Libri. “Democrazia futurista” di Marinetti, 10 anni dopo il Manifesto futurista

marinetti e soci
Al centro FT Marinetti

Dieci anni dopo la pubblicazione su Le Figaro del celebre Manifesto del futurismo, Marinetti dette alle stampe con la casa editrice Facchi di Milano, la raccolta di scritti politici Democrazia futurista. Rispetto al 1909 – anno in cui uscì il Manifesto – la situazione era profondamente mutata sia per l’Italia sia per Marinetti. La prima guerra mondiale aveva determinato profondi cambiamenti nella vita del paese e Marinetti, sebbene avesse conservato lo spirito rivoluzionario, polemico e provocatorio, era diventato un personaggio di primo piano nella cultura italiana.
Il 1919 era un anno turbolento: il paese era in preda al caos, erano gli anni del cosiddetto biennio rosso e il fascismo muoveva i primi passi.
In questo contesto Marinetti si faceva artefice di nuove idee e proposte per il rinnovamento dell’Italia contenute nei ventisei punti (o capitoli) di Democrazia futurista.
Il testo si avvia riferendosi, più che al più noto Manifesto del futurismo, al precedente manifesto del Partito Politico Futurista Italiano pubblicato l’11 febbraio 1918. Se si dovessero sintetizzare con una parola le proposte marinettiane, questa sarebbe senz’altro rivoluzione, sintetizzata nella formula “conflagrazione futurista”.
Una rivoluzione contro la classe dirigente che governava il paese e regolava la vita italiana ridotta “a una convivenza cretina di quadri d’antenati e di una lurida servaccia”, la necessità della rivoluzione nasceva per superare il sistema di governo democratico “quando si dice: democrazia, si pensa immediatamente a spirito ribelle, umanitario, pacifista, pietista, quietista, rinunciatario, anticoloniale, umile, internazionalista, e senza orgoglio di razza o negatore delle razze”.
Tale rivoluzione doveva segnare una netta cesura con il passato poiché “noi non dobbiamo nulla al passato”, Marinetti si scaglia contro la tradizione colpevole di essere un freno allo sviluppo del paese e della nuova gloriosa classe dirigente, la borghesia, vera potenza produttiva del lavoro:

ciò che di tradizionale resta nella nostra vita economica è solamente un elemento negativo, un ingombro, una palla di piombo legata al piede! Misoneismo, , abitudini sedentarie, orrore delle innovazioni tecniche, mancanza di iniziativa, paura del rischio, micromania, contentamento del piccolo e non sudato guadagno, ecco l’eredità che il nostro lasciò alle industrie ed al commercio italiano. È in forza alla tradizione, che il contadino si rifiuta di adoperare le nuove macchine agricole, che il banchiere ha paura di dare il suo sussidio alle nuove industrie, che l’industriale si guarda bene di allargare la cerchia delle proprie operazioni. Tutto ciò che di buono è stato fatto nel campo economico, è stato uno schiaffo di più alle così dette.

Infine la sentenza lapidaria: “l’Italia non potrà divenire una grande potenza economica, se non riuscirà a sbarazzarsi totalmente del peso della sua tradizione”.

L’Italia è piena di problemi che andrebbero risolti ma alcuni di questi, definiti da Marinetti “idee-muri”, sono irrisolti e la classe politica non agisce di fronte a queste problematicità elencate nel capitolo sei e sviscerate nei capitoli successivi.
La prima di queste “idee-muri” è il concetto di famiglia che “come è costituita oggi dal matrimonio senza divorzio è assurda, nociva e preistorica”, Marinetti attacca la famiglia emersa negli anni successivi alla Prima guerra mondiale in cui avvenne un “rovesciamento completo di una famiglia dove il marito è diventato una donna inutile con prepotenze maschili e la moglie ha raddoppiato il suo valore umano e sociale”, un concetto quasi visionario che si rifà alla società contemporanea.
Marinetti predicava il “libero amore” definendo il matrimonio “nemico di ogni audacia e di ogni eroismo”, per questo la sua proposta è quasi una profezia a giudicare dall’andamento della società nel XXI secolo: “mediante il divorzio facile, il voto alle donne e la partecipazione completa delle donne all’attività nazionale noi distruggeremo il matrimonio e giungeremo all’amore libero”.
Marinetti è conscio delle caratteristiche e delle potenzialità del nostro paese e capisce anzitempo la strada da intraprendere per il rilancio della nazione, peccato che quasi cent’anni dopo la nostra classe politica e dirigente non abbia recepito le sue parole: “l’Italia, che non potrà mai vincere tutte le concorrenze nell’agricoltura, nel commercio e nella industria, deve invece conquistare il suo primato assoluto nel pensiero, nell’arte, nella scienza”.
Il capitolo 9, che dà il titolo al libro, è dedicato alla necessità di una democrazia futurista in Italia, possibile solo grazie a una rivoluzione in cui “il popolo italiano risorgerà più vivo e potente, più ricco di individui geniali, più agile, più dinamico – perchè – la democrazia italiana, è per noi un corpo umano che bisogna liberare, scatenare, alleggerire, per accelerarne la velocità e centuplicarne il rendimento”. L’ideatore del futurismo definisce gli italiani una “quantità enorme di individui geniali” che devono dominare il mondo, per farlo è necessario però liberare il popolo da ceppi e pesi morti e la soluzione è una rivoluzione.
Tra questi pesi morti Marinetti individua anche il papato e la mentalità cattolica contro cui si scaglia, rei di essere “serbatoi di ogni passatismo” e aumenta il tiro definendo il Papato “in tempo di pace un peso ingombrante e in tempi convulsi o guerreschi un nemico in casa o per lo meno una spia”, quindi la richiesta: “io domando l’espulsione del Papato per sgombrare l’Italia dalla mentalità cattolica”. In questo capitolo emerge anche un Marinetti anarchico che, per il futuro dell’Italia, invoca l’eliminazione dei due grandi nemici del paese a suo giudizio: “il prete e il carabiniere” e invoca un patriottismo futurista poiché “l’idea di patria invece è una idea assolutamente superiore”.
Si scaglia con determinazione contro il pacifismo e la Società delle Nazioni vista come un male che va combattuto non per imperialismo ma per amore della rivoluzione. Provate a sostituire nel capitolo 12 “Società delle Nazioni” con Onu e capirete l’attualità delle denunce e delle posizioni marinettiane. I problemi che affliggono l’Italia sembrano essere gli stessi, anche a quasi cent’anni di distanza: anzianità della classe dirigente e burocrazia. Le soluzioni? Il decentramento, in poche parole il federalismo “decentrati gli organismi di Stato, io vedo in gran parte tolti i mali attivi e passivi della Burocrazia” sviluppando le autonomie di regioni e comuni; premiare il merito, quindi “assicurare ai pochi ma buoni un massimo di carriera possibile”.
Per fare in modo che le cose cambino è necessario anche svecchiare la classe politica e dirigente così da sviluppare il potenziale degli italiani, scopo del movimento artistico futurista, acerrimo nemico del passatismo, è quello di favore la diffusione del genio italico.
“È indiscutibile però che il governo parlamentare col suo smisurato pantano burocratico è – fra tutti i governi possibili – il meno atto a risolverli”, la soluzione è quindi un governo tecnico. Anche in questo caso è un Marinetti premonitore che non si sarebbe certo potuto aspettare le nefaste conseguenze portate dai governi tecnici al nostro paese. Emerge dapprima un Marinetti liberale che vede lo stato come l’amministrazione di una grande azienda, poi un Marinetti sindacalista “la rappresentanza sindacale sarà la base dello Stato tecnico futurista” e infine un Marinetti antidemocratico “la sola esistenza di un senato è la vivente antitesi di tutti i principi del Partito Futurista”.
Nella sua visione di una democrazia futurista si spinge oltre facendosi promotore dell’azionariato sociale e della partecipazione degli operai alle imprese. Se il problema di fornire denaro per favorire il reinserimento dei soldati nella società dopo la prima guerra mondiale non è attuale, lo sono invece le soluzioni proposte per risolvere il problema, rivoluzionari e difficilmente condivisibili, ma allo stesso modo suggestive e di aiuto per comprendere le tesi marinettiane: la vendita del patrimonio artistico italiano e il sequestro di due terzi dei guadagni ai fornitori. È un Marinetti anticipatore dei tempi anche quando propone l’abolizione della coscrizione obbligatoria, al suo posto la creazione delle “scuole di forza, coraggio, patriottismo” individuando nei principali nemici del futurismo “tradizionalismo, mediocrismo e vigliaccheria”.
Vittime della sua invettiva sono anche gli intellettuali “nulla è più pericoloso degli intellettuali per gl’interessi del proletariato rivoluzionario. Ed avrete ragione, poiché oggi intellettualità e cultura sono sinonimi di rapacità egoistica e di oscurantismo retrogrado” e la politica a più riprese attaccata nel libro “io credo che il parlamentarismo, istituzione politica fallace e caduca, si destinata fatalmente a perire. Io credo, che la politica italiana vedrà inevitabilmente precipitare la sua agonia”.
Il libro si chiude con il discorso di Marinetti agli arditi definiti avanguardia della nazione e “la parte migliore della razza italiana”.
Democrazia futurista è una lettura imprescindibile non sono per chi vuole conoscere più a fondo il pensiero e la figura di Marinetti, ma anche per ogni italiano volenteroso di capire come, a più di cento anni di distanza da quando sono state scritte le parole di Marinetti, le cose non siano poi così cambiate nel nostro paese. Stupisce che fino ad oggi, se si esclude la prima edizione, un testo di tale valore non fosse stato ripubblicato, l’intento di questa nuova edizione è proprio quello di colmare una lacuna editoriale e offrire al sempre più stantio panorama culturale italiano importanti spunti di riflessione.

La copertina di Democrazia futurista

F.T.Marinetti. “Democrazia Futurista”, Idrovolante edizioni. Euro 15

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Francesco Giubilei

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