CheStrega. “L’addio” (sospeso) del Moresco infuriato con i premi letterari

La copertina del libro di Antonio Moresco
La copertina del libro di Antonio Moresco

Dopo le proposte e con il titolo del libro vincitore del premio Strega 2016, una riflessione “stregata” su “L’addio” di Antonio Moresco. Buona lettura!

Archiviata l’ultima vittoria del premio letterario più prestigioso e ambito d’Italia spinge l’urgenza di chiosare -con tantissima umiltà, si badi bene!- sulle polemiche innestate da Antonio Moresco intorno al premio Strega 2016. Escluso dalla cinquina che  si è contesa la  vittoria, Moresco ha tuonato contro, in ordine sparso: l’inutilità dei premi letterari, la circostanza – a suo dire – almeno fumosa che i cinque finalisti vivono a Roma, la sua ingenuità nel cedere alla partecipazione ad una competizione letteraria; la conferma, conseguente l’ingenuità, dell’ipocrisia che ha abitato sorrisi e cene dei dodici scrittori in giro per l’Italia a presentare i loro romanzi.

Ora non si voglia negare a Moresco una ragione, che si sia sempre alzato intorno alle competizioni e ai premi il fumus delle consorterie e dei giochi editoriali, e che magari le operazioni di marketing abbiano il loro peso su quelle squisitamente letterarie e culturali. Superfluo  sottolineare che i premi non vanno sempre in automatico col valore. Gioielli della letteratura, di ogni tempo e spazio, e  autori altrettanto preziosi sono stati esclusi dalla gloria del podio, negletti dai critici pluristellati,  indegni di uno straccio di elzeviro. Farne un elenco sarebbe ozioso ma basti citare la polemica di Pasolini nel 1968 condita di nostalgie preindustriali in opposizione al neocapitalismo editoriale. E qualche tratto dello sfogo di Moresco risente di un Pasolini di ritorno.

Molti hanno ricordato a Moresco che il premio è un gioco. Anche, di certo. Un gioco cui non si sottrae, nel destino del postumo (tanto nel 1959 quanto nel 2016) nemmeno un classico, che in quanto tale, per definizione immune dall’agonismo: che dire del capolavoro di Tomasi di Lampedusa “Il Gattopardo” fresco di alloro di un  Superstrega  2016 per tramite di social, con beneplacito del povero Fabrizio, il Principe di Salina, così restìo alla modernità?

Capita, Moresco, capita. E Moresco che è un ottimo scrittore, un pensatore profondo e geniale, un  camminatore delle idee e del mondo, un creatore del dibattito intellettuale che è di più di esserne un animatore, avrebbe potuto non  indignarsi così tanto. Tanto da, a onor di cronaca, suscitare l’ovvia reazione del prof. Tullio De Mauro, presidente del Comitato del premio Strega, con l’altrettanto ovvia sollecitazione a tirare fuori i nomi dei  “truccatori”. In questo  mondo di voyeurs digitali sarebbe stato interessante e gustoso se la querelle fosse continuata a suon di nomi, smentite, denunce ma culture oblige tutto si è risolto in un veloce oblio.

Capita, Moresco, capita. Capita anche che l’opera con cui si concorre ad un premio, dopo aver abbattuto il muro della diffidenza e della sfiducia, non sia poi un libro tra i più belli rispetto a quelli ammessi alla cinquina finale. Il romanzo “L’addio” (Giunti, 2016) racconta la missione omicida del poliziotto D’Arco, reduce dal regno dei morti, per vendicare cataste di bambini stuprati, torturati, privati degli organi, ammazzati nei modi più atroci che la fantasia, a supporto qui di una cronaca reticente, poteva generare. Un romanzo che getta in faccia al lettore una violenza eccessiva e sanguinolenta, a farlo quasi colpevole di non fare nulla per fermare il Male. Nel viaggio – in verità molto fumettistico con tendenze al videogame o ai film d’azione americani – tra la città dei morti e la città dei vivi Moresco non cammina ma corre, inseguendo pensieri nichilisti sull’origine del Male e del Bene, della vita e della morte, del dolore e dell’amore; attraversa un’umanità disgustosa tutta e tutta buia, buia anche quando fili elettrici abbagliano la scena. Un girone infernale senza possibilità di “tornare a rivedere le stelle”: troppo infernale, narcisisticamente infernale. Più Orfeo che Dante è  Moresco in “L’addio”, si gira indietro e condanna il lettore a ricacciarsi negli Inferi delle sue colpe di uomo incapace di umanità.  Un romanzo con pochi guizzi di scrittura, con una storia tra l’horror e il thriller alquanto scontata e gli innesti filosofici non creano effetti di pensiero alla “Matrix”. Un libro dolente e generoso ma forse la nuova frontiera della letteratura sta nelle trovate del linguaggio. “L’addio” in questo non è un libro nuovo o innovativo o diverso. Resta sospeso nelle sue potenzialità.

Capita Moresco, capita.  

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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