Artefatti. Il fremito di Gazza ultimo liberatore del pallone (dalla noia dell’esempio)

gascoigneEstate calda e afosa, al campetto di un piccolo paese della bassa pianura padana – nemmeno quello ufficiale riservato alla squadra di calcio locale – prende il via un torneo autogestito ed organizzato alla bell’è meglio, esoticamente denominato “Season Cup”. Alla sera cala un teatrale silenzio, in tv c’è Italia ’90, il mondiale di calcio, sicché pare ovvio imbastirne una variante localista pomeridiana tra amici, con i poveri mezzi che le paghette consentono di sperperare: maglie più o meno dello stesso colore per ogni squadra, numeri scarabocchiati con l’uniposca sulla schiena, pallone “Tango”, scarpe da ginnastica vista l’aridità della superficie campestre, calzoni a discrezione personale, arbitri e guardalinee raccattati tra gli amici sovrappeso o occhialuti antisportivi, già scampati alla selezione per diventare portieri. I ragazzi in campo, juventini, interisti o milanisti, ovviamente ispirati dalle gesta dei vari Baggio, Baresi, Schillaci, Donadoni, mimano mosse, simulano virtuosismi, immaginano tutt’attorno telecamere e spalti affollati inesistenti. Tutti in trepidazione per gli Azzurri, ovviamente. Tutti tranne lo scrivente, all’epoca devoto senza plausibili spiegazioni alla perfida Albione: candida maglia ufficiale con lo scudetto effigiato dai tre leoni – attesa per mesi dopo una infinita raccolta punti, a favore di una ditta produttrice di merendine confezionate – mutandoni blu in pendant della Umbro, di panno pesante e di almeno tre taglie più larghi, acquistati in fretta e furia per inderogabili vincoli estetici, attitudine menefreghista riguardo a tutto il resto. Fu così che per tutti, in quel contesto paesano, divenni “Paul – mutanda – Gascoigne”, proprio per via di quei calzoni cadenti e dell’andatura barbara sul campo di battaglia.

Paul John Gascoigne, nato a Gateshead il 27 maggio 1967 e miracolosamente ancora fra noi, è stato un giocatore di calcio inglese (Newcastle, Tottenham), principalmente conosciuto in Italia per i ben remunerati trascorsi laziali. Indubbiamente un fenomeno, ma anche un tizio propenso a “fare il fenomeno”, ché non è sempre la stessa cosa. Poco importa della biografia calcistica, facilmente raccattabile ovunque, qui interessa l’uomo, o tutt’al più la sua pubblica maschera. Gli inglesi, si sa, sono strani: di gesso in certi artificiosi frangenti (corse di cavalli, vernici d’arte, degustazioni d’infusi, parate monarchiche), sbarellati senza ritegno in altri (sbronze colossali nei pub, risse proletarie, pogo ai concerti), senza che a noi continentali sia concesso comprendere appieno la dinamica di tali schizofrenici sbalzi. Si dice siano sempre gli stessi – bancari ed hooligans – a far balletto con la propria shakespeariana controparte; si dice che di giorno il bastone sia per le pecore, mentre di notte possa tornare utile per altre evenienze. Si dice. Resta il fatto che, comunque si rigiri la faccenda, o si va a parare nell’Irlanda del Nord per rendere omaggio postumo al genio di George Best, oppure per corrispondenza generazionale, è a Gazza che bisogna guardare: ovviamente per l’assegnazione del titolo di pecora nera del football britannico.

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Massiccio e paffuto, il centrocampista offensivo inglese si fece notare da subito per le doti tecniche – palla incollata ai piedi, incedere rapido nonostante la corporatura tutt’altro che snella – e per l’imprevedibilità delle giocate, estesa per altro al comportamento dentro e fuori campo. Memorabile la sua partecipazione canora nel video World in motion, dei New Order, canzone che accompagnò la nazionale inglese durante i mondiali di Italia ’90, preludio e prologo ad un clima di ubriacature sempre meno metaforiche. Smorfie soprattutto, buffi siparietti, irriverenti anarchie, come quando raccogliendo il cartellino giallo caduto dal taschino dell’arbitro, ammonì platealmente quest’ultimo (per poi ricevere la medesima sanzione) o come quando si presentò completamente nudo al cospetto di un basito Dino Zoff, all’epoca allenatore della Lazio. Nell’ipocrita teatro calcistico, fatto di ridicole imposizioni pedagogiche e del “buon esempio” profuso per nascondere sotto al tappeto tutto il marcio, Gascoigne rappresentò la fanciullesca insofferenza al protocollo, l’ultima forma di spontaneità possibile, prima che la colata di plastica dorata trasformasse il tutto in un subbuteo per semidei. Viene in mente la fiaba di Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore, laddove solo la candida innocenza di un bimbo si erse a sfidare il coro degli asserviti: “il re è nudo!”. Ecco, a Gazza mancava proprio del tutto il filtro dell’autocensura: buona la prima, qualsiasi cazzata fosse a passargli per la testa.

Goliardia e scherzi da caserma, sorriso ebete e baldanzosa strafottenza, durarono finché l’attività agonistica si mantenne ad alti livelli, poi il sistema immunitario calcistico espulse il corpo estraneo senza troppe remore. “Non siete voi che mi cacciate: sono io che me ne vado!”, pressappoco sarà stato questo il pensiero di Gazza, dopo aver fatto di tutto per impedirsi un futuro nell’ambiente sportivo, ormai avviato verso l’inesorabilità autolesionista. Maschera comica maschera tragica, con il grave limite di saper recitare solo una parte, quella dell’iconoclasta un po’ sbruffone, passati i vent’anni null’altro che una grottesca parodia. Venne così l’alcoolismo, con una stravagante dipendenza da Red Bull (sessanta lattine al giorno, pare poco?) come decadente intarsio sul vizio ingestibile; bottiglie di gin e indigenza, porte sbattute in faccia e notti all’addiaccio secondo un copione già scritto, sempre più in basso, fintanto che si può scendere nella miseria umana. Anche i media smisero di occuparsene: già visto, notizia poco spendibile ormai. Calò l’oblio, dopo la morbosa cronistoria iniziale della quale l’anglicano medio va pur sempre ghiotto. Ma Paul John Gascoigne, giocoliere ed artista inconsapevole, non è mai appartenuto veramente alla corporazione degli atleti; il suo nome dovrebbe essere scritto accanto a quelli di Piero Manzoni, Amy Winehouse, Guy Debord. Con la differenza sostanziale che Gazza è ancora vivo, ed ora, probabilmente, si starà toccando le palle per scaramanzia.

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Donato Novellini

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