La storia. Auguri a Gianni Giroldi, aerosiluratore Gruppo “Faggioni” della RSI

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Gianni Giroldi

Il 13 marzo scorso ricorreva l’anniversario della sua prima missione. Aveva 19 anni e un ruolo, non da poco, con il Gruppo Aerosiluranti prima della Regia Aeronautica, poi della RSI: auguri a Giovan Battista “Gianni” Giroldi, “siluro alato” del Gruppo “Faggioni”. In occasione del suo 91^, vi proponiamo l’intervista che rilasciò a Marco Petrelli per il suo “A difendere i cieli d’Italia” (Eclettica Edizioni, coll. Aerovie, 2014).

UN “AQUILOTTO” FRA I MARO’ DELLA DECIMA

Gian Battista Giroldi, diciannovenne aerosiluratore tra Faggioni, Borghese e Osvaldo Valenti.

E se in decollo ti pianta il motore/pensa alla mamma e al primo amore”. Sono solari e sorridenti Marco Mario e Filippo (Leonardo Cortese, Carlo Minello e Alberto Sordi) nelle uniformi della Regia Aeronautica tirate a lucido. E’ il 1942 e, a metà tra finzione e vita reale, “I Tre Aquilotti” di Mario Mattoli racconta la vita di caserma e in prima linea degli allievi della Regia Accademia Aeronautica di Caserta. Infatti, al di là del cast fatto di giovanissime (e quasi irriconoscibili) future promesse del grande e piccolo schermo, la maggior parte delle comparse è costituita da vero personale volante (gli allievi dei corsi “Urano”, “Vulcano” e “Zodiaco”, nda), veri piloti travolti, nei successivi tre anni, dagli eventi bellici.

Ma perché parlarvi di cinema? Perché alcuni incontri, seppure dettati da mera casualità, possono sembrare creati ad hoc dal destino. E “I Tre Aquilotti” torna, con una certa frequenza, a bussare alla mia porta.

Avevo otto anni quando lo vidi la prima volta; me ne innamorai subito. Due decenni più tardi, Marco Mario e Filippo fanno ancora capolino dal televisore. Lei, appoggiata alla mia spalla:

Nonno da ragazzo. Bellissimo in divisa dell’aviazione, vero?

Estrae una foto dal portafogli e me la mostra: è uno degli attori che, peraltro, interpreta il mio protagonista preferito. Storie di uomini, ali, pellicole e… libri. Componendo questo diario mi sono crucciato di non aver reperito la testimonianza di un aerosiluratore. Finché non è lui, l’aerosiluratore, a trovare me. Ed è un vero “aquilotto”, che si arruola a 17 anni nella Regia Aeronautica e a 19 entra nel “Buscaglia”, la formazione del capitano pilota Carlo Faggioni, mito dell’ANR.

Gian Battista Giroldi è nato a Cunardo (VA) il 23 marzo 1925. E’ il più piccolo di tre fratelli, tutti in armi: il maggiore è un sergente, il mediano è imbarcato sulla corazzata “Duilio” (Regia Nave “Caio , Duilio” , classe “Duilio”. Varata nel 1913 subì, tra il 1937 e il 1940 lavori di ristrutturazione e ammodernamento. Danneggiata nel corso della Taranto Night, partecipa inseguito alla Battaglia della Sirte poi, nel 1943, raggiunge Malta secondo le clausole dell’Armistizio. Con la gemella “Andrea Doria”, resta in servizio fino ai primi Anni Cinquanta con la Marina Militare italiana), rispettivamente leve 1917 e 1920.

Il comandante del GA dell’ANR Carlo Faggioni

Non consegue il brevetto di volo, perché è un tecnico d’arma e, dal I dicembre 1942 al luglio 1943, frequenta il 26° Corso Scuola Specialisti Armieri Artificieri di Perugia.

Ci sa fare Gianni (come preferisce essere chiamato): agli esami di ammissione per la RA è settantesimo su quattrocento aspiranti.

Il suo primo servizio operativo è nella tarda estate del 1943, a pochi giorni dalla comunicazione dell’Armistizio di Cassibile, firmato il 3 settembre.

Arrivai a Rodi il 2 settembre 1943, in forza alla 195^ squadriglia BT (bombardamento terrestre, nda) su CantZ 1007/bis stanziata all’aeroporto di Maritza e partecipai ad una sola missione di ricognizione armata nel Mediterraneo orientale. L’8 settembre ricevetti una lettera di mio padre che mi avvertiva che avevano richiamato (alle armi, nda) anche lui, malgrado avesse già me in Aeronautica, un altro figlio imbarcato sulla ‘Duilio’ e il terzo, il maggiore, sergente a Mostar. Affetto da malaria e desideroso di conoscere le sorti della mia famiglia, ebbi la possibilità di rientrare in Italia dove, indipendentemente dagli avvenimenti politici e militari che ne seguirono e al di sopra di ogni mio interesse e calcolo personale, la mia scelta fu di aderire alla RSI”.

Gianni è molto giovane, ma ha le idee ben chiare: continuare a combattere gli Alleati per difendere il suo Paese. Quanto alla scelta della forza armata da servire, anche qui nessun dubbio: la nascente Aeronautica Nazionale Repubblicana.

Gianni con il libro che lo racconta

Ancora Gianni: “Chi non aderì alla Repubblica Sociale, incappò nella deportazione nei campi di internamento in Germania. Ricordo di tre navi salpate dall’Egeo con a bordo i prigionieri italiani, che fecero per la maggior parte una brutta fine: scambiati per trasporto truppe, i battelli furono attaccati dalla RAF britannica, due colarono a picco. Rientrai in Italia nel dicembre del 1943. Nei primi mesi di gennaio regolarizzai la mia situazione alla I ZAT di Milano e mi mandarono in licenza. Poi, l’8 febbraio 1944, il mio ritorno in servizio, con l’ANR. Al comando di Milano, in piazza Novelli, mi proposero tre alternative: un reparto caccia presso l’aeroporto di Cascina Malpensa, un ricostituendo gruppo di aerosiluranti all’ aeroporto di Venegono Inferiore, o ancora i servizi aerei speciali (SAS) su velivoli tedeschi e italiani S.82 operanti prevalentemente sul territorio della Germania. Scelsi il gruppo degli aerosiluranti, anche per la vicinanza con Varese”.

La decisione di Gianni è dunque dettata da due fattori: l’aver ricevuto addestramento per quella specialità e la vicinanza con la città natìa. Ma l’ “aquilotto” mi racconta anche di essere stato motivato da “Carlo Faggioni, il capitano pilota comandante del Gruppo Aerosiluranti ‘Buscaglia’, personaggio del quale avevo già sentito parlare e noto per le sue abilità di comando. Affabilissimo, ligio al dovere, non mancava mai di sorridere e di scherzare con il personale di volo. Tuttavia, in azione esigeva serietà e un buon comportamento da parte degli equipaggi. Aveva vissuto l’8 settembre come cosa ignobile, poiché (l’Armistizio, nda) aveva contribuito a mandare allo sbando l’intero apparato militare. Nel corso del suo comando, si adoperò affinché il personale da lui guidato non finisse in Germania”.

Ad appena un mese dal suo ingresso in ‘squadra’, Gianni è coinvolto nella prima azione di guerra. Il 10 marzo 1944, da Perugia, una formazione di Savoia Marchetti SM79 decolla alla volta di Nettunia, per colpire la testa di ponte anglo americana:

partecipai con il Gruppo Buscaglia a quattro missioni di guerra. La prima, la notte del 10 marzo 1944 poi, due giorni dopo, ad una nuova azione che tuttavia ha avuto esito negativo causa condizioni meteo avverse. Il 6 aprile 1944, nel corso di un trasferimento da Lonate Pozzolo a Perugia (campo trampolino), in formazione con 13 apparecchi fummo attaccati da cinque caccia americani Thunderbolt. La quarta missione fu un trasferimento da Lonate Pozzolo a Verona e in seguito a Eleusis in Grecia, dove ho operato nel Mediterraneo centro-orientale in azioni di siluramento”.

Ne L’organizzazione militare della RSI: sul finire della Seconda guerra mondiale (Greco & Greco Editori, 1998) Giuseppe Rocco fornisce alcuni dettagli sulla notte del 10 marzo. L’incursione del “Buscaglia” (che l’autore data all’11) provoca l’affondamento di due navi da settemila e seimila tonnellate. Il giorno seguente altra azione e altri danni, che Rocco però non specifica. Stando ai ricordi di Gianni, invece, la missione immediatamente successiva al 10 marzo non avrebbe sortito effetti a causa del maltempo.

In Ali nella tragedia (Mursia, 1997) Giulio Lazzati fissa due date, 10 e 14 marzo 1944. Il “Buscaglia” compie la prima missione manovrando gli apparecchi quasi a pelo dell’acqua. La formazione, sette SM 79, viene da nord est ed è accolta da un intenso fuoco di artiglieria navale ad alzo zero. In mezzo ad una pioggia di traccianti, gli incursori di Faggioni si avvicinano al loro obiettivo, un piroscafo che viene centrato in pieno e affondato. Poi, rapidamente, “strappo sul volantino, manette dei motori sul ‘più cento’ ed i 79 tirano su verso il buio del cielo nella rotta del disimpegno”.

Il “Buscaglia” riesce a rientrare a Perugia, ma conta un apparecchio in meno: il tenente Teta, colpito dalla caccia nemica, precipita in mare con tutto l’equipaggio. Anche il 14 marzo costa caro, con la perdita del tenente pilota Balzarotti. Neppure Lazzati fornisce un numero preciso sulle perdite alleate del secondo attacco, parlando solo di unità anglo americane colpite.

A bordo degli SM 79, il diciannovenne Gianni è “quinto elemento di un equipaggio formato da due piloti, un motorista, un marconista e un armiere: tenente Pandolfo Francesco, maresciallo Moschi Sesto (nipote di Mussolini), primo aviere motorista Chiello Angelo, primo avierie marconista Raja Vincenzo e io, primo aviere armiere, grado che ho mantenuto fino al termine della guerra”.

Il nome di Moschi ricorre nei racconti del mio interlocutore, al quale è stato molto legato da vincoli di amicizia. Sulla parentela di Sesto con Benito Mussolini ho poche notizie; ricavo alcune informazioni dal sito dei Beni Culturali (beniculturali.it) dove, in una pagina dedicata alla 27^ edizione del Premio Pieve (2011), tra i finalisti del concorso c’è

Perdoni l’ardire – epistolario 1938-1942, del sottotenente pilota Salvatore Mutolo (Messina, 1917-Battaglia di Pantelleria, giugno 1942) storia, lettera per lettera, di un amore intenso tra due giovani, che scoppia per caso, leggendo l’uno la corrispondenza dell’altra. Ma, come canta Sergio Endrigo, “i sogni belli non si avverano mai” e Lina, la fidanzata, riceve la notizia della morte in combattimento di Salvatore proprio da Sesto Moschi, indicato nella sinossi come nipote del Duce.

Torniamo a Gianni. Il Gruppo “Buscaglia” si prepara a fronteggiare ancora gli anglo americani.

Gli aerosilurtori lasciano Lonate di Pozzolo (sede del centro di addestramento, nda) il 7 aprile 1944. Stando ai ricordi di Gianni, all’altezza di Firenze gli apparecchi attirano l’attenzione della contraerea. I piloti non capiscono perché si spari contro di loro, pensano ad un malinteso: “il maresciallo pilota Moschi mi chiamò facendomi capire a gesti che sentiva puzza di crisantemi”. Mistero immediatamante svelato quando alcuni Thunderbolt attaccano la formazione, generando un certo scompiglio e causando la perdita di due velivoli: quello del maresciallo maggiore pilota Daverio (nei ricordi di Gianni, un veterano pluridecorato) e l’aereo del sottotenente Cusmano che, centrato nel serbatoio, salta in aria.

Gianni e il mitragliere di bordo di Faggioni aprono il fuoco e prendono un caccia nemico, che si allontana con la scia nera dietro la coda. Un altro SM79, quello del capitano Albini, precipita con l’equipaggio che si sbraccia in un ultimo saluto. Un’immagine struggente, tragico ed indelebile fotogramma impresso nella mente di un ragazzo allora neanche ventenne. I rottami con i corpi dei militari vengono rinvenuti ad Incisa Valdarno, non molto distante dal capoluogo toscano.

Anche altri due apparecchi precipitano. Le perdite salgono a cinque SM79.

I superstiti raggiungono Arezzo e atterrano. Faggioni, ricorda Giroldi, “era teso e scuro in volto. Non voleva credere che l’attacco subìto fosse dovuto a semplice casualità. Troppi erano gli elementi che avevano giocato a favore degli americani. Qualcuno ci aveva traditi. E i nomi dei traditori li conoscemmo a fine guerra: Anghinelli e Di Maio, due sottufficiali”.

Ricorre il tema del sabotaggio, già proposto da Luigi Gorrini nel corso delle nostre interviste. Per i cacciatori del I Gruppo “Asso di Bastoni” il sabotaggio si concretizzò in paracadute manomessi, con conseguente morte del pilota che si lanciava; nel caso del Gruppo Aerosiluranti si trattò di informazioni sulla rotta passate al nemico.

Per la notte alloggiamo alla ‘Pensione Moderna’. Il giorno successivo fummo trasferiti all’aeroporto di Perugia. Avevamo perso cinque apparecchi e con essi erano morti trenta nostri commilitoni. Gli ufficiali piloti Irnerio Bertuzzi e Ottone Sponza, che erano dovuti rientrare a Lonate Pozzolo, non si persero d’animo e la sera dell’8 aprile raggiunsero Perugia con due nuovi aerei. La mattina seguente ci recammo ad Assisi e ricordammo i caduti alla Basilica di San Francesco”.

Il resoconto dell’aviere arriva ora al momento cruciale. Dopo un pomeriggio passato ad armare gli SM79, attorno alle 23 gli equipaggi lasciano l’acquartieramento di Petrignano (PG) per la partenza.

La fase di rullaggio è difficile, perché c’è da attraversare un tratto erboso e pieno di buche. Vanno avanti per primi Carlo Faggioni, il capitano Giuseppe Valerio e i tenenti Ottone Sponza e Irnerio Bertuzzi. Quando tocca al tenente Pandolfo (aereo B.02), il terreno insidioso fa inclinare il mezzo, con l’elica che si contorce. Gianni e i suoi non posso partecipare alla battaglia.

E’ la notte tra il 9 e il 10 aprile 1944. Agli aerosiluratori è giunta notizia del convergere, sul luogo dell’attacco, di molte navi nemiche. La cosa non si prospetta affatto facile.

Ancora Lazzati:

(Gli aerosiluranti) arrivati in formazione sulla direttrice di Orbetello, si allargano, si distanziano e, bassi sul mare, puntano contro le navi da cui si alza una muraglia di fuoco. (…) I ’79’ procedono nonostante tutto; i piloti, con colpi secchi di piede o agendo sul volantino, li fanno scartare su un lato o sull’altro, per evitare le raffiche nemiche e l’attacco dei caccia notturni che attendono i nostri all’esterno di quella bolgia di fuoco”.

Gianni non c’è, ma ricorda bene le testimonianze dei superstiti:

i piloti, incuranti delle traccianti rivolte verso di loro, riuscirono ad avvicinarsi alle navi e a sganciare i siluri. Poi, fu difficile per tutti tentare di uscire da quell’inferno, tant’è che l’aereo di Faggioni, centrato nel serbatoio centrale, esplose in volo”.

Va meglio a Ottone Sponza che, con grande sangue freddo, riesce ad ammarare salvando le vite sua e dei suoi uomini. Issato a bordo di un mezzo da sbarco americano, trascorrerà diverso tempo nel campo di prigionia di Hereford, Texas.

Il resto della formazione si disimpegna ma, anche nel viaggio di rientro, i guai non sono finiti. Il capitano Valerio incappa in un banco di nubi e precipita. Muoiono tutti, eccetto il maresciallo Jasinski, che si lancia in tempo.

Un solo velivolo atterra a Lonate di Pozzolo, quello comandato da Irnerio Bertuzzi al quale, spiega Gianni, “toccherà l’ingrato compito di redigere il rapporto dell’azione”.

Dopo Nettunia, Bertuzzi partecipa ad altre operazioni, tra le quali la celebre incursione del giugno 1944 contro la flotta inglese a Gibilterra. E’ l’ultima volta che, nel corso del conflitto, apparecchi italiani colpiscono la base inglese nel sud della Spagna. L’azione porta al danneggiamento di alcune navi alla fonda, benché la Royal Navy non confermi le perdite, sostenendo che le reti anti siluro avrebbero protetto gli scafi. L’ardimento del Gruppo Aerosiluranti ha, comunque, vasta eco: l’ANR può ancora svolgere missioni fuori dai confini e portarle a termine.

Sopravvissuto alla guerra, Irnerio continua a volare come pilota civile di DC6 per l’Alitalia. Nel 1958 è scelto dal presidente dell’ENI Enrico Mattei quale comandante della flotta aziendale. Si racconta che Mattei, ex capo partigiano, si fidasse ciecamente del militare dell’ANR. Moriranno insieme il 27 ottobre 1962, quando il Morane-Saulnier MS.760 Paris pilotato da Bertuzzi e con a bordo l’industriale e il giornalista americano William McHale, precipita a Bascapé (PV).

Cosa sta facendo Gianni nel frattempo?

Il nostro Gruppo cambiò subito denominazione, da Buscaglia a Faggioni, sia per onorare il comandante deceduto, sia perché Carlo Emanuele Buscaglia, creduto morto nel 1942, era da poco venuto a mancare all’ospedale di Napoli. Ripescato dagli Alleati dopo l’azione in Nord Africa, Buscaglia era entrato nella RA di Brindisi. Per quanto riguarda me non mancarono nuove occasioni di volo. Nell’agosto 1944, il maresciallo pilota Moschi fu abbattuto sull’Adriatico dalla caccia inglese. Ero appena rientrato da una licenza, il sottufficiale mi aspettava per decollare ma, al mio arrivo alla base, Moschi e i suoi erano già partiti per una missione dalla quale non fecero ritorno”.

Come per gli altri reparti operativi dell’ANR, anche per il GA la fine del ’44 e i primi mesi del 1945 vedono assottigliarsi le azioni di. Il giorno di Natale del 1944 e il 5 gennaio 1945, il “Faggioni” attacca naviglio nemico a largo di Rimini. Un piroscafo alleato cola a picco. E’ l’ultima vittima dei “siluratori alati”.

A marzo “smontammo due apparecchi, privandoli dell’armamento di bordo e installammo serbatoi supplementari per un lungo raggio. Ci dissero che gli SM79 avrebbero forse dovuto raggiungere la Spagna, con a bordo documenti riservati. Altre fonti parlavano invece di un passeggero d’ eccezione, Benito Mussolini. Il Duce avrebbe dovuto riparare da Francisco Franco”.

Come sia andata la storia, però, lo sappiamo tutti: Mussolini non andrà mai a Madrid, ma verrà fulminato da una scarica di mitra a Giulino di Mezzegra insieme a Claretta Petacci.

In aprile anche i Gruppi Caccia ANR cominciano a sospendere le operazioni. Scontri in quota e purtroppo morti vengono registrati fino al 19 del mese, ma il grosso dell’attività è ormai cessato.

Le armi di bordo degli apparecchi superstiti del “Faggioni” (gli SM79 erano equipaggiati con mitagliatrici aeronautiche Breda da 12,7 mm e da una Lewis da 7,7 mm), vanno a rifornire i reparti di fanteria che convergono su Milano, incalzati dagli anglo-americani. Gianni, ormai armiere esperto, è inviato nel capoluogo lombardo con il compito di “addestrare i marò della Decima MAS all’uso delle armi”.

Un aviere scelto tra i fanti di marina di una delle unità più note e meglio addestrate della Marina Nazionale Repubblicana. Il suo ruolo di istruttore lo porta anche a conoscere il comandante del reparto principe Junio Valerio Borghese:

Mi ritrovai in una stanza con il comandante Borghese e Osvaldo Valenti, attore e ufficiale della Decima. Eravamo agli sgoccioli, la guerra era ormai terminata. I presenti brindavano, ma non capii bene a cosa. Ricordo invece che Valenti, avvicinandosi, mi offrì del dolce. Il 25 aprile la mia unità si trovava a Castano Primo. Poi, con la caduta di Milano e la fucilazione di Mussolini, feci rientro a casa. Non fu subito cosa facile: calci, insulti, botte, i partigiani non si risparmiarono. Tuttavia, dopo alcuni giorni, ebbi modo di chiarire la mia situazione”.

Giroldi decide di restare nell’Arma Azzurra ed è integrato nei ranghi dell’Aeronautica Militare italiana. Ma la permanenza è breve:

A fine conflitto mi sono presentato alla I ZAT di Milano per regolarizzare la mia posizione e venni assegnato all’aeroporto di Lonate Pozzolo dove affluiva del materiale sequestrato da un reparto di recupero materiale bellico (bombe, esplosivi) per il disinnesco. Ai primi di Febbraio del 1945 il maresciallo Bigotti mi portò all’aeroporto di Cascina Malpensa che rientrava, dopo l’occupazione americana, sotto l’amministrazione dell’Aeronautica italiana.Venni trasferito a Varese presso un comando di recupero del personale tornato dall’internamento o dalla prigionia, fino alla fine di Agosto. Poi, fui trasferito a Gallarate, presso il magazzino aeronautico, fino al mio congedo avvenuto nel mese di maggio 1947”.

Pur non essendo stato aviatore, come molti suoi colleghi ufficiali e sottufficiali Gianni risente della lontananza dal volo e non ci sta a fare l’ “impiegato” in Aeronautica. Forse, ipotesi di chi scrive, seppure “accettato” nell’AM il passato nell’ANR non gli permette incarichi più gratificanti. Situazione già vista e affrontata ascoltando i ricordi di Gorrini, che riceve la nomina a tenente ormai in congedo nel 1975, o ricostruendo le vicende post belliche di Bellagambi, nominato generale solo al termine della carriera. Franco Benetti, sottotenente complementare del II Gruppo CT “Gigi Tre Osei” , ricorda di essere stato “trattato da pezzente solo per aver fatto il mio dovere, volando nell’Aeronautica Repubblicana”. E alla proposta di restare, rinunciando al periodo di servizio in ANR, Benetti oppone un netto rifiuto.

L’aviere mi regala un’ultima immagine della sua vita operativa con il Gruppo “Buscaglia-Faggioni”, che merita di essere condivisa, in particolare perché aiuta a comprendere meglio chi fossero e quali qualità umane e professionali avessero i comandanti del G.A.

(Al reparto) C’era un clima sereno, tranquillo. Consci del proprio dovere pur sapendo che si operava in una guerra ormai persa.

Perugia, Aeroporto di Sant’Egidio. Il monumento che ricorda i caduti dell’azione del 10 aprile 1944 su Nettunia.

Il comandante Faggioni (e il capitano Marino Marini, che guida il GA dopo la morte di Carlo a Nettunia, nda) non volevano che il Gruppo si mischiasse in qualsiasi tipo di azione contro le forze partigiane. Nell’agosto 1944 Marini finì nelle mani della banda del comandante Moscatelli, che operava nella zona di Novara. Fu rilasciato in seguito a trattative con i capi della Resistenza. Moscatelli offrì un dono al nostro ufficiale, per ringraziarlo di aver salvato la vita ad alcuni dei suoi che erano stati catturati dai tedeschi e condannati a morte, promettendogli anche che a guerra finita tutti gli uomini del “Faggioni” avrebbero ricevuto un salvacondotto per rientrare alle loro case”.

Stando alle informazioni di cui dispongo, del Gruppo “Faggioni” soltanto due piloti subiscono le vendette del post liberazione: si tratterebbe di Roberto Salvi e Piero Leonardi, entrambi assassinati.

Lo spaccato della vita di reparto ricorda le memorie di Baldi, narrate all’inizio del mio viaggio: rispetto del grado, ma clima sereno, con l’eroe dell’aria Faggioni che, nei momenti di tranquillità, non manca mai di scherzare e di buttarla a ridere. Storie di uomini e di professionisti dell’aviazione che, come anche i loro colleghi della RA del Sud, in situazioni difficili scelgono di ottemperare al giuramento prestato di proteggere il Paese e il Popolo.

Oggi – mi spiega Gianni – manca la consapevolezza di essere e di sentirsi parte di qualcosa che vada oltre l’ ‘ IO’. Il tempo degli eroi è finito; nel mondo in cui viviamo regna un forte individualismo. Per quanto riguarda la guerra, non auguro che vicende come quelle che ho vissuto si ripetano alla mia discendenza”.

di Marco Petrelli

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