boileau e Thomas Narcejac. Il ricongiungimento accade all’interno della figura femminile che si annuncia ad apertura di sipario, nell’evocazione della bambola meccanica, tutta di carne e garbo: Madeleine (Lucia Bianchi). Nel nome dal sapore proustiano e nel delirio identificativo in una bisnonna materna, Carlotta Valdés, si imprime per mezzo di una dichiarazione cardine dell’intera rappresentazione: “el amor no pertenece a este mundo”, l’amore non è di questo mondo. Appartiene a un universo altro, che solo nella sospensione dalla vita può realizzarsi.

L’unica trama certa è il sogno morboso della donna, esiste esclusivamente nella mente dell’uomo: un Gèvigne (Pino Tufillaro) e diversi Flavières. Sepe nel portare in scena una sua personalissima visione, non cela il richiamo al mito di Euridice. L’attesa si unisce alla vertigine, l’impossibilità alimenta il desiderio. Orfeo canta, dissolvendosi in ogni lingua e creatura maschile. Regala a Parigi prima, e Marsiglia poi, un’inglesissima “Imagine”, melodia di accompagnamento erotico in quello spogliarsi e rivestirsi in Madeleine, nella fantasia maniacale e disperata della reviviscenza di Gèvigne. E come Euridice, la donna accade e sopravvive nella volontà altrui. La conoscenza della vicenda è solo negli imperativi accorati del narratore che è fagocitazione e allucinazione. Il voltarsi di Orfeo, si ripete all’infinito per impazienza di dominio. Ma, ancora, l’amore non è di questo mondo e nella volontà di possesso si realizza solo la perdita.

Midge (Federica Stefanelli), l’altra donna, ama non ricambiata il maschio folle d’amore per Madeleine, attraverso un incanto di eros e supplizio in muscoli tesi e seni supplicanti, svela il segreto che tutti incatena: l’amore perfetto è per colei che non esiste. Liberarsi del passato, denudarsi di abiti e trappole mentali in un momento intenso sulle note di “Ne me quitte pas”: Orfeo canta di nuovo e in francese.
“Sudori freddi” abbandona la trama e il filo logico in favore di volte emozionali, che giungono vigorose, attraverso giochi di specchi, luci sotterranee e attori che non interpretano, ma vivono. Esistono nella tensione corporea, in un altrove disegnato da Sepe, dove lo spettatore discende lentamente in quel momento che segue il risveglio dal sogno: nell’impossibilità di ricostruirlo, continua a viverlo in una percezione di pelle e cuore.

Al Teatro La Comunità, lo spettacolo è nello spettacolo e l’unico confronto possibile, parla il linguaggio che prende vita nelle trame della visione onirica. Rivisitare i classici con la ferma volontà di rubarli al passato e renderli al presente, tentando un’affermazione: l’emozione attraversa l’epoca restando inalterata. Madeleine, Midge, Euridice e Carlotta sono tutte un’unica donna, fuoco di desiderio che si consuma nell’assenza e nell’impossibilità: un incubo feroce nella meraviglia del sogno. Lingerie conturbanti riordinano il desiderio nell’immagine della donna fatale.
Il teatro di Giancarlo Sepe è un patrimonio di visioni generose, succede in Italia, a Roma, ma il suo respiro è profondamente internazionale.

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Isabella Cesarini

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