Il caso. Nei Boschi della lobby Anpi: chi sono i (veri) partigiani di oggi?

partigiani a codevigoNel maggio scorso, all’inizio della campagna governativa in favore del “sì” per il referendum costituzionale di ottobre, è avvenuta una breve ma rivelatrice polemica con al centro la ministressa Boschi, da cui sono indirettamente emersi dei dati rivelatori.

Tra i partigiani iscritti all’Anpi era sorta una diversa valutazione sul da farsi: alcune sezioni si erano esplicitamente dichiarate per un fermo “no” al voto referendario, condannato dai dirigenti nazionali della associazione favorevoli invece ad un netto “sì” in linea con il governo Renzi. La nostra ministressa, in giro per l’Italia a propagandare le idee dell’esecutivo di cui fa parte, a difendere un referendum che addirittura porta il suo nome,aveva attaccato i crumiri affermando “che i veri partigiani votavano sì”. Come poi si è capito, per “veri partigiani” intendeva coloro i quali avevano fatto veramente la “guerra di liberazione”, mente tutti gli altri non l’avevano fatta ed erano dunque dei “falsi partigiani”. Apriti cielo! Anche il premier è intervenuto a far da paciere.

Messa a tacere con una pezza la polemica intestina sui “veri” e sui “falsi” in base alla considerazione che tutti alla fin fine sono “partigiani” dato che, come dice un non dimenticato slogan “ora e sempre resistenza!” sono emersi sul Corriere della Sera (24 maggio 2016) alcuni importanti dati, cifre assai poco note ai più.

Il problema me lo ponevo da tempo. A 70, ora 71, anni dalla fine del guerra civile quanti sono i superstiti dall’una e dall’altra parte? I più giovani protagonisti, sia le “staffette partigiane” sia le “Fiamme Bianche” dovrebbero avere come minimo 82-85 anni, e quanti ancora  sono in vita pur considerando che siamo un “paese di vecchi” come si dice ormai?

Ecco i dati dal lato dell’ANPI: coloro i quali dopo l’8 settembre 1943 hanno o avrebbero ufficialmente partecipato alla “guerra di liberazione” erano 8000 nel 2014, circa 6700 nel 2015 e 5000 nel 2016. Riducendosi di circa 1500 ogni anno, nel 2019-2020 non sarà restato in vita, per l’inesorabile trascorrere del tempo, alcun vero “resistente”. Quindi l’ANPI dovrebbe chiudere i battenti per mancanza di iscritti. Però, si legge sempre sul Corriere, i 5000 di oggi sono il 4 per cento degli iscritti all’ “ente morale antifascista” (creato in data 3 aprile 1945) che sono in tutto 124mila. Come mai? Perché nel 2006, “dieci anni fa,al congresso di Chianciano, i vertici dell’ANPI decisero che l’associazione doveva aprirsi ai non partigiani per non estinguersi e così, nel corso degli anni, hanno preso la tessera esponenti vicini alla sinistra di tutte le generazioni. E oggi l’associazione è ormai costituita principalmente da persone che sono venute dopo, che sono nate nell’Italia liberata”.

Ora, secondo il ragionamento della Boschi i “veri partigiani” che hanno sul serio partecipato alla “lotta di liberazione” e così’ raggiungere il traguardo della Costituzione repubblicana, sarebbero per il “sì”,vale a dire per un voto che intende modificare detta Costituzione (“più bella del mondo”) quella per cui hanno combattuto. I “falsi partigiani”, il 96 per cento dell’ANPI, cioè i “non partigiani” che anno vissuto all’ombra di detta Costituzione democratica, repubblicana e antifascista, sarebbero per il “no”, cioè per lasciarla tale e quale. Bel paradosso.

Il problema del tempo che passa si pone per tutti, anche per la parte avversa, l’associazione dei combattenti e reduci della RSI, ovviamente. E’ comprensibile che si tenda a mantenere vivi i valori in cui si crede e trasmetterli alle nuove generazioni. Basti pensare che esistono ancora le associazioni garibaldine… Quel che non è sopportabile e tollerabile, invece, è che l’ANPI si comporti come una specie di partito, come una lobby, come un gruppo di pressione che può pretendere di intervenire arrogantemente su qualsiasi argomento imponendo il proprio punto di vista su tutti gli altri: avallando ma ancor più spesso contestando, criticando e accusando manifestazioni, convegni, conferenze, dibattiti, presentazioni, film, spettacoli teatrali, cortei e sfilante, congressi. Che scenda in piazza, vada pure, ma che voglia impedire con la violenza fisica e la pressione ricattatoria l’espressione di un pensiero e un punto di vita diverso da quello che ritengono di rappresentare e difendere, non è logico,legittimo e da prendere come esempio, addirittura da avallare. Però il ricatto politico-ideologico funziona e si sente spesso di manifestazioni, alle quali è stata concessa l’autorizzazione, che vengono annullate dopo le proteste dell’ANPI che ha imposto di revocarla magari all’ultimo istante. Insomma, un “associazione morale” con le sovvenzioni statali che si impone a prefetti, questori, sindaci quasi fosse il tribunale di una nuova Santa Inquisizione più forte dei rappresentanti  dello Stato ai quali impne la propria legge non scritta, spesso con la pilatesca giustificazione, o il tacito assenso, dei mass media tremebondi e conformisti,

Ma che bella democrazia partigiana! E naturalmente, i più intransigenti sono proprio i “falsi partigiani” che non hanno mai combattuto, dai cinquantenni ai diciottenni, duri e puri… a posteriori

 

La scheda del referendum del 2 giugno 1946

Postilla sul 2 giugno

Dalla “liberazione” alla Repubblica, dai partigiani ai militari.

Il 23 giugno, i  occasione del 70esimo anniversario del referendum Monarchia-Repubblica  e della sua nascita, sono stati fatti sfilare anche dei reparti in costume storico (cosa in parte già avvenuta in anni precedenti). Sicché dopo le uniformi della prima guerra mondiale, vi sono state quelle della seconda, esercito, aviazione, marina. Non so quanti hanno fatto caso che l’esercito aveva due divise differenti anche se on lo stesso elmetto: le prime file ne erano di colore kaki, di seguito un’unica fila in grigioverde. Gli organizzatori politico-militari hanno stabilito di mettere in apertura le uniformi che assunse l’esercito del Regno del Sud dopo l’8 settembre, cioè quelle color kaki con cui venne rivestito dagli Alleati, e soltanto dopo le uniformi 1940-1943, cioè quelle con cui il Regio Esercito entrò in guerra (e che poi furono le stesse della Repubblica Sociale nel 1943-1945), vale a dire le storiche divise del nostro esercito in seguito mai più utilizzate avendo la Repubblica italiana “nata dalla resistenza” deciso di confermare quelle imposte dal del nemico poi co-belligerante e infine alleato.

Così’ vanno le cose nel Paese dello Storicamente Corretto e della Ipocrisia Politica.

Gianfranco de Turris

Gianfranco de Turris su Barbadillo.it

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