Musica. “Sale” di Carlo Muratori, racconti e suoni di un’isola

Carlo Muratori

La Sicilia è archetipo incandescente di Bellezza, il Sud lo è. E forse la straordinaria mistura di fuoco, mito e voluttà ne rende difficile la narrazione se non per chi vi è nato o abita il Sud, la Sicilia. La Sicilia, buttanissima e bellissima, terra di pupi e pupari, di principi e viddani, di visionari e cuntatori è stata calpestata, deturpata, abbandonata, tradita e poi incantevole, odorosa, mite, selvaggia. Mai salata. Fino a quando Carlo Muratori l’ha attraversata in musica e parole spargendovi il sale.

Sale” è un libro-CD (ed. [Squi]libri, 2016) che riassume sonorità e pensieri di uno degli artisti più significativi della musica popolare mediterranea. Siciliana. Carlo Muratori è un artista colto, un musicista vero, uno che la musica l’ha voluta, sofferta, realizzata mescolandola in progetti di recupero della memoria e delle tradizioni della sua terra. La Sicilia tuffata al centro del Mediterraneo, regina sempre di quel mare che nei secoli è stato attraversamento di popoli, più di ogni altro mare. La Sicilia ventre dei miti terragni, Efesto, Demetra, Persefone che hanno fatto dei siciliani mastri di ferro e creta e contadini di viti, grano, carrubbi.

Dal mare alla terra, andata e ritorno: questo è il disco di Carlo Muratori. E tra mare e terra vi è il sale. Forse sta tutta qui la geniale idea dell’artista siracusano, raccontare il sale. Quell’elemento invisibile che ricaviamo dal mare con fatica e pazienza, con “AMORE E PAZIENZA” -come intitola una delle canzoni più belle del CD, insieme a “JANCU E FINIOSA” e “VINNI CU VINNI”-, lo mettiamo sulla terra ad esalare oppure scendiamo nelle profondità della terra per estrarlo, per renderlo visibile. E con un pugno di sale in una mano, sale fino e sale grosso, e la chitarra nell’altra Muratori canta la difficoltà e la diffidenza dei siciliani nel rendersi visibili. Il loro stare muti che non è omertà ma è di “ccu sapi ‘u jocu”, di chi conosce già la fine del gioco e non lo comincia nemmeno.

La Sicilia come metafora rischia di diventare un abuso espressivo prima che culturale e il disco di Muratori  tiene qui un saggio equilibrio. Non scrive di abusi ma di “inganni da sfatare”. Nel prologo di quest’opera – che si presenta come un percorso: il CD, i testi e una bustina di sale- Muratori scrive:

“Per comprendere il tutto bisogna concentrarsi sulle piccole cose: osservare due occhi e il sale delle loro lacrime per capire la sofferenza dell’intera razza umana, guardare una stella per comprendere il cielo sconfinato, avere in mano un granello di sale per toccare il più lontano degli oceani”.

E allora concentriamoci sui dettagli. Il primo, la musica. Il disco è un intreccio di sonorità, oltre che di collaborazioni importanti: assoli di chitarra che si danno il cambio con i fraseggi della fisarmonica, le percussioni che battono ritmi di tutta la musica etnica, suoni che strizzano l’occhio al funky e che trionfano nel minuto che apre il disco con l’allegro paraponzipò della banda di paese meravigliosamente contaminato dal canto di messa.

L’altro dettaglio è il duetto delle storie raccontate nelle canzoni. Storie d’amore come quello di Mariannina Coffa di cui Muratori mette in musica un sonetto o quello dei versi di una canzone che confonde Sicilia e donna “Jancu e finiosa/il tuo corpo di donna al sole/ come polvere d’ambra/gli occhi chiusi pronti a volare”. Storie civili, il Risorgimento. Un tema che percorre l’intera carriera di Muratori. Il Risorgimento tradito, la delusione e la violenza di Bronte che rendono più rosse le camicie rosse dei picciotti genuini che corrono dietro Anibardo, Garibaldi. La pagina di storia nazionale interrotta è il cunto di “CHI DICI NICÒ” dedicato a Nicola Lombardo giustiziato a Bronte insieme a Nunzio Frajunco, l’idiota del paese. ‘’Il sale della terra sono le persone’’ afferma Salgado nel film di Wenders e Muratori sembra recuperare quell’immagine. La stessa pagina contiene anche i morti di mafia e i morti in mare.

L’ultimo dettaglio. Il dialetto. La Sicilia si racconta nella sua lingua, come tutte le terre che sono nazioni prima di divenire Stati. I testi delle canzoni nel libretto sono in dialetto e tradotte in italiano e non può essere casuale se poi Carlo Muratori traduce in un siciliano vibrante e melodioso il peana dell’Italia del maestro Battiato “POVIRA PATRIA”.

Una bella opera questa di Muratori. Le parole sono splendide e orgogliose ancelle di una musica fascinosa e sirenica per molti versi ma robusta e saliare per altri. Da ascoltare magari passeggiando per Thapsos, il sito dell’età del bronzo nella costa nord di Siracusa, ad occhi chiusi però. Solo per non vedere lo scempio che le industrie hanno fatto alle dimore degli eroi, degli dei e dei viddani.

@barbadilloit

@sessadany

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

Exit mobile version