Effemeridi. L’elogio di Philippe Leroy ribelle-parà e indimenticabile Yanez di Sandokan

Philippe Leroy
Philippe Leroy

15 Ottobre 1930. A Parigi nasce Philippe Leroy, e nasce in una famiglia aristocratica, quella dei marchesi Leroy-Baulieu.
Una giovinezza segnata dai viaggi, mozzo su un mercantile diretto negli Stati Uniti e autostop fino all’America latina.
Poi un contentino alla famiglia, gli studi in Francia e, dopo la laurea in Scienze Politiche, frequentata nella parigina Science Po di rue Saint-Guillaume, che aveva avuto tra i fondatori nel 1872 anche il suo antenato Pierre-Paul Leroy-Beaulieu (assieme a Ernest Renan e Hippolyte Taine), si getta nell’avventura del suo tempo che non è la carriera diplomatica come da tradizione familiare bensì quella militare degli ultimi drammatici sussulti del colonialismo francese.
A 24 anni si arruola nella Légion Etrangère, ufficiale paracadutista, dapprima tra le risaie dell’Indocina rimanendo coinvolto anche nel dramma finale della battaglia di Dien Bien Phu e poi nel Djebel algerino impegnato nell’estrema difesa dell’Algeria francese.
Una sconfitta dopo l’altra dalla parte dei reprobi, tra fame, morte e disperazione.
Al ritorno in Francia, tra tanti mestieri fatti per caso senza ricorrere alle tradizioni di famiglia e alla laurea, gli capita di fare anche l’attore non professionista – è il 1960 – nel film di Jacques Becker “Le trou” (Il buco), versione cinematografica dell’omonimo romanzo autobiografico dello sceneggiatore dello stesso film, José Giovanni, uno scrittore e regista dalla vita a dir poco avventurosa, del quale ci siamo già occupati in queste “effemeridi”. Un altro abbonato alle sconfitte, scampato alla ghigliottina dopo la condanna a morte alla fine della guerra, scoperto come romanziere da Roger Nimier dopo il clamoroso tentativo di fuga (quello del “tru”) e quindi diventato famoso scrittore di una ventina di romanzi, e regista di altrettanti film, sempre con gli stessi attori protagonisti, dello stesso giro, Delon, Belmondo, Lino Ventura…
Ma a fianco dell’esordio cinematografico per Leroy ci sono gli strascichi dell’impegno per l’Algerie française, proseguiti anche dopo il congedo militare.
Un impegno che – non sappiamo se con l’0AS o no – sicuramente, come ha modo di precisare in alcune interviste degli anni ’90, è fatto di militanza in attività non “gradite al nuovo governo”, e, scendendo nei particolari, “dopo l’indipendenza algerina a Parigi non tirava una buona aria per me, gli amici mi bisbigliarono: stai attento quando rientri a casa, la notte. Così una mattina ….”.
E quindi l’arrivo a Roma, in piazza del Popolo dove incontra Vittorio Caprioli che già conosceva, e di lì l’inizio della vera carriera cinematografica con “Leoni al sole” al quale seguono quelli con altri registi italiani, da Gianni Puccini a Liliana Cavani, da Mario Camerini ad Alberto Lattuada, e Lizzani, Pasquale Squitieri, Comencini, Steno, …. ma anche con i connazionali Luc Besson e Jean-Luc Godard.

Yanez

Diventa famoso tra il grande pubblico quando è protagonista di alcune serie televisive, lo Yanez di “Sandokan”, il Leonardo da Vinci di Renato Castellani.
Fuori dal set cinematografico conduce una vita ritirata, senza lusso, in una casa alle porte di Roma, tirata su da solo, a Isola Farnese, dopo un matrimonio fallito con Françoise Laurent (ma la loro figlia Philippine segue le orme del padre come attrice) il nuovo matrimonio con Silvia Tortora, la figlia di Enzo.
Altro amore, interrotto dopo l’esperienza militare è quello per il paracadutismo, ripreso nel 1986; da allora, centinaia di lanci sportivi.
Ma sportivo lo è stato anche in altre discipline: nazionale di rugby; di bob a due con partecipazione anche a gare mondiali, e sci, equitazione.
Infine, l’arte, si è dedicato alla scultura esponendo anche in alcune mostre, e alla poesia.
Da una bella intervista raccolta qualche anno fa da Stenio Solinas, impareggiabile ricecatore di personaggi avventurosi e figlio di un alto ufficiale parà della Folgore, abbiamo una sorta di “testamento” di Philippe Leroy, la poesia “Dernières Volontés”, ultime volontà:
«Pas grand chose à dire.
Un peu de pensées pas toujours très claires.
Un mauvais exemple, qui laisse des remords.
Une grande utopie pour cacher les pleurs.
Un morceau de bois, pour sculpter ma tombe.
Trois pièces de monnaies, pour m’acheter des fleurs.
Ma photographie. D’acteur».
E qui c’è tutto lui.

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Amerino Griffini

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