Pubblichiamo un estratto da “Il diario di guerra” Ernst Junger, pubblicato dalla Libreria Editrice Goriziana. In questo volume emergono i primi elementi che poi lo scrittore tedesco usò per “Tempeste d’acciaio”
Mi ero appena tolto gli stivali e schiaffato nella mia cuccetta, quando è iniziata una violenta sparatoria. Non volevo farmi disturbare in nessun caso, ho inveito contro la maledetta artiglieria e mi sono girato sull’altro fianco.
All’improvviso è risuonato un grido dall’alto, all’ingresso della galleria è spuntato Paulicke che ha urlato: «Signor Sottotenente, attacco con i gas tossici!!!» La mia prima domanda: «Si vede una nuvola di gas?» «Sì! E molto chiaramente!»
In piedi! Tira fuori la maschera antigas. Infila gli stivali. Allaccia tutto, corri fuori. Mi si è presentato davanti uno spettacolo singolare. Sulle colline di Monchy si levava una coltre bianca simile alla nebbia, che da lì si riversava sulla valle sottostante che conduceva al punto 124. Ma anche a destra e a sinistra di quella cortina erano visibili nuvole bianche, sebbene più leggere.
Non c’è niente da fare! ho riflettuto fulmineo. Il mio plotone è a Monchy in posizione, il nemico si nascondeva probabilmente dietro la nube di gas, perciò restava un’unica possibilità: avanzare a passo di corsa! In un batter d’occhio ho scavalcato la barriera di filo spinato e sono sfrecciato in direzione di Monchy-au-bois. La corsa mi ha condotto sul dorso delle colline, che da due anni nessun piede umano aveva più calpestato, attraverso erbacce rigogliose e straripanti.
Era una di quelle scene che si vedono ritratte nei dipinti di battaglie, solo che io era l’unica persona in quella landa desolata. Noi combattenti moderni non conosciamo quasi per nulla questo tipo di fuoco d’artiglieria in campo aperto, la morte ci si avvicina solo nelle tetre buche del terreno. A destra e a sinistra, qua, là, laggiù e ancora più indietro le granate gettano i loro coni neri dalla terra marcescente, qui là e ovunque si alzano le nubi bianche degli shrapnell. Le attraverso di corsa, a tutta velocità. Quando si può correre in avanti in questo modo, sparisce ogni paura dei colpi dell’artiglieria, lo spirito è impegnato e una sensazione di superiorità ti rende completamente sicuro.
E così avevo raggiunto il margine delle villaggio e attraversato il primo fuoco di sbarramento. Poi sono saltato in una trincea di avvicinamento e sono corso attraverso i giardini di Monchy in direzione della porte di Eilenburg. I giardini di Monchy si trovavano sotto una travolgente pioggia di shrapnell, bossoli inesplosi, spolette che saettavano tra i rami degli alberi da frutto. Ho mosso i primi passi e sono quasi inciampato su un proiettile inesploso fresco d’atterraggio.
Mentre sfrecciavo sotto la grandine di pallottole appoggiandomi solo un istante a una traversa per riprendere fiato, ho pensato non so per quale motivo: sei proprio un soldato incapace se qui non ti buschi una pallottola da medaglia. Poi ho fatto un altro pensiero: Macché, va’ avanti, passassero 100 anni non troveresti una morte migliore di questa. E così: copertura, salto, copertura, salto ho raggiunto i rifugi della riserva di Monchy ovest.