Serie A. Da Jindong al mistero di Silvio: se la Milano (calcistica) se la bevono i cinesi

fozza indaLascia confusi, per usare un eufemismo, il video virale di Zhang Jindong, nuovo proprietario dell’Inter e padrone di Suning –titanico gruppo cinese di elettronica di consumo-, che urla “Foza Inda!” con atteggiamento risoluto e convinto. Ma non convincente. Farebbe anche sorridere, se non fosse che nessuno ha capito se ci sia davvero motivo di essere esultanti. Tutto ciò rientra infatti nella spaventosa e onnicomprensiva operazione di marketing messa in atto dall’asiatico patron e dai suoi fedelissimi: una rivoluzione radicale, che non si ferma all’immagine o al pagamento dei mostruosi debiti –compiti a cui l’ormai socio di minoranza Erick Thohir ha adempiuto con diligenza-, ma travolge la struttura, gli uomini, l’essenza dell’Inter, stimata da Jindong come una delle sue aziende e come una delle sue innumerevoli fonti di profitto. Necessità di adeguarsi ai tempi moderni? Sarà. Ma l’emblema di quest’agghiacciante metamorfosi è Massimo Moratti, definitivamente spodestato, eliminato dalla società, forse perché eccessivamente innamorato e nostalgico. Scavalcando le sue doverose dichiarazioni di facciata di “piena fiducia nei nuovi investitori”, trasuda un senso di incertezza sul futuro della squadra che continua ad adorare incondizionatamente. Perché è stato il primo dei tifosi e ha agito con il cuore, inorridendo di fronte ai freddi calcoli economici, piangendo nella folle notte del Triplete.

Allo stesso modo lasciano confusi le recentissime dichiarazioni del convalescente Silvio Berlusconi, che abbandona dopo trent’anni il Milan. Trent’anni gloriosi, di trofei, di supremazia continentale, di risultati incredibili, se tralasciamo l’ultimo periodo decisamente sottotono. Se sull’operazione Inter aleggia un velo di mistero, l’ex Cavaliere, a lungo idolo indiscusso della tifoseria e ora nel limbo odi-et-amo, ha esordito rassicurando il mondo rossonero: la ignota cordata, che investirà subito quattrocento milioni, “farà tornare grande il Milan in Italia e nel mondo”. Berlusconi, che nel medesimo frangente ha, senza mezzi termini, precisato che tornerà al più presto in politica, ha spiegato che è troppo stanco per continuare a guidare la società. Tra gli animi dei più malpensanti ciò potrebbe scatenare non poche perplessità, vista peraltro l’ultima fallimentare trattativa con Mr. Bee.

Ma cosa si cela dietro tutto ciò? Specialmente la trattativa che riguarda il Milan, che vede partecipare anche “imprenditori di società a partecipazione statale”, manifesta in modo limpido la strategia del governo cinese, che in prima persona ha deciso di entrare a gamba tesa, con investimenti miliardari, nel mondo del calcio. E così, dopo una prima fase –che continua a protrarsi- di pubblicità del campionato cinese, di acquisti sfrenati di “campioni” europei –a partire dai nostri Diamanti, Gilardino, entrambi tornati in Italia dopo un anno- e impossibili proposte come comprare Messi con i soldi dello Stato, sta prendendo piede una fase più matura e redditizia: mettere le mani sui club blasonati, farli rinascere, competere e battere gli Emiri. Siamo oltre il principe saudita che, per capriccio, si compra una squadra. Qui siamo di fronte alla pericolosa equazione club= azienda (Jindong “tratterà l’Inter con la stessa bontà con cui tratta i suoi dipendenti”): è naturale che, se la nave inizierà ad affondare, senza alcun tentennamento i cari padroni la abbandoneranno, svignandosela con una lussuosa scialuppa, che è già allestita per l’evenienza. È questa la ragione per cui il fresco vento asiatico che soffia sulla Madonnina, facendola traballare, è un vento gelido. Come i sentimenti che i prossimi presidenti nutriranno per le loro squadre.

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Francesco Petrocelli

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