Scenari. La necessità dei confini nella società post-confini

La muraglia cinese
La muraglia cinese

Globalizzazione, internazionalizzazione, mercato multinazionale, multiculturalità: sono alcuni dei fenomeni che rendono la nostra una società post-confini. A quasi trent’anni dal crollo della cortina di ferro gli europei e gli occidentali non sono infatti più abituati ai confini: quelli geografici di Schengen, ma anche quelli mentali, sociali e comportamentali. Non siamo neppure più abituati a darci dei limiti.

Proprio per questo oggi più che mai abbiamo bisogno di riappropriarci del concetto di confine.

I confini come forma dell’identità

I confini sono punti di contatto, quindi di scontro e di confronto; ma prima ancora sono luoghi che, separando il dentro e il fuori, definiscono “noi” e gli “altri”. Il confine è la forma dell’identità, la linea tra ciò che io sono e ciò che io non sono. Se non si comprende questo aspetto dei confini non si comprende perciò il loro ruolo di argine contro ogni omologazione nullificante. I confini sono un presidio e l’assenza di confini non porta infinita libertà, ma infinita nullità: il mondo liquido, fuori dal contenitore che lo definisce e gli dà forma, invade tutto e s’appiattisce, disperdendosi.

I confini come requisiti etici

Accettare che non tutto sia uguale, ma che ci siano distinzioni e tra queste un “meglio” e un “peggio”, è la base della possibilità di scegliere e, quindi, dell’etica. Non ho colpa se non posso scegliere, non c’è etica in una società omologata e univoca. L’etica richiede invece distinzioni, confini e opposizioni: il dentro/bene contro il fuori/male. Chiunque parli di libertà di scelta senza stabilire un “non oltre” e un “non si può fare”, è un disonesto. Senza limiti, senza stabilire divieti, non può esistere responsabilità e senza responsabilità non possono esistere rispetto e dignità. Senza limiti e responsabilità, quindi senza regole, non può esistere libertà.

I confini come contenitori

L’anarchia, che può essere un concetto affascinante, all’atto pratico si tramuta così nella dittatura del più forte. Il comunismo predicava l’internazionalizzazione, l’eguaglianza sovranazionale, il conflitto di classe senza confine, ma ha eretto il muro più famoso dell’Occidente per dividere una città. Di più: per impedire la dialettica e il confronto. Il muro esterno, evidente e fisico, era l’immagine di un muro interno, fatto di negazionismo storico e totalitarismo.

I confini non devono invece essere muri, ma contenitori. Devono raccogliere e unire ciò che è all’interno, non segregarlo e nasconderlo all’esterno. Devono essere incubatori della cultura e del pensiero, non prigioni. Devono incoraggiare la riflessione e la consapevolezza di ciò che si è. Quando invochiamo i confini, allora, non dobbiamo solo usarli per chiuderci dentro.

I confini come luoghi del confronto

Il confine deve anche essere il luogo da cui partiamo o ri-partiamo per conoscere gli altri. Il confine non deve essere una muraglia cinese. Qui finisco io, qui cominci tu: solo da questo può nascere il riconoscimento reciproco. Il riconoscimento della propria identità è un passo necessario per il riconoscimento delle identità altrui; viceversa, il nulla riconosce solo il nulla.

Senza riconoscimento, senza confini, non può esistere quindi confronto. Riappropriamoci con orgoglio del dovere di riconoscere e difendere i nostri confini individuali, etici, nazionali: il rispetto della persona e della comunità nasce da questo. Le mura di Sparta erano i suoi cittadini: torniamo a difendere i nostri confini e la nostra identità.

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Andrea Tremagli

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