L’appello. Il patrimonio economico della destra per la “buona battaglia”: un’Accademia politica

TricoloreChe la destra – la si intenda come forza politica o come contenitore di idee e posizioni di governo – sia sostanzialmente assente da questo Parlamento, dalla sua distribuzione di potere interno, dal governo, ma pure, e disastrosamente, dal dibattito pubblico, penso che non sia nemmeno il caso di stare di nuovo a puntualizzarlo. Non sarà magari un dramma per l’Italia, ma è un fatto. Abbiamo detto più volte che in questo caso le responsabilità del ceto politico e intellettuale della seconda Repubblica sono enormi, ma anche qui le cose sono talmente evidenti che continuare a buttare sale sulle ferite è superfluo e autolesionista. Quando c’è scarsa lucidità in giro, per rimediare ai disastri si cercano sempre le scorciatoie. La destra, i suoi rimasugli o le sue rovine, non sfugge da questo cliché pavloviano della scorciatoia per rimediare presto, e in qualunque modo, alla desertificazione della destra.

La prima scorciatoia è quella della pezza a colori (tricolore): assemblare tutti i partiti, partitini, movimenti e movimenti che sono sopravvissuti, malconci tutti ma non tutti nello stesso modo, all’ultimo tsunami elettorale, facendo una sommatoria che per ora come unico comun denominatore ha paura della scomparsa dopo la marginalizzazione. In qualche contesto periferico questa operazione è già in fase di sperimentazione alle elezioni amministrative. In bocca al lupo, ma non credo che il semplice collage degli impauriti possa portare da qualche parte.

La seconda scorciatoia è l’idea di rifare una destra in forma partitica: e anche qui, la domanda è chi la dovrebbe fare. Appunto: chi la dovrebbe fare? Gli stessi che hanno buttato vent’anni di occasioni nel mare torbido del fallimento, in cui restano a galleggiare bandiere strappate e gagliardetti inutilizzabili? Quantomeno, bisognerebbe dubitare tanto dell’opportunità quanto ancora della desiderabilità, in questo momento, di una cosa del genere. Perché letteralmente sarebbe una “cosa”, un mammozzo appiccicato alla rinfusa dietro alle solite, facili, “parole d’ordine” che in questa fase riescono essere interpretate meglio dal grillismo, dalla Lega o dallo stesso berlusconismo di nuovo spolvero.

La terza scorciatoia è quella leaderistica, la cui frase costitutiva è: “Eh, magari trovassimo un leader…”, rimpiangendo evidentemente Gianfranco Fini, anche quelli che oggi lo disprezzano, e lo disprezzano proprio perché lo accusano di aver dilapidato, sommo responsabile, un patrimonio politico ed elettorale. Io faccio parte di quelli che questa responsabilità la divide in modo più equo, coinvolgendo tutta la classe dirigente della “foto di Fiuggi” e lo scarno mondo intellettuale che avrebbe dovuto dare corpo e anima a un’idea della destra di governo e invece, anch’esso, ha fallito clamorosamente.

Ma parlavamo di patrimonio: ecco, come ha ricordato Barbadillo, l’unico patrimonio che sopravvive a destra è di tipo economico (strano contrappasso per un mondo che, a parole e a chiacchiere, ha sempre schifato l’oro in nome del sangue: dissanguati, resta l’oro a luccicare…), e si potrebbe impiegarlo per costituire un’Accademia della buona politica. Ovvero fare quello che non è stato fatto in vent’anni: anziché scommettere su leader, leaderini, botte di fortuna e bandwagon elettorali, capovolgere il paradigma dell’improvvisazione e, finalmente, ragionare prima nei termini della ri-costruzione di un catalogo di idee per una destra contemporanea, sapendo benissimo che non basta qualche librino sulla “cultura della destra” o qualche boutade opinionistica per produrre proposte di governo (sociali, economiche, culturali, del lavoro, eccetera). E dopo, solo dopo, preoccuparsi dei leader e delle forme politiche che dovrebbero rivestire queste idee nella concretezza dell’azione politica. Ciò significa smetterla con i tentativi di rassemblement, o la caccia miracolosa al leader, e affrontare questo momento di crisi con la serenità e la gittata del lungo periodo. Questo significa, se è possibile, scovare e radunare le intelligenze che ci sono, nonostante tutto, e metterle al lavoro attorno a un progetto comune. Questo significa, a dio piacendo, sbloccare un patrimonio bloccato dalle beghe di una comunità scomunicata e porlo al servizio di una causa onorevole. Che, come tutte le buone cause, produrrebbe buoni effetti.

Angelo Mellone

Angelo Mellone su Barbadillo.it

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