Libri. “La salvezza non è in nessun luogo”; Drieu, lo scontro e le lettere ai Surrealisti

Drieu La RochelleSono state da poco tradotte in italiano e pubblicate in volume per le edizioni Robin Le lettere aperte ai surrealisti di Pierre Drieu la Rochelle. Precedute da un saggio introduttivo documentato e dettagliato del curatore Marco Catucci, sono seguite dai testi originali in francese e da un’appendice che propone testi e profili di autori, che furono in qualche modo legati alla querelle che oppose Drieu ai surrealisti. Il 1925 fu un anno di grande rilievo nella vita di Drieu: viene pubblicato il suo primo romanzo L’uomo coperto di donne con dedica all’amico Aragon. Il protagonista del romanzo, che tanto contribuì alla fama di Drieu come seduttore avendo una forte impronta autobiografica, è un dandy, un uomo senza fede e senza morale che trascina la sua vita di avventura in avventura, pur avvertendo confusamente il richiamo di qualcosa di assoluto. Nello stesso anno si era conclusa la storia d’amore di Drieu con l’americana Constance Wash, forse la sua passione più grande ed era maturato lo strappo con Aragon e il gruppo dei Surrealisti in seguito alla pubblicazione sulla Nouvelle Revue Francaise del 1 agosto di una lettera aperta Il vero errore dei surrealisti. L’occasione di questo scritto polemico era stata offerta a Drieu da una lettera aperta dei Surrealisti a Paul Claudel, distribuita il  2 luglio,  nella quale essi replicavano duramente alle accuse del vecchio poeta e tragediografo cattolico che li aveva definiti inconcludenti e preannunciavano il loro impegno a fianco della rivoluzione comunista. Fino ad allora Drieu, che aveva fin dal 1917 stretto una solida amicizia con Aragon, pur non aderendo espressamente al  Dadaismo poi trasformatosi in Surrealismo (grazie a Breton e ad Aragon), aveva tenuto bordone alle loro iniziative a volte convulse e confusionarie. Nella sua lettera Drieu rimproverava Aragon e i Surrealisti di aver ceduto alle lusinghe dell’azione politica, di tradire così il principio della libertà dello spirito e della ricerca da loro fieramente proclamato: “Sì, speravo veramente che voi foste meglio dei letterati, degli uomini per i quali lo scrivere è un’azione, e ogni azione la ricerca della salvezza” (Il vero errore dei Surrealisti, p. 48); e li invitava a “lasciare tutto tranquillo e cantare l’amore,  cosa che è molto più nelle nostre corde. L’amore e Dio”; e a cogliere “i frutti del solo giardino reale, ignorato dalle cupidigie mondiali, ignorato dai miliardari come dalle democrazie; bisogna che impariamo di nuovo a godere più a lungo del nostro spirito, del nostro cuore, del nostro corpo.” (ib. p. 51-52). La replica di Aragon, risentita e a tratti ingiuriosa, non si fece attendere: in una lettera privata (che forse Drieu ebbe il torto di rendere pubblica sulla Nouvelle Revue Francaise del 1 settembre) lo accusava di essersi legato ad una maggioranza che prima disprezzava, di civettare con l’Action Francaise, di un atteggiamento eccessivamente prudente e oscillante, di “lirismo mediocre” e, senza mezzi termini, di “incapacità a formulare a concetti.” La rottura tra Drieu e i Surrealisti era ormai segnata. Successivamente Drieu ebbe modo di tornare sulla questione pubblicando la seconda e la terza lettera ai Surrealisti sulla rivista Les Derniers jours rispettivamente del 15 febbraio e dell’8 luglio 1927; ed infine con una recensione assai critica alla mostra tenuta dai Surrealisti nel 1938 a Parigi apparsa sul giornale Je suis partout del 3 settembre 1938. Nella seconda e terza lettera, in particolare, Drieu faceva delle precisazioni (“riconosco che avete avuto ragione di indignarvi della parola Dio che impiegavo nella mia lettera ad Aragon. Ma, impiegandolo, non credevo che si potesse prendere questa parola alla lettera. Per me, era la profondità del mondo”, p. 75);  ribadiva le sue accuse ai Surrealisti (“un tema poetico è altra cosa da una deduzione metafisica… nella realtà voi non farete che incursioni, improvvisamente spezzate dalla nostalgia del surreale e dunque deludenti, traditrici per coloro di cui farete i vostri alleati effimeri”, p. 77-78); giustificava le sue scelte (“io non ho sentito un tempo che egoismo e amarezza… Oggi comincio a darmi, ma bisognava prima ricomporre la mia anima, perché non si dà ciò che non si possiede”, p. 63); prendeva atto della rottura ormai consumata (“in verità, una sfumatura ci separa. Ma una sfumatura per degli artisti, per degli uomini, è la cosa più grave”, p. 95). Nel suo saggio introduttivo Marco Catucci prende le parti dei Surrealisti scrivendo che “quando gli autori della Lettera a Claudel proclamano con fierezza che “la salvezza non è in nessun luogo”, questa sentenza equivale per Drieu a un disperato “tutto è perduto”. Se per i Surrealisti la perdita della speranza è una liberazione, per il loro antico ammiratore essa equivale invece alla dannazione.” (p. 25).

Inoltre, con un velato e pregiudiziale atteggiamento di condanna nei confronti di Drieu, sostiene che Drieu negli anni successivi sconfessò tutto ciò che aveva predicato nelle sue lettere aperte ai Surrealisti, perché finì, esattamente come i Surrealisti, per fare una scelta di campo, sia pure opposta alla loro, ed anzi “affidò a un romanzo Gilles, scritto tra il 1937 e il 1939, in un’irosa mistificazione, la sua ultima parziale, ingenerosa versione dei fatti.” (p, 39). Non siamo affatto d’accordo con questi giudizi. La maturazione spirituale non corre su binari fissi, pesche e mandarini non maturano assieme. Catucci non tiene conto della differenza delle sensibilità e dei progetti di vita: se Drieu aveva un temperamento introverso, riservato, piuttosto meditativo, tendente alla solitudine, Aragon e gli altri erano estroversi, plateali, inclini ai gesti eclatanti e a fare gruppo. Paradossalmente nella querelle avevano torto e ragione entrambi: legittimamente agli occhi dei Surrealisti Drieu appariva eccessivamente prudente, inetto, troppo sognatore; ma altrettanto legittimamente agli occhi di Drieu i Surrealisti apparivano esagitati e infedeli ai propri strombazzati principi. Entrambi hanno percorso un tratto di strada assieme, avendo elementi in comune: l’angoscia, il disprezzo della morale borghese e delle sue istituzioni, la rivolta. Quando venne il momento di scegliere un campo, nel 1934, Drieu non si tirò indietro. Peraltro, non rinunciò mai ad esercitare il suo spirito critico (anche nei confronti del nazionalsocialismo, come dimostra la censura apportata ad alcuni suoi articoli). C’è da dire poi che il fascismo  consentiva al suo interno, a differenza del comunismo e del nazionalsocialismo, una dialettica, tollerava posizioni diverse. Come scrive lo storico Emilio Gentile “il fascismo riconosceva agli artisti, che ovviamente non fossero militanti antifascisti, libertà di ricerca e di espressione nel campo propriamente estetico e si distinse dal bolscevismo e dal nazismo perché non volle imporre un’arte di Stato.” (Il culto del littorio, p. 177). Da questo punto di vista probabilmente fu Drieu ad essere più fedele agli ideali di libertà dello spirito  proclamati nella giovinezza.

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Sandro Marano

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