Calcio&Politica. Se il Psg celebra l’ipocrisia del Qatar e non le vittime del terrorismo

“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia” (Sun Tzu)  

Bastia-Psg
Lo striscione nella curva del Bastia durante la gara con il Psg, pochi giorni dopo la strage di Charlie Hebdo

Nella Babele di estremismi social e di speculazioni reali seguita ai fatti di Parigi, con il dibattito monopolizzato da destre becere e fallaciane e sinistre attonite per i propri fallimenti culturali, il calcio si offre come specchio dell’ipocrisia occidentale. Il Paris Saint German, squadrone della capitale francese costruito con i petroldollari del Qatar, annuncia che per questo turno di Champions League adotterà una maglia speciale. Nella trasferta di domani sera in Svezia, contro il Malmoe, Ibrahimovic & Co. indosseranno una casacca in cui al posto dello sponsor comparirà la scritta “Je suis Paris”, marchio globalizzato – anche se in molti l’adoperano in perfetta buona fede – di una solidarietà pelosa e irresponsabile, che non s’interroga sulle cause del terrorismo jihadista ma cerca facili nemici e lacrime di coccodrillo.

L’iniziativa della maglia celebrativa, che verrà replicata sabato nella gara di Ligue 1 con il Troyes, è stata voluta dal presidente del Psg, Nasser Al-Khelaifi. Lo stesso che, come guida del fondo sovrano “Qatar Investment Authority”, attinge da un patrimonio stimato in oltre seicento miliardi di dollari per comprare pezzi di Europa e di multinazionali. Grosse partecipazioni azionarie in colossi come Volkswagen, la banca britannica Barclays, Harrods, Siemens e persino Walt Disney. Ma anche mezza “scheggia”, il grattacielo-capolavoro di Londra progettato da Renzo Piano, una partecipazione nell’aeroporto di Heathrow e villaggi turistici in Costa Smeralda. Senza dimenticare, ovviamente, il club calcistico parigino.

Peccato che lo stesso Qatar sia sospettato di essere uno dei principali finanziatori dell’Isis. L’emiro, Tamim bin Hamad al-Thani, che ha messo Al-Khelaifi a capo del fondo sovrano, nominandolo persino ministro nel 2013, non ha mai nascosto le sue simpatie per i Fratelli Musulmani. Dal 2011 Doha è impegnata nel finanziamento degli oppositori di Assad in Siria: non solo alimentando e foraggiando – così come Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia – la favoletta dei “ribelli moderati” (in realtà quasi tutti confluiti, dopo aver incassato armi e soldi, nelle milizie di al Nusra, la filiale siriana di al Qaeda) ma anche indirizzando un enorme flusso di finanziamenti, attraverso fondazioni di carità (sic) islamiche, all’Isis dello sceicco al Baghdadi. Sostenitore del wahhabismo, il Qatar alleato dell’Arabia Saudita è campione della dottrina estremista sunnita: combattono Assad e sono nemici dell’Iran e dell’Iraq sciita e di Hezbollah, gli unici – poi sostenuti dalla Russia di Putin – a combattere da anni i tagliagole coi fatti, non a parole. Versando sangue musulmano, a proposito di becere e stupide guerre di civiltà. Il Qatar che spende e spande anche per il Psg, è invece dalla stessa parte della barricata del Califfato, alleati nella fitna che dilania l’Islam.

Ma basta una maglietta e un bel “Je suis Paris” e la nebbia dei pregiudizi e delle ipocrisie torna fitta. Gli amici di chi sgozza e spara sui civili inermi non vengono considerati nemici e la vuota retorica di un sistema in cui la pecunia non olet per nulla li ammanta dell’alone di un Islam “moderato” o persino “illuminato”. Ma non tutti ci cascano. Anche in Francia, anche nel mondo del calcio. E’ rimasto celebre lo striscione comparso nella curva del Bastia, a gennaio scorso, pochi giorni dopo la strage di Charlie Hebdo, durante la gara casalinga proprio con il Psg. Gli ultras corsi, figli di una terra in cui l’indipendentismo non è macchietta, si mostrarono in quell’occasione, paradossalmente, più patrioti di tanti altri francesi ed europei. “Il Qatar finanzia il Psg e il terrorismo”, recitava lo striscione. Alla faccia dei petroldollari e della retorica occidentalista.

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Mario De Fazio

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