Schegge. Jean Mallar de La Varende e la fedeltà alle origini

jean de la varendeJean Mallar, visconte de La Varende, normanno, di famiglia da generazioni in servizio di marina, fu reduce dalle trincee nella Grande Guerra. Trascorse gran parte dei suoi giorni nel castello natale di Bonneville, dove innalzò – fra racconti, romanzi, saggi storici, biografie – un considerevole edificio letterario. È noto per i romanzi Naso di cuoio (del quale esiste una trasposizione cinematografica), Il centauro di Dio, L’uomo dai guanti di tela, La strega  e Pays d’Ouche, con il quale ottenne il premio Vichinghi.

Autore principalmente di romanzi a sfondo storico; l’ambientazione d’elezione è la sua terra normanna, cattolica e realista, della quale è stato insuperato cantore. Ad interessarlo sono soprattutto gli eventi a cavallo dei secoli XVI e XVIII quando gli ultimi Cowans (così chiamati perché imitavano il grido della civetta) si batterono per la duchessa di Berry; leitmotiv delle opere di La Varende è l’epopea dei “Bianchi” contro i Rivoluzionari. Fedele alla Normandia scrisse un libro interamente sul Mont Saint-Michel, “aux confins de Normandie et de Bretagne” dirà.

Dalla prosa di La Varende, “saporosa, pittoresca, singolare, inimitabile”, emergono “antichi fermenti atavici”(1). In essa domina una grande fantasia e una visione eroica della vita umana strettamente legata alle tradizioni familiari di una stirpe di nobiltà guerriera, conservatrice di una gloria perenne, che si identifica con la terra, su cui aleggia la vocazione a immolarsi per riscattare le colpe dei padri.

“Scrittore realistico e magico, rude e delicato, austero e passionale, acuto indagatore di stati d’animo, a volte mistico”(2), stimato da Michel de Saint Pierre, Paul Bourget e Robert Brasillach, fervente sostenitore del royalism e simpatizzante dell’Action française, per tali posizioni nella stessa Francia è stato relegato ai margini, fra i minori. Aristocratico, indipendente, pur non aderendo esplicitamente al governo del Maréchal Pétain, affiancò Brasillach, Rebatet e Bardèche durante l’esperienza del settimanale collaborazionista Je suis partout. Nell’Académie Goncourt dal 1942, la sua carriera fu coronata dall’assegnazione del Grand Prix degli immortels per il romanzo Il centauro di Dio, reso in italiano da quell’ardente “omo salvatico” che fu Domenico Giuliotti.

Stella polare di La Varende, sia per lo stile che per le sue nobili idee, fu il dandy Barbey d’Aurevilly. I suoi personaggi fanno il paio con quelli di d’Aurevilly sia per lo spirito di sacrificio che per il dono assoluto di sé: anime elette ai più nobili ideali che con Baudelaire potranno dire:

“O vous, soyez témoins que nous fîmes notre devoir comme un parfait chimiste et comme une ame sainte”.

(1)-(2) Dalla nota introduttiva di Domenico Giuliotti all’edizione italiana de Il centauro di Dio (Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1940).

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Giuseppe Balducci

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