Cultura. Se la critica letteraria italiana è colpevole (di servilismo verso le lobbies)

Un affresco di Bansky
Un affresco di Bansky

La critica è defunta oppure si è trasformata? Di sicuro non sta in buona salute. In molti scrivono: i critici sono al servizio delle lobbies editoriali, mentre è diventato complesso polarizzare l’attenzione del lettore. Sono idee queste per entrare in una polemica. Da una parte Alessandro Piperno, scrittore di successo e docente universitario. Il quale, recentemente, su Lettura, spara, “Il buon critico non dimentica di essere un parassita”, ossia ha solo diritti sul lavoro degli altri, appartiene alla razza di chi “non sa che farsene di giudizi calibrati e obiettivi.” Poi conclude, “Le recensioni sono talmente tediose” e “i grandi metodi critici” non esistono. Sul Corriere della Sera gli risponde Paolo Di Stefano, saggista e critico acuto, “Piperno non ama la teorizzazione, le grandi visioni, la regola, il metodo,..” e sottolinea che Piperno alimenta una visione critica “narcisistica, per la quale l’opera è solamente un accidente.”

Sul momento a chi dare ragione? Ad Alessandro Piperno, un intellettuale borghese ed anarchico, da tempo scocciato dalle indagini freudiane o marxiste o strutturaliste? Oppure a Paolo Di Stefano che ricorda Giovanni Raboni e il critico come “medico della mutua” pronto a siglare buone ricette per il lettore/paziente? 

Chi non è soddisfatto dalle suddette differenze, tuttavia, sa che la critica – quella giornalistica o quella accademica – è colpevole. Lo è per il fatto di aver annullato dai manuali di letteratura una tradizione occidentale enorme; cioè, rozzamente,  essa ha tolto o non ha inserito, nei libri scolastici, nei corsi universitari, nelle recensioni giornalistiche, autori come Pound, Mishima, Céline. Per questo, Piperno dice una verità quando spiega che esiste una sensibilità critica che “recita a soggetto”, tutta ingabbiata nel cliché culturale novecentesco.

La critica italiana è colpevole perché ha venduto il suo ruolo. Senza vergogna ha spesso promosso romanzieri, poeti, scultori, pittori, ossia artisti di partito o compari di bunga bunga. Ad esempio, chi ha ucciso la poesia italiana? Risposta: una caotica produzione di testi con l’apporto di critici da salotto autori di recensioni, poco autentiche, per gli amici degli amici.  Inoltre la critica è colpevole perché si è chiusa nel circolo pernicioso del linguaggio tecnico, sofisticato, per addetti ai lavori.

Per le sue conclusioni, questo articolo potrebbe finire qui, ma ecco che nella polemica, tra Piperno e Di Stefano, si inserisce Franco Cordelli, scrittore e critico teatrale per il Corriere della Sera. Egli conferma che esiste una “critica scritta per i sodali, in nome dell’amicizia, o dell’ammirazione incondizionata, se non della deferenza.” Una patologia questa perenne nella cultura italiana, una malattia che, però, “ora è morbosa.”

Ma, prima di tutto, la critica si è trasformata. Ha avuto una metamorfosi in quanto la Rete ha liberato  i giudizi e le istanze conoscitive. Con l’avvento di Internet, il primato del giudizio è tenuto dalla massa in navigazione nel Web. Con la piattaforma mondiale della Rete, il lettore va a braccare l’autore, lascia le proprie valutazioni ovunque, a suo modo riesce a farsi sentire. E proprio questo ha cercato di dimostrare Stefano Calabrese, nel nuovo saggio “Anatomia del best seller” (Laterza, 2015) allorquando commenta che “Il lettore e l’autore hanno dunque iniziato un corpo a corpo dagli esiti incerti.”

Ormai la critica letteraria ha una visibilità ridotta. I critici letterari ieri erano maître à penser, deputati, docenti internazionali. Oggi, invece, vendono le proprie recensioni per pochi euro. Ce lo spiega anche Paola Mastrocola nella sua ultima riflessione, “La passione ribelle” (Laterza, 2015), “Una volta c’era la critica letteraria: non che adesso sia sparita, ma certo si nota pochino… Un tempo c’era un grande fervore intorno a lei, gente che scriveva libri su altri libri (…) e gente che ne parlava molto di quei libri…”

Allora? Chi alza il braccio per Piperno, per una recensione libera da dottrine, tutta capricciosa, molto infedele? Chi invece alza il braccio per Di Stefano, per quei critici alla ricerca del paradigma, di analisi tanto culturalmente corrette? In questo quadro di contraddizioni – non ricapitolabili in poco spazio – è possibile concludere che il pensiero critico potrà assumere nuove energie se riconoscerà la ricchezza delle espressioni creative interrogando una conoscenza che dovrebbe raccontare “il destino della parola e del mondo” – Cfr. Giulio Ferroni – e farlo onestamente; e qualcuno adesso penserà che questa sia un’illusione.

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Renato de Robertis

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