Mostre. Salvatore Fiume in Vaticano, una simbolicità occidentale e cristiana

Un'opera della mostra in Vaticano
Un’opera della mostra in Vaticano

Ogni giorno ci confrontiamo con l’idea della morte dell’arte. Della fine della poesia. Della scomparsa delle grandi narrazioni. I linguaggi sono collassati nel magma della comunicazione contemporanea, e fermiamoci qua. Tuttavia, l’arte allontana da sé l’idea del suo esaurimento se prova a ritrovare l’espressione simbolica.  Per questo il Novecento è ancora ricco di attualissime vitalità, da cui far ripartire il discorso critico.

Ci sono artisti che hanno scoperto la realtà attraverso il simbolo. Ci sono artisti che non hanno accettato la categoria della morte dell’arte, perché hanno raccontato gli eroi di ogni giorno, l’umanità con le sue passioni. Pertanto l’arte non finirà di essere solo una provocazione pop, pur avendo i musei pieni di immagini senza realtà, di performance senza storia.  Con tutto questo, quando leggiamo un quadro di Salvatore Fiume, comprendiamo che il linguaggio mai sarà una moda se racconterà il simbolo, il Cristo morto, i cavalieri, i santi, la Madonna di colore, la sua sublime maternità.

Nel centenario della nascita dell’artista siciliano, la mostra ‘La memoria del sacro. Salvatore Fiume in Vaticano’, visitabile sino al 12 marzo 2016, consente di guardare dentro una concezione dell’arte. Sono in mostra le raffigurazioni di uomini e di donne che alimentano la narrazione del sacro e questa iconografia appare più che mai storicamente unica. Scrive Antonio Paolucci che il linguaggio di Fiume fa rinascere la pittura attraverso un confronto con i grandi artisti, “Così vediamo in trasparenza Leonardo dietro La Gioconda africana, Goya e Olympia di Manet e Tiziano della Venere di Urbino dietro La bella mulatta e ancora Goya e Manet nelle Donne al balcone e Piero della Francesca nella Flagellazione e de Chirico nel trittico Isola di statue.”

L’evento è legato alla pubblicazione del testo ‘Salvatore Fiume e i giochi della memoria’, Edizioni Musei del Vaticano. E il tutto apre una finestra su un’esperienza artistica che indica come il dolore, la violenza, la meraviglia sono la vita di ieri, sono l’esistenza di oggi. “Tutto accade per la prima volta, ma in modo eterno” scriveva Borges; così, nei quadri di Fiume, il sublime ritorna a noi e con soggetti religiosi vivi, come ‘Il trionfo della Chiesa’, bozzetto del mosaico per la Basilica di Nazareth (1967), come la ‘Pesca miracolosa’ (1977) e la ‘Predicazione di San Paolo’, donata dall’artista a Paolo VI.

Al termine della mostra, il visitatore  avrà la sensazione di aver scoperto un’espressione artistica alla ricerca della simbolicità. Un simbolicità occidentale e cristiana ma aperta sul mondo. Con un intento a volte decorativo, Salvatore Fiume comunque ha inseguito per tutta la sua vita il racconto di azioni, quelle di Cristo oppure quelle degli uomini, da ritrovare  con nuovi linguaggi, con nuovi colori.

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Renato de Robertis

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