Fondazione An (di M.DeAngelis). Una lite da pollaio (ma un pollaio d’oro)

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La ritualità dell’assemblea della Fondazione Alleanza Nazionale, che si è svolta a Roma domenica 4 novembre, era quella dei vecchi congressi del partito fondato da Gianfranco Fini, ma i numeri sono stati molto diversi.

Ai tempi c’erano migliaia di delegati, la Fondazione vanta invece circa 700 iscritti. Di questi, molti non hanno ritenuto interessante rinnovare l’iscrizione e alla fine del congressino meno di 500 sono rimasti a votare le mozioni.

Eppure l’attenzione sull’assemblea è stata montata non poco dai giornali, con calcoli più o meno fantasiosi sul patrimonio che la Fondazione controllerebbe. C’è chi dice 90 milioni, alcuni giornalisti sono arrivati a sostenere il doppio.

Insomma un tesoro per il quale sarebbe valsa la pena di battersi, almeno con il sacrificio di recarsi a Roma a esprimere un voto. In realtà molti, che a Roma c’erano andati, se ne sono ripartiti prima del voto, sconsolati, mugugnando “tanto non c’è più niente da fare”.

La Fondazione effettivamente, sin dalla sua nascita, cioè da quando Fini e i suoi colonnelli stavano ancora tutti insieme, si è dotata di meccanismi tali da assicurare che a decidere siano sempre gli stessi, che gli organismi vengano cooptati nei cerchi magici dei vari ex o nuovi colonnelli e che alla fine poco si sappia di quello che avviene nelle segrete stanze. Esattamente uno dei difetti “genetici” di Alleanza nazionale. Anche tutti gli altri tratti congeniti sono stati trasferiti nel nuovo micromondo insulare arroccato intorno al patrimonio, ma senza i numeri del vecchio partito, che rappresentava il 12% dell’elettorato.

Dell’assemblea del 4 ottobre si diceva che sarebbe stato il momento, a lungo atteso, della ripartenza unitaria della destra. Alla fine ha partorito l’esatto contrario. Le vecchie abitudini sono dure a morire. Nell’assemblea tutte le discussioni sono finite sul personale, con accuse pesantissime e rimpalli di responsabilità sul fallimento e sulla disgregazione politica e umana di un’area politica.

Alla fine la conta è stata, come nei passati congressi di partito, sul CHI anziché sul COSA, con la riedizione inaspettata dei sodalizi degli anni Novanta, cioè con Alemanno da una parte – che aveva raccolto anche i vari “cani sciolti” senza padrini – e la ex “area vasta”, dai meloniani ai vari Gasparri, La Russa e Matteoli, dall’altra.

Le due mozioni contrapposte hanno raccolto consensi assolutamente schizofrenici, con gli ex-An che oggi stanno in Forza Italia che hanno sostenuto la mozione di La Russa che in sostanza consegna nelle mani di Fratelli d’Italia tutto quello che c’è a disposizione e gli ex finiani che hanno sostenuto la proposta di Alemanno di rifondare il vecchio partito di Alleanza nazionale, cioè quello che Fini aveva sciolto…

Non si è trattato certo di una battaglia tra giganti: 268 voti ai vincitori, 222 agli sconfitti. Eppure a vedere i social la sera in cui si è conclusa l’assemblea, si vedevano selfies di supporter esultanti, che sembrava avessero vinto la coppa del mondo e non aver ottenuto piuttosto l’ennesima profonda lacerazione di un ambiente che tutti dicevano di voler ri-unificare.

Comunque vada ne deriverà una frattura all’interno di Fratelli d’Italia e un ulteriore giro di poltrone nella Fondazione, con nuovi inesauribili polemiche.

Un trionfo di individualismi e personalismi e l’ennesimo colpo a qualunque velleità di ricostruire una casa comune o un senso di appartenenza “comunitaria”. Il tutto, con le dimensioni di una lite da pollaio. Anche se si tratta di un pollaio d’oro.

@barbadilloit

Marcello De Angelis

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