Pubblichiamo un estratto da “All’armi siam leghisti” (Aliberti) di Antonio Rapisarda, sull’alternativa tradizionalista presente nella Francia profonda
Apache, Pulzella e Charlie (Martel)
Se nel terzo millennio non ci fossero gli apache a Parigi, Saint Genevieve, la patrona Santa Genoveffa, non avrebbe onorata la sua celebrazione tra le vie antiche della Capitale di Francia.
Apache a Parigi? Sì, e autoctoni per giunta. Al grido di Paris populaire, Paris identitaire ogni inizio gennaio c’è chi si impegna a riportare tra le strade della sua città l’eroina (divide il podio con Giovanna D’Arco) dei parigini. A pensarci sono gli apache, un nucleo di giovani identitari parigini che, nella Francia iper-secolarizzata e con una Chiesa in disarmo culturale, si sono presi la responsabilità di “autogestire” di fatto il ricordo della patrona in città. Si chiamano così perché si rifanno alla definizione che i giornali degli anni ’30 davano delle bande giovanili parigine: un epiteto, che tradotto nella contemporaneità, si pone come atto di “resistenza” contro l’omologazione.
Gli apache sono tra i promotori di Paris Fiertè, associazione che si occupa di promuovere l’identità parigina «contro chi vorrebbe la Capitale di Francia trasformata in un parco divertimenti per turisti» (e per questo qualche anno fa hanno lottato contro l’installazione di uno Starbucks, la catena americana di caffè, nel centro di Montmartre). «Nel 451 gli Unni di Attila arrivano terribili nella Gallia del nord, e Parigi e i suoi abitanti temono per la propria esistenza – raccontano gli apache -. Mentre l’alta società dei tempi pensava a come fuggire, Saint Genevieve – anche grazie alla sua diplomazia con le grandi famiglie – si fa avanti: incita alla resistenza di Parigi e dei parigini. Il suo invito viene raccolto; certo, c’è chi la vorrebbe morta per questo, ma in tanti obbediscono». La battaglia poi viene condotta del generale romano Ezio, che sconfigge Attila presso Chàlon-sur-Marne.
Genoveffa diventa eroina di Francia. «Per noi – spiegano durante la marcia allegra e illuminata dalle torce e dai vessilli degli antichi rioni di Parigi – questo rappresenta quell’elemento di continuità per chi è chiamato a difendere la nostra identità anche oggi, di fronte a un nemico che si manifesta con la veste della dissoluzione del nostro patrimonio culturale e civile». Se Asterix “vive e lotta”, gli apache parigini, guerrieri identitari e metropolitani, che negli anni hanno risvegliato il genius loci della capitale richiamandosi allo spirito della riserva indiana contro la massificazione, rappresentano appieno un certo modo di essere francese.
Ma anche un certo modo di essere leghista, come dimostra il manifesto della Lega Nord, molto caro ai militanti del Carroccio, che riprende un indiano d’America in primo piano; e che recita come monito uno slogan che inquadra perfettamente uno dei temi sempre presenti nella pubblicistica leghista: “Loro hanno subito l’immigrazione, adesso vivono nelle riserve”.
Francesissima è anche Giovanna D’Arco, nume tutelare e icona popolare del Front National. Antonio Pannullo – giornalista del Secolo d’Italia e scrittore – in Oui, oui Jean-Marie ha tratteggiato così il senso di questa intuizione diventata nel corso degli anni vera e propria penetrazione nell’immaginario popolare della destra: «Giovanna D’Arco è stata scelta dal Front perché è debole e dolce e fortissima insieme, perché è irrita, perché non la si può comprare né costringere: è andata avanti per la sua strada ed è entrata nell’eternità grazie alla sua fede incrollabile.
La Francia dalla giovane pastorella oggi si identifica nel tricolore del Front National, e ogni 1° maggio Le Pen le rende gloria». Proprio così: la “pulzella d’Orleans”, che sfidò gli inglesi e guidò l’esercito di Francia verso vittorie ritenute impossibili, ha rappresentato dalla fine degli anni ’90 un investimento importante per il Fn. Nella Francia di Voltaire e di Marianna, nessuno aveva pensato politicamente all’eroina che, invece, esalta gran parte delle caratteristiche francesi: «Giovanna D’Arco – scrive Pannullo – santificata nel 1920 è la patrona della Francia. “Sequestrata” dicono i giornali anti-Le Pen, dal Front, è una figura vivissima nell’immaginario collettivo dei francesi. Come ogni anno si è riproposto il problema: a chi appartiene la pulzella d’Orleans? Ma mai come quest’anno (2002, l’anno delle Presidenziali con il boom di Le Pen, NdA) vescovi e arcivescovi si sono arrabbiati con Le Pen per questa “confisca”.
Eppure la giovane contadinella, che fu bruciata a soli 19 anni, ha sempre esercitato grande fascino sulle formazioni della destra radicale francese: dall’Action Française alle Croix-de-Feu a molti altri e il motivo è piuttosto chiaro; Giovanna D’Arco nella coscienza archetipica del popolo è la personificazione della razza francese che scaccia lo straniero dal suolo patrio». Anche sui social network si combatte la battaglia identitaria. Il 2015 in Francia è un inizio di tensione. Nelle librerie è annunciato l’arrivo del nuovo romanzo di Michel Houellebecq Sottomissione (Soumission): ancora prima di arrivare sugli scaffali in libreria è già un caso editoriale – tra detrattori e sostenitori – perché, dalle prime indiscrezioni, l’autore immagina un futuro in cui il partito dei Fratelli musulmani diventa forza di governo coadiuvato dal Partito socialista proprio per bloccare l’avanzata del Front National.
Poche ore dopo il lancio del romanzo un commando islamista entra dentro la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e fa strage di giornalisti, di lavoratori e di poliziotti. Nelle ore immediatamente successive alla strage Charlie Hebdo diventa un simbolo e dopo qualche giorno un “marchio”: Je suis Charlie (Io sono Charlie), si legge nei manifesti, nelle t-shirt, nei profili social di tutta Francia e nel mondo. Di fatto, come denunciano in tanti tra cui Jean-Marie Le Pen, va in scena la fiction dell’indignazione “capitanata” dai capi di Stato chiamati a raccolta da Francois Hollande, molti dei quali – secondo il patron del Fn – «responsabili degli eventi che hanno portato alla strage».
Per tutta risposta alla fiction che cosa si legge sui profili di tanti identitari francesi? L’elogio dell’“altro Charlie”, ossia Carlo Martello. Je suis Charlie Martel diventa un modo tutto francese per dire né con la piazza laicista e, a loro avviso, falsamente libertaria che si è raccolta dietro le insegne «del settimanale di ispirazione anarco-comunista né con gli islamisti». Un atto di accusa, proseguono, rivolto a chi negli anni ha trascurato le ripercussioni dell’immigrazione massiva, non considerando la bomba sociale innescata tra i francesi di seconda e terza generazione, e “investito” invece in conflitti destabilizzanti come quelli in Libia e in Siria. E che la potenza iconografica di Carlo Martello sia diffusa nell’immaginario francese lo testimonia l’interesse di Michel Houellebecq stesso che proprio in Sottomissione, partendo dalle imprese di Carlo Martello, fa raccontare così la “resa” dell’Occidente: «Tutti sanno che Carlo Martello ha battuto gli arabi a Poitiers nel 732, dando una battuta d’arresto all’espansione musulmana verso il Nord. Certo, è stata una battaglia decisiva, che ha segnato il vero inizio della cristianità medievale; ma le cose non sono state così nette, gli invasori non si sono ritirati subito, e Carlo Martello ha continuato per qualche anno a combattere contro di loro in Aquitania.
Nel 743 ha riportato un’altra vittoria qui vicino, e come ringraziamento ha fatto edificare una chiesa; sopra il portale c’era il suo stemma, tre martelli incrociati. È vero che c’è stata un’enorme quantità di battaglie tra la cristianità e l’islam, combattere è da sempre una delle principali attività umane, la guerra è di natura, come diceva Napoleone. Ma credo che con l’islam sia arrivato il momento di un’intesa, di un’alleanza». Anche qui, come con Giovanna D’Arco, una figura del patrimonio storico francese diventa elemento per ingaggiare una disfida: Carlo Martello che batte i mori e scongiura per la Francia la stessa fine della Spagna, rappresenta l’ostinata voglia dei giovani identitari francesi di non piegarsi al pericolo islamista ma anche di differenziarsi dalla Francia multiculturale, gauchista, la Francia che si è “suicidata” sull’altare del pensiero debole come denuncia Eric Zemmour, l’autore dell’altro best-seller, Le suicide français, che ha diviso il Paese.
*tratto da “All’armi siam leghisti”